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Il tempo dei rimedi

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Dopo anni di transizione il Cambiamento è ormai una realtà: nuovi paradigmi sociali ed economici hanno rivoluzionato la società in direzione sostenibile e solidaristica, cambiando radicalmente la vita delle persone e invertendo una rotta che si preannunciava disastrosa.
Nella Comunità del Lago vive Remedios; lei, il Cambiamento, l’ha vissuto in prima persona: suo padre ne è stato il più importante promotore, ma da quando lui ha deciso di ritirarsi a vita privata, la ragazza preferisce celare questo legame. La nuova umanità, però, ha bisogno di costruirsi un’identità, ha bisogno di una storia e Remedios è una testimone diretta delle radici in cui questa affonda. In virtù delle sue origini, viene quindi coinvolta suo malgrado in un gruppo di studio che si propone di scrivere e diffondere la storia degli ultimi decenni. Giunge così per lei il momento di fare i conti con la figura ingombrante del padre e con i suoi ideali.

Capitolo uno

Sono i primi di agosto e qui, nelle campagne romane, si fatica a camminare sotto il sole, sembra manchi l’aria. La strada che da casa mi porta al trenino per Roma alterna tratti soleggiati a zone d’ombra, gli alberi mi proteggono dal sole, donandomi un po’ di conforto.
In genere, nei mesi estivi mi sposto relativamente poco, l’università è chiusa per le vacanze e io posso dedicarmi con maggior continuità ai lavori della comunità. Ormai sono due anni che mi occupo di coordinare il corso di Orticoltura nella Facoltà di Agraria all’Università di Tor Vergata.
Gaia ha quattordici anni, non ha più bisogno di avere la mamma sempre con sé, così cerco di colmare il vuoto che mi lascia vederla cresciuta e indipendente con impegni lontano da casa. I primi dodici anni da mamma sono stati meravigliosi: vedere la mia bimba muoversi in questo nuovo mondo mi ha dato la carica per fare il mio pezzettino e renderlo ancor più bello.
La Comunità del Lago ha raggiunto la sua conformazione definitiva proprio negli anni in cui Gaia è venuta al mondo, avevano appena messo in funzione la nuova ferrovia elettrica, la stessa che ci ha permesso di diventare un punto di raccolta per tutto il territorio circostante.
Il lago si trova nel cratere di un antico vulcano, dallo specchio d’acqua il terreno sale in maniera piuttosto ripida, sembra quasi un catino. Più della metà della circonferenza è occupata da aree boschive, ci sono scorci bellissimi, impreziositi da giochi di luce. L’altra metà, prima del Cambiamento, era un’area piena di locali ricreativi di vario genere. La nostra comunità è nata nella parte che era già stata intaccata dall’uomo.

