Era giorno. Il sole entrava con prepotenza in ogni angolo della casa, ne illuminava le stanze dai soffitti altissimi, i mobili antichi, maestosi, i preziosi lampadari e il bel pavimento di ceramica azzurra scolorito dal tempo: era di nuovo la nostra casa, potevamo aprire i balconi, andare liberamente da una camera all’altra senza timore e finalmente spalancare il portone e uscire. Il buio insidioso, avvolgente, era ancora lontano.
Non era che l’inizio di una luminosa giornata d’estate al Castello, lu Castiedd’, come lo chiamavano i paesani, il posto dove abitavo con la mia famiglia in quegli anni.
Ci arrivavo dalla piazza salendo per un vicolo stretto e tortuoso, come i vicoli degli altri paesi del Sud nei quali ho vissuto. Era talmente lungo che gli occhi abituati all’oscurità quasi si stupivano di trovare alla fine tanta luce, tanto spazio, e ogni volta era come immergersi in un altro mondo, un mondo magico.
Il castello, appartenuto in passato a una ricca e nobile famiglia del paese, dominava un largo circolare delimitato in un punto da un muretto; da lì lo sguardo abbracciava il paese sottostante, arrivava su fino alle colline morbide e indugiava sulla riga dell’orizzonte. Piccole case, i cui usci davano direttamente sulla strada, completavano il cerchio. Ai lati dell’antica costruzione si allungavano pigri dei sedili in pietra, ombreggiati anche nelle ore più calde del giorno da tre secolari e frondosi platani. Una fontanella, anch’essa in pietra, dissetava i grandi e giocava con i bambini. Durante l’intero arco delle interminabili giornate d’estate non c’era un momento in cui i sedili non fossero occupati da qualche abitante del Castello, come se tutti obbedissero allo stesso impulso: uscire, stare fuori.
Noi bambini del Castello eravamo tanti, alcuni piccoli altri un po’ più grandi. Non interrompevamo i giochi se non per mangiare velocemente, nessuno di noi aveva tempo da perdere in casa. Ci allontanavamo di rado e per poco dal nostro largo, giusto il tempo di andare in piazza a prendere un gelato da cinque lire nell’unico bar del paese e subito, di corsa, ritornare a casa attraverso il vicolo.
Bisognava sfruttare ogni attimo della giornata perché, per quanto lunga fosse, presto sarebbe arrivato il buio ad avvolgere il Castello e i suoi abitanti, un buio che si sentiva sulla pelle e si poteva quasi toccare. Mia madre ci faceva rientrare, chiudeva la porta e appoggiava la scopa dietro di essa. Per tutto il tempo in cui siamo rimasti in quella casa, l’ho vista ogni sera compiere lo stesso gesto quando mio padre non c’era.
Di notte lu Castiedd’ non era un posto sicuro. Le storie narrate sui sedili negli infiniti pomeriggi d’estate, misteriose, sussurrate appena da chi conosceva tutti i segreti di quel posto e dei suoi abitanti, evocavano con il calare delle tenebre i fantasmi di un passato lontano.
Molti secoli prima, tra le sue mura silenziose, un orrendo misfatto era avvenuto. Una fanciulla aveva trovato la morte per mano dei fratelli e il suo spirito inquieto ancora vagava nelle notti di luna.
Era una casa stregata e la scopa di saggina non bastava a fermarli, essi vivevano con noi. Erano dentro di noi.
Amanda Cuccaro (proprietario verificato)
Come un temporale d’estate.
“Se il tempo si fosse fermato” sorprende, prende alla sprovvista. Una prosa intensa, ritmata e armoniosa. Una storia appassionante e un finale che sconvolge. Delicateza e dolore, musica e rumore. Come ricostruirsi quando qualcosa dentro di noi si é rotto in mille pezzi ?