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All’inizio, i fondatori si erano preoccupati principalmente di rendersi indipendenti: avevano piazzato una serie di pannelli solari e alcune piccole pale eoliche sul crinale di quello che era il cratere del vulcano; la conformazione, lì, è tale da permettere un’esposizione al vento quasi costante. I terreni che scendono dal crinale, giù verso il lago, sono perfetti per la coltivazione di vegetali e alberi da frutta. Il lago era stato danneggiato da anni di noncuranza: l’acqua veniva prelevata e trasportata per diversi scopi, quest’utilizzo scellerato e la siccità che all’epoca colpiva queste regioni avevano portato a un notevole abbassamento del livello del bacino. I fondatori, grazie ad alcune battaglie politiche vinte a livello locale, sono riusciti a limitare quell’abitudine; inoltre, attraverso sistemi di raccoglimento dell’acqua piovana sul crinale, hanno creato una rete di piccoli canali che vengono utilizzati per bagnare i terreni di coltura, con una buona parte dell’acqua che raggiunge infine il bacino del lago.
Non ci volle molto tempo per raggiungere l’indipendenza dal punto di vista energetico e dei beni primari, di conseguenza, la Comunità del Lago, assieme ad altre presenti sul territorio dei Castelli Romani, divenne rapidamente una delle principali fonti per l’approvvigionamento alimentare dei primi gruppi che avevano sposato il nuovo stile di vita nell’area metropolitana di Roma.
Già nei primi anni del Cambiamento, la comunità era riuscita ad acquistare praticamente tutti i terreni coltivabili e gli stabili presenti nella zona, aveva anche ottenuto dai comuni limitrofi la gestione delle aree boschive demaniali. Quello fu un momento bellissimo, si iniziò a percepire il senso di libertà che la trasformazione stava portando. Si decise di lasciare il bosco a se stesso, gli unici sfruttamenti che ci permettiamo ancora oggi sono quello della legna, la raccolta dei funghi e l’installazione di arnie per api ai margini del bosco. Altro provvedimento dei primi anni fu la messa al bando dei mezzi di trasporto inquinanti. In un primo momento, il trasporto delle merci verso Roma era piuttosto problematico: la vecchia ferrovia era lenta e poco agevole. Le cose cambiarono notevolmente quando fu installata la nuova ferrovia a energia solare. Per le esigenze interne abbiamo quattro furgoni elettrici muniti di pannelli fotovoltaici e tantissime biciclette. E poi, ovviamente, abbiamo i piedi.
Per gli spostamenti esterni verso aree non servite dalla rete ferroviaria si può usufruire dei servizi locali di car sharing, c’è un apposito parcheggio nei pressi della stazione, anche lì il sole fornisce l’energia per il movimento.
È stupendo sentirsi parte di tutto questo, aver prestato le proprie mani e il proprio lavoro alla gestione collettiva e rispettosa di questo fazzoletto di terra.
Gaia è nata al momento giusto, la voglia di starle vicino il più possibile durante la sua infanzia mi ha spinto a non prendere impegni esterni, così, per più di dieci anni, la mia vita è stata tutta qui dentro. È ancora più bello pensare che ora che Gaia è più grande posso tornare a fare la mia parte fuori di qui: l’università, visti i miei studi di Orticoltura e la mia esperienza nella comunità, è il posto migliore dove dare il mio contributo.
Il treno è in perfetto orario; come sempre, arrivata alla stazione di Ciampino, scendo e monto sul tram che mi porta direttamente alla facoltà.
L’edificio di Orticoltura si trova all’interno di quello che era un centro commerciale, alcuni negozi sono oggi aule, altri sono magazzini, sia per le attrezzature e i beni agricoli sia per il temporaneo stoccaggio dei prodotti delle coltivazioni portate avanti dagli studenti.
Nell’area della struttura che in passato era riservata agli uffici, sono stati ricavati gli alloggi per gli studenti. Intorno, fino a qualche decennio fa, regnavano l’asfalto e il cemento, ora è tutto verde, tutto destinato alla produzione alimentare. Nello spazio che era un immenso parcheggio, c’è un bellissimo frutteto e tra gli alberi si intravedono, rigogliosi, gli orti sinergici. L’università stessa è una comunità indipendente, che, oltre a produrre autonomamente il proprio fabbisogno alimentare, riesce a ricavare un discreto disavanzo da distribuire all’esterno.
Gli studenti di Agronomia dirigono i lavori agricoli, la manodopera è a carico di tutti. Alcuni docenti hanno deciso di insediarsi nell’ambito della grande comunità universitaria. L’eccellenza che ne deriva è frutto delle numerosissime competenze messe in gioco: ingegneri energetici, esperti della gestione di risorse umane, biologi, architetti, tutti contribuiscono all’implementazione di questo meraviglioso esempio di cooperazione, alcuni sposandolo a tempo indeterminato, altri vivendolo per il periodo degli studi.
Le attività culturali e ricreative attraggono tantissime persone, tutto questo fermento umano viene poi riportato al di fuori sia dagli studenti che terminano il proprio percorso di studio sia da tutti coloro che per un motivo o per l’altro entrano in contatto con questa fucina di umanità.
Incontro gli altri docenti in una piccola aula, giusto il tempo per definire i programmi per l’anno a venire e dividerci i corsi in base alle competenze.
Finita la riunione, nel corridoio dell’università, vengo fermata da un uomo di mezza età, grigio nella capigliatura scompigliata e nella barba mediamente ordinata; il volto, benevolo nei tratti, mi sembra familiare, ma sinceramente non ricordo proprio dove posso averlo visto.
«Remedios, vero?»
«Sì, sono io, ci conosciamo?»
«Sono Bartolomeo De Marcellis, responsabile del corso di Storia contemporanea qui a Tor Vergata. Ci siamo incrociati diverse volte negli orti ma credo sia la prima volta che ci parliamo. Ti posso invitare a pranzo? Vivo qui dietro, in una delle palazzine del campus.»
Guardo l’orologio, sono le due, oggi non ho nessun impegno, così, anche se un po’ titubante, accetto l’invito.
Camminiamo per una ventina di minuti nei viali di ghiaia del campus, gli alberi, piantati una decina di anni fa in seguito alla decementificazione, iniziano a essere abbastanza grandi da fornire un discreto riparo dai caldi raggi del sole, sono per lo più giovani tigli, scelti per l’alto assorbimento di anidride carbonica.
Durante il tragitto mi chiede come procede il mio lavoro di coordinatore del corso di Orticoltura, inizio le mie solite spiegazioni sull’agricoltura sinergica, su come la stessa, in passato praticata principalmente in ambiti alternativi, stia man mano diventando una scienza a tutti gli effetti, soprattutto grazie agli studenti delle università e al loro lavoro di ricerca multidisciplinare.
I suoi commenti riguardano in particolare l’evoluzione degli atenei, intesa al raggiungimento di obiettivi tangibili: venti o trent’anni fa, si pubblicava a più non posso per far carriera in ambito accademico, oggi si lavora per migliorare il mondo e a partire da questo comune proposito si delineano i percorsi professionali. In effetti, è proprio ciò che sta accadendo con le scienze agricole: in passato la carriera personale era legata alla capacità di generare profitto, in tal senso gli investimenti finanziavano le ricerche volte a intensificare lo sfruttamento del territorio, oggi si dà la priorità alla qualità dei prodotti e al rispetto dell’ambiente e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Arriviamo al condominio in cui vive Bartolomeo, una vecchia palazzina di cinque piani che fa gruppo con altri tre edifici identici, classico esempio di ciò che prima era un blocco di cemento in mezzo all’asfaltico deserto. Tra le quattro palazzine e intorno a esse sorge un piccolo frutteto, soprattutto peschi e albicocchi, che proprio in questo periodo danno i loro frutti; tra un albero e l’altro, anche qui si intravedono i rilievi degli orti sinergici pieni di vegetali pronti per essere raccolti.
Al centro del quadrato formato dalle quattro palazzine, si nota una grande cisterna di raccolta delle acque piovane, utilizzate per irrigare le piccole colture. Da ogni terrazzo le piante litigano per la luce, ovviamente i pannelli solari risplendono sui tetti.
Nelle città, laddove lo spirito comunitario è più radicato, i singoli condomini o gli isolati costituiscono spesso delle piccole comunità nell’ambito di gruppi più grandi. Gli spazi verdi ricavati nel periodo della decementificazione sono stati via via trasformati in aree di produzione agricola, le stesse, seppur non sufficienti per una piena autonomia alimentare, rappresentano un’importante fonte di sostentamento per gli abitanti. L’attenta e leale suddivisione dei compiti tra i condomini permette di ottimizzare la manodopera, rendendola spesso una piacevole attività di gruppo.
Bartolomeo mi invita a entrare, saliamo le scale fino al terzo piano. Il suo appartamento è arredato in modo essenziale: pareti bianche e pochi mobili, è arioso e luminoso. Ci sono alcune foto e anche senza avvicinarmi posso notare che per lo più lo ritraggono con una donna.
Mi suggerisce di accomodarmi sul divano e mi chiede cosa desidero mangiare, ci mettiamo d’accordo per una caprese con tanto di mozzarella prodotta negli allevamenti dell’università e pomodori raccolti la mattina precedente in uno degli orti del condominio.
«Allora, Bartolomeo, a cosa devo questo invito?»
«Bene, bene, è giunto il momento di passare dai convenevoli alla sostanza» mi risponde sorridendo. «Come dipartimento di Storia contemporanea vorremmo proporre una serie di conferenze sul Cambiamento. Le cose sono avvenute così velocemente negli ultimi anni che a oggi non esistono testi in grado di sintetizzare in maniera compiuta quanto accaduto…»