La mia mamma <3
Sestina Viggiano (proprietario verificato)
Ho percepito, da subito, nella lettura del romanzo un omaggio alla memoria dei genitori dell’autrice; in particolare un amore intenso che la lega al padre e lo si evince quando descrive , minuziosamente l’ansia e la gioia nell’ attesa del rientro del padre dalle manifestazioni musicali. La madre è sempre presente in casa , come la maggior parte delle donne di quel periodo storico, ed è sicuramente una figura importante e di riferimento ma, il padre occupa un posto privilegiato nel suo cuore, al punto tale da non elaborare vendetta nei confronti del padre omicida. E’ un libro avvincente : inizia come il racconto di una fanciulla che vive vicino al castello, quasi fatato. di un piccolo paese, con descrizione di ricordi fantasiosi che si sovrappongono alla realtà per poi trasformarsi in thriller; motivo per cui si legge tutto di un fiato. Per me è , sicuramente, senza volermi ripetere, un tenero ed intenso amore per il padre che con la sua genialità, bizzaria, normalità è follia ha catturato l’amore della figlia.. Complimenti Arcangela per averci donato con semplicità e trasparenza i tuoi ricordi infantili e da ragazza vissuti in una famiglia speciale.
Lucia Olivieri (proprietario verificato)
“Se il tempo si fosse fermato “ è un romanzo da leggere tutto d’un fiato e poi da rileggere più lentamente per assaporarne il particolare ritmo narrativo, il linguaggio fitto di parole evocative e l’atmosfera magica e arcaica.
Chiara Calabrese
Un romanzo caratteristico e tortuoso, che circoscrive la crudezza del reale grazie all’artifizio di dolci note di superstizione. L’autrice compone un interessante spartito di alti e bassi in cui la musicalità dello scritto e l’intensità della storia trasportano in una fantasia che ci appartiene sempre meno e in una realtà che ci appartiene sempre più.
Il racconto di un Sud ancestrale in cui i confini tra ciò che è reale e ciò che non lo è sono da sempre molto labili.
Antonio Calabrese (proprietario verificato)
Complimenti all’autrice che mi ha fatto rivivere la mia infanzia nel mio paese, dove e quando i giochi bisognava inventarseli e ci si divertiva con poco……
Il romanzo mi è piaciuto in particolare per le descrizioni minuziose di luoghi, personaggi, sensazioni ed emozioni.
Potrei definire “Se il tempo si fosse fermato” come il Tango, due passi avanti e uno indietro, nel senso che la vicenda va avanti cronologicamente ma nello stesso tempo riporta indietro.
Maria Carella (proprietario verificato)
La lettura di questo racconto mi ha regalato sensazioni inaspettate. Man mano che si procede trasporta in luoghi della memoria, anche propri, messi da parte, accantonati, ma pronti a riemergere, evocati dalle immagini, dai suoni, dai colori e dagli odori così magistralmente ricostruiti.
L’autrice possiede il dono di una scrittura ricercata e fluida al tempo stesso, che appare naturalissima ma che è, senza dubbio, frutto di una meticolosa ricerca della parola, di un’attenzione costante ai particolari, e proprio per questo così potentemente evocativa.
Colpisce la capacità di narrare fatti, di descrivere personaggi e luoghi, facendoli percepire al lettore in modo limpido.
Condivido tanto delle considerazioni espresse nel romanzo e conosco bene quell’inquietudine che accompagna le riflessioni della protagonista…
Concludo ringraziando la mia cara amica Arcangela per le emozioni che ha saputo regalarmi e augurandole, in modo profondo e sincero, di portare a compimento il suo progetto e di realizzare tutti i suoi desideri.
Myriam Marzano
l’atmosfera avvolgente e vivida che Arcangela riesce creare mi ha accompagnata durante tutta la lettura: sono riuscita a vedere il Castello, a sentire l’odore del legno, ad ascoltare i misteriosi lamenti notturni e, soprattutto, a galleggiare nel buio insieme a lei.
La grandissima capacità dell’autrice di sondare con lucidità le emozioni umane più oscure e di riportarle su carta attraverso una minuziosa ricerca lessicale (che non può non saltare subito all’occhio di un lettore attento) sono, a mio avviso, i due aspetti più preziosi di quest’opera.
Voglio lasciare qui, per Arcangela, una poesia del 1896 di Emily Dickinson, che mi è subito tornanta in mente leggendo il suo libro:
“È una curiosa creatura il passato,
ed a guardarla in viso
si può approdare all’estasi o alla disperazione.
Se qualcuno l’incontra disarmato,
presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue minuzioni arrugginite
possono ancora uccidere!”