«Scusa ma questa caprese è fantastica! Fresca, leggera e saporita!» mi inserisco in una pausa del suo discorso, poi lo invito con uno sguardo interessato a proseguire.
Bartolomeo sorride: «Ti ringrazio, mi fa piacere… Cosa dicevo? Ah, sì. Sai, credo sia doveroso, da parte nostra, lasciare una testimonianza a chi verrà dopo di noi, l’umanità è fragile e prima d’ora non era mai riuscita a migliorarsi in maniera così globale, la storia recente deve supportare l’entusiasmo delle generazioni future. Al termine di questo ciclo di conferenze vorremmo scrivere un testo di storia contemporanea che analizzi le varie fasi del Cambiamento».
«È una bellissima idea, mi chiedo solamente quale possa essere il mio contributo. Sicuramente la controrivoluzione agricola, chiamiamola così, ha giocato un ruolo importantissimo, nello stesso tempo non sono sicura che un tecnico di un settore tanto specifico possa essere molto d’aiuto.»
Bartolomeo, dopo un piccolo sospiro, sorride benevolmente e mi guarda negli occhi.
«Remedios, per quanto tu cerchi di restare nell’anonimato, in quest’ateneo sono in molti a sapere chi è tuo padre.»
Qualcosa mi si blocca in gola e non riesco a evitare alcuni piccoli colpi di tosse.
«Tutto bene?» mi chiede Bartolomeo.
«Sì, grazie» rispondo bevendo un sorso d’acqua.
Ho sempre sperato che il momento in cui avrei dovuto fare i conti con la figura ingombrante di mio padre arrivasse il più tardi possibile, ma sì, sapevo sarebbe arrivato, solo non mi aspettavo di doverlo affrontare in un contesto pubblico.
«Non…» inizio, cercando le parole più adatte per non apparire scortese. «Preferirei non essere coinvolta in un’attività di qualsivoglia genere per il solo fatto di essere figlia di mio padre.»
«Lascia che ti spieghi…» riprende Bartolomeo. «Quando, assieme ad altri colleghi e ad alcuni studenti che si sono resi disponibili, abbiamo iniziato a ragionare sulla stesura del libro, ci siamo trovati di fronte alla difficoltà di individuare un filo conduttore, le cose sono state così rapide ed eterogenee che è veramente difficile mettere ordine nelle idee. L’unica cosa su cui siamo tutti d’accordo è il punto da cui iniziare: tuo padre. Con il suo piccolo saggio e in modo relativamente semplice, ci ha dato la soluzione alla crisi globale.»
Bartolomeo ha ragione: già prima di mio padre, molti attivisti avevano teorizzato una strada basata sulla rivoluzione dei consumi e la vita comunitaria, in fondo erano concetti banali, eppure, nessuno di loro era riuscito a raggiungere le masse, a creare l’entusiasmo necessario per agire. Lì è iniziato il vero movimento che ha portato a cambiare tutto.
«L’idea» continua «è quella di scrivere il libro seguendo come scaletta L’Utopia nel XXI secolo, ogni capitolo sarà oggetto di una conferenza e del contestuale dibattito. Vogliamo scoprire come quelle parole e il futuro che immaginavano si sono trasformati in realtà. Quando tuo padre andava in giro a presentare il libro, a visitare le prime comunità, a creare la rete, a proporre i traguardi raggiunti dagli uni agli altri, tu e tua madre eravate sempre con lui.»
Le parole e le espressioni di Bartolomeo trasudano entusiasmo. «Tuo padre ha deciso di ritirarsi a vita privata, è diventato una sorta di eremita, credo non rilasci una dichiarazione pubblica da almeno un decennio. La sua scelta è rispettata da tutti, sappiamo benissimo che provare a convincere lui sarebbe una guerra persa. Tu sei qui, fai parte di questa università, conosci questi argomenti meglio di tutti noi. Pensaci un po’, non devi rispondermi ora. Ti lascio la mia e-mail e il mio numero di telefono, fammi sapere nel giro di qualche settimana.»
Bartolomeo è molto dolce e tenero ma tutto ciò di cui parla è diventato un tabù per me. Voglio fare la mia parte come tutti gli altri, non ho meriti particolari in questa storia.
Si apre la porta, entra la donna delle foto, forse ha qualche anno in meno di Bartolomeo, è bellissima, occhi verdi, capelli lisci e scuri, una carnagione chiarissima.
Bartolomeo si alza, la bacia sulle labbra.
«Ciao amore, ti presento Remedios, responsabile dei corsi di Orticoltura alla Facoltà di Agraria. Remedios, lei è Alina, la mia compagna, è originaria della Romania, è venuta in Italia quando era una bambina, assieme a sua madre, prima del Cambiamento. Si occupa della logistica qui all’università, organizza i trasporti delle merci in entrata e in uscita.»
«Ciao Alina, è un piacere incontrarti» la saluto allungandole la mano. «Vorrei avere più tempo per conoscerti ma ora devo proprio andare, ho bisogno di tornare a casa per sbrigare alcune faccende, spero ci saranno altre occasioni.»
Guardo Bartolomeo negli occhi, ci baciamo sulle guance.
Sorridendo, mi prende una mano tra le sue: «Ti prego, pensaci bene e decidi di aiutarci. Aspetto una tua risposta».

22 dicembre 2019

Aggiornamento

Oggi ho finalmente terminato la mia ultima revisione del manoscritto e l'ho inviata a bookabook. Spero che prestissimo mi venga assegnato un editor, non vedo l'ora di vedere il mio libro nel suo formato finale. Nel mentre la campagna va avanti, raggiungere l'extra goal mi garantirebbe un supporto importantissimo ai fini della promozione del libro, il tempo dei rimedi è un'idea di mondo, sogno che venga letto da una moltitudine e che serva da stimolo per cambiare!
28 novembre 2019

Aggiornamento

Siamo ai 4/5 dell'obiettivo, ancora un ultimo sforzo e Il tempo dei rimedi potrà vedere luce. Tanto entusiasmo da parte di tante persone, mi emoziona. Il mio non vuole essere solamente un libro di piacere, un'opera letteraria, il mio libro si pone l'obiettivo di raccontare una società diversa, più bella e felice, di provare ad immaginare come dalla nostra potremmo arrivare fin lì. Non mi piace parlare di utopia, sembrerebbe un qualcosa di irraggiungibile, io, invece, sono convinto che una società migliore non solo sarebbe possibile, credo sarebbe più facile e logica di quella che c'è!
07 novembre 2019

Aggiornamento

Ecco il link alla mia intervista!
07 novembre 2019

Aggiornamento

Ciao a tutti, Volevo segnalarvi una mia intervista appena uscita sul blog "lego et cogito" che ringrazio infinitamente. Questo é il link.
Buona lettura!
06 ottobre 2019

Aggiornamento

In occasione del traguardo delle cento copie vendute, continuo a raccontarvi di persone che hanno ispirato alcuni dei personaggi de Il tempo dei rimedi. Piero era il figlio di Comunardo. Forse era il 2004, ero un volontario di Emergency. All'epoca Maya Marchioni lavorava per Emergency, nella sede di Roma. Un giorno mi ha chiamato per raccontarmi di un uomo dei Castelli Romani, disabile a causa di una rara malattia, l'atassia cerebellare, molto legato ad Emergency, mi lasció il suo numero chiedendomi di andarlo a conoscere. Andai a casa sua un pomeriggio, qualche giorno dopo. Conobbi il figlio di Comunardo, era poco più giovane dei miei genitori ma, consapevolmente, se li portava piuttosto bene. La sua malattia era tremenda, progressiva, limitava i movimenti, riduceva la vista. Piero invece era forte, entusiasta della vita, curioso, generoso, mai domo. Negli anni la nostra amicizia diventò un legame davvero speciale, passavo spesso a trovarlo, mi raccontava del suo passato e del suo presente, dei suoi ideali, la nostra relazione non aveva veli, le nostre parole mai filtrate. È stato un amico meraviglioso nei giorni tristi ed in quelli felici. Sempre in grado di regalare un sorriso. Ogni tanto, nonostante le sue condizioni fisiche peggiorassero di anno in anno, riuscivamo a scappare, addirittura a fare dei viaggi insieme, andammo ad Aversa a trovare un suo amico, nelle campagne pisane da una sua cugina. Indossava sempre gli occhiali da sole, mi diceva che gli servivano per sfruttare meglio quel poco di vista che gli rimaneva, la luce gli dava fastidio, in realtà penso che, a ragione, si sentisse un figo e che gli occhiali da sole accentuassero il suo irresistibile fascino. Parlava della sua malattia sorridendo, con un'accettazione che faceva quasi spavento, raramente era rabbioso per la sua condizione, in fondo sapeva benissimo che arrabbiarsi non sarebbe servito a nulla se non a star peggio, meglio poter vivere, felici, quel che si ha. Una cosa invece lo faceva arrabbiare, non sopportava le barriere, architettoniche e non solo. Piero era un grandissimo ascoltatore di radio e comunicava con le redazioni dei vari programmi tramite telefono. Con l'avvento degli SMS e delle email molte trasmissioni hanno smesso di utilizzare le segreterie telefoniche e questa cosa non gli andava giù. Era sempre alla ricerca di qualcuno che lo accompagnasse sotto la sede di radio2 a protestare. Una volta andammo insieme, con tanto di cartelloni con slogan vari. Aveva uno spiccatissimo umorismo, di quei tipi che la battuta non la capisci subito ma quando la cogli ne apprezzi la genialità e la genuinità. Era anche un grandissimo conoscitore di detti e proverbi, direi che il più rappresentativo era "più semo e più belli paremo". Quando decisi di sposarmi non ebbi molti dubbi, era stato testimone, forse più di tutti, del mio amore per Agnese. Piero era emozionato come un bambino mentre firmava il certificato di nozze. La malattia andò avanti. Quando morì io vivevo già a Londra, la fortuna ha voluto che sia successo in una delle rare settimane che passavo in Italia, sono riuscito ad andare al suo funerale per l'ultimo saluto ad un vero, grande amico. Piero mi ha insegnato che la sofferenza non é una giustificazione per l'egoismo, credo sia un concetto grande, rivoluzionario. Il tempo dei rimedi esiste anche grazie a lui.
01 ottobre 2019