Lorenza Colicigno (proprietario verificato)
Se il tempo si fosse fermato” di Arcangela Viggiano è un romanzo costruito secondo percorso memoriale in cui realtà e immaginazione, annodate in un unicum emotivo dalla passione per la musica, e in special modo per il melodramma, si sviluppa in una narrazione sempre in bilico tra radicamento da un lato e sradicamento dall’altro, sradicamento dal Castello e dalla visione favolistica e arcana del passato infantile e adolescenziale.
L’infanzia, oltre ad essere narrata come età biografica, si connota come fase storico-antropologica di una società immersa nel culto del primitivo e dell’arcano, della magia e dell’inconoscibile.
In questo contesto affiorano le ombre di un conflitto familiare e di un delitto, percepito, forse addirittura atteso, come unica possibile e inevitabile “messa in scena” della vita e della morte, da una bambina, poi adolescente, poi adulta, dotata di una sensibilità acuta, cosciente di sé come erede di un tempo che non può più esistere, contro ogni suo desiderio.
Dentro la bolla di vetro del tempo fermo dell’infanzia è la felicità pura, fuori, dove il tempo scorre, divorando favole, miti, affetti, attese e speranze, è la dannazione al dolore e all’alienazione.
Ma è da questa dannazione che nasce la scrittura, che, a differenza della musica che tutto ingloba, appare in grado di farsi ricerca di senso e di razionalità del vivere.
Nei momenti di massima tensione emotiva la parola narrante sceglie di farsi assolo lirico, come un eco che si propaga da un tempo senza tempo.
A. C. (proprietario verificato)
“Se il tempo si fosse fermato” racconta del tempo che scorre inevitabilmente sulle nostre teste e che ci obbliga a rincorrerlo invano fino a quando decidiamo esausti di lasciarlo andare.
Una perspettiva fatalista e verghiana, perfettamente coerente con il quadro di un mistico paese del Sud, lotta contro la ragione che vuole guardare gli eventi dolorosi da lontano, per distaccarsene, per smettere di soffrire. La famiglia e’il terreno sul quale questa lotta si consuma. Una famiglia del Sud, dove, e’ certo, le emozioni sono viscerali, attraversano il corpo come una pallottola.
Come perdonare l’atto malefico di una persona che amiamo profondamente? Come conciliare un passato doloroso con un presente che deve essere vissuto? Come smettere di soffrire? In questo romanzo accattivante, l’arte, la natura, la memoria giocano un ruolo inaspettato in ognuna della risposte a queste domande. Bellissimo!
simona caiata (proprietario verificato)
Bello, uno scritto tra il passo e il presente, con il compito di raccontare una storia attualissima anche se ambientata tanti anni prima. Scrittura ottima minuziosa nei particolari, nella descrizione dei luoghi e dei personaggi. Trovo bellissimo unire citazioni di opere liriche e versi, perché fanno comprendere maggiormente, non la protagonista ma il personaggio principale, su cui tutta la storia è centrata e collegata con i “demoni” della protagonista. Una narrazione profonda, dove io tra le righe ci ho letto, l’invito a non fermarsi alle apparenze, a non “etichettare” le persone, a farsi aiutare a combattere i “mostri” interiori senza alcun pregiudizio. Grazie Arcangela.
valeria.c74
Vorrei esprimere tutto il mio affetto e fare le mie congratulazioni per il traguardo raggiunto.
Sono sicura sarà soltanto l’ inizio di una lunga strada fatta di successi…..un successo più che meritato….la volontà,la forza,il coraggio e la determinazione nel portare avanti questo progetto,questo sogno oggi concretizzato.
L’ anteprima mi ha incuriosito tantissimo,non mi rimane che lasciarmi travolgere dalla lettura di questo romanzo dal quale mi aspetto molto,conoscendo Arcangela:persona ben preparata, intelligente e così apprezzabile.
Dal legame che ci unisce aggiungo e concludo dicendo che sono profondamente orgogliosa,orgoglio che porto nel cuore.
Gerardo De Angelis (proprietario verificato)
Arcangela è una donna sensibile, intelligente, capace di tirare fuori falle parole vere sensazioni vivide, palpabili e realistiche. Che poi è quello che ciascuno cerca nella scrittura: la possibilità di “vedere” quelle che legge e trasformarlo in scene reali. Sono certo che questo libro regalerà spesso questo genere di sensazioni.