Aggiornamento

Siamo al quarto giorno della campagna di crowdfunding per Il tempo dei rimedi. Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato fiducia preordinando il libro. La speranza è che nei prossimi giorni tanti altri si aggiungeranno permettendomi di raggiungere il mio obiettivo, la pubblicazione del romanzo! Oggi vi racconto qualcosa in più. Premetto che Il tempo dei rimedi non è un'autobiografia. D'altro canto ci sono riferimenti a persone, luoghi e fatti della mia vita reale, gli stessi non sono casuali. Inizio parlandovi di un uomo che ha rappresentato l'ispirazione non solo di un bellissimo personaggio ma anche della visione del mondo che ho voluto condividere tramite il mio libro. Ho avuto lo straordinario onore di frequentare Comunardo (nella foto l'uomo seduto su una panchina abbracciando la nipote) durante l'ultimo decennio della sua vita. Era anziano, al tramonto di una vita vissuta in campagna, nella terra, all'epoca si prendeva cura di suo figlio Piero che era purtroppo affetto da una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, l'atassia cerebellare. Vi parlerò presto di Piero, anche lui fonte d' ispirazione. Comunardo era antifascista nell'anima, da giovane fu deportato in un campo di concentramento nazista, in Germania. Alla nascita fu registrato come Comunardo e non fu battezzato, alla morte del padre, tuttavia, sua madre, terrorizzata dal fatto che suo figlio potesse essere perseguitato dai fascisti per via del suo nome, lo fece battezzare con il nome di Giuseppe. Comunardo all'epoca aveva già 6 anni e non si girava quando lo chiamavano Giuseppe, il compromesso fu trovato in Nando, appellativo con cui a Genzano lo conoscevano tutti. Tra le altre cose Comunardo mi ha insegnato a mangiare pane, burro e alici alle 6 di mattina mentre si distilla la grappa e ad amare la vita. Una volta ho ascoltato Moni Ovadia parlare alla commemorazione per la morte di Teresa Sarti. Raccontò la storia dei 36 saggi che per la cultura ebraica sorreggono, in ogni epoca e nell'anonimato, le sorti del mondo. Se, come probabile, Moni Ovadia aveva ragione nel ritenere di averne conosciuto uno, Teresa, io posso dire con certezza di averne conosciuti due. quarto giorno della campagna di crowdfunding per Il tempo dei rimedi

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Consiglio a tutti di dare un’occhiata a questo libro. Le informazioni sull’autore e la sinossi sono davvero promettenti!

  2. (proprietario verificato)

    Ho ordinato il libro di Federico Scottoni qualche mese fa perché sono stato colpito dalla sinossi e dalla biografia dell’autore. Ho iniziato a seguirlo su instagram e leggendo i suoi post mi ritrovo sempre a pensare molto al disorientamento dei tempi moderni. Oramai il clima che cambia, le migrazioni, le guerre e le imparità sociali sono argomenti all’ordine del giorno ma al contempo sembra normalità, una normalità che mi abbrutisce. Mi piace l’idea di sostenere questo autore che, da quel che posso leggere, ha immaginato un’ umanità migliore ed una storia per raggiungerla. Non vedo l’ora di leggere il libro!

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Federico Scottoni
classe 1984, è nato a Roma e cresciuto ai Castelli Romani, ha studiato Medicina e si è specializzato in Chirurgia pediatrica. Fino a marzo 2020 ha vissuto e lavorato a Londra per poi spostarsi a Torino dove lavora nell’ospedale pediatrico Regina Margherita. Ha sempre dedicato tempo e passione ad attività culturali e umanitarie volte alla diffusione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani, in particolare collaborando con Emergency, prima come volontario sul territorio nazionale, poi, nel 2018, come chirurgo in Sierra Leone. Il tempo dei rimedi è il suo romanzo d’esordio.
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