Al che, molti dei cartografi scesi in strada per l’indecoroso urlo del collega si lasciarono scappare un sorriso. Dalle loro espressioni, era difficile capire se fosse maggiore la soddisfazione o la pietà.
«Ben gli sta» commentò qualcuno.
Si dava il caso, in effetti, che Sir Emerald Rose fosse al tempo stesso il più ammirato e il più odiato tra i cartografi: rompendo una secolare regola della professione, egli aveva accettato dal governo di Londra l’incarico di tracciare una rotta che i più ritenevano stregata. Non che un qualsiasi gentiluomo di Tabulas Street avrebbe mai osato esprimere quel pensiero a voce alta, sia chiaro. Ma, come in molti avevano riferito allo stesso Sir Rose, nel tentativo di dissuaderlo dall’impresa, non ce n’era bisogno! Certe rotte, fuori dalle vie commerciali, lontane dalle abituali mappe, erano stregate, punto. Alcune avevano la capacità di sottrarre la memoria a chi provasse a disegnarle. Certe altre facevano regredire le facoltà mentali di chi tentasse di descriverle. Ogni cartografo doveva saperlo, compreso Sir Rose.
Ma egli aveva osato contravvenire all’insegnamento che i cartografi si tramandavano da generazioni, e ora eccolo lì, in quel suo studiolo al secondo piano, a dannarsi e a strapparsi i pochi capelli che la mano del tempo non aveva già provveduto a rubargli.
«Maledizione!» sbottò l’uomo, lanciando una boccetta di inchiostro incolore, dono di un mercante. «Maledizione, maledizione e ancora maledizione!»
Le urla si sentirono nuovamente dabbasso, ma la politica dei sorrisi alla luce del sole indusse tutti gli altri cartografi a non oltraggiare la sofferenza di Sir Rose con una protesta formale. Era meglio, oltre che più divertente, lasciarlo cuocere nei suoi patimenti.
«Maledizione!» ripeté nuovamente il poverino. «Avrei forse dovu- to dar retta a quei menagrami? Avrei forse dovuto rifiutare l’incarico, come i miei pavidi colleghi? No, no, certo che no. Dev’esserci una spiegazione, e io la troverò.»
Con queste parole, Sir Rose recuperò la calma e il calamo e tornò a sedersi alla sua scrivania. Di fronte a lui si apriva una mappa disseminata di punti, di collegamenti, di nomi. Il resto della stanza, invece, sembrava una specie di museo di storia. Beneficiava, cioè, di tutti i ritrovamenti e i doni che il cartografo aveva accumulato nel corso degli anni. C’erano oggetti vagamente sinistri, come la boccetta di inchiostro incolore appena frantumata al suolo (senza lasciar traccia), e altri più normali, come il mezzobusto di un re dell’antichità, recuperato dalle acque durante una vecchia spedizione.
E poi, a proposito di ritrovamenti in mare, giaceva in un angolo quel baule, unica testimonianza del recente viaggio che tanto stava angosciando Sir Rose.
Il cartografo riusciva a scorgere ogni cosa, nitida, nella sua mente: la Galapagos III, fiore all’occhiello delle industrie nautiche, a bordo della quale era salpato dal porto di Londra con l’intenzione di scrivere la storia e tappare la bocca ai superstiziosi; i due mesi di navigazione, trascorsi tra i mugugni di un equipaggio mosso solo dalla brama di portare a casa il pane; quella cittadina tra le nebbie, priva di una conformazione precisa, priva di una logica, addirittura. E poi quelle onde altissime e inspiegabili! Le ricordava bene, Sir Rose. Erano spuntate dal nulla in una giornata senza vento, come se a muoverle fosse stata la loro stessa volontà di ostacolare la scoperta di quella rotta ancora ignota alla società civile.
Sir Rose aveva ben impressa nella mente la sensazione di trovarsi all’improvviso nel mezzo di un ciclone che la scienza non avrebbe saputo spiegare. Eppure, ogni volta che tentava di appuntare quel fenomeno, o che provava a disegnare i confini delle isole che aveva intravisto, accadeva qualcosa di sinistro. E anche quel pomeriggio non aveva fatto eccezione: il cartografo sembrava aver misteriosamente smarrito la capacità di tracciare una semplice linea su un foglio. E, da ciò, l’urlo che aveva sconvolto Tabulas Street.
«Ora,» si disse Sir Rose «proviamo a capirci qualcosa. C’era quella… quell’insenatura… ecco, sì, sembrava una specie di molo, proviamo a… a disegnarla…»
Intinse il calamo nell’inchiostro, certo che stavolta sarebbe stato finalmente in grado di mettere da parte tutte le ridicole suggestioni dei suoi colleghi e di testimoniare per iscritto lo spettacolo cui aveva assistito. Ma non appena appoggiò la punta del calamo sul foglio, cadde addormentato. Quando si risvegliò, un’occhiata all’orologio a pendolo che adornava la parete, appena al di sopra del camino acceso, gli restituì la notizia di aver dormito per tre ore filate. Erano quasi le otto di sera e il suo stomaco iniziava ad avvertire una certa fame.
Prima di uscire a rifocillarsi, qualcosa lo spinse ad accostarsi al vecchio baule che gli stava facendo perdere il senno. Era pieno di diari incartapecoriti e di libri che avrebbero anche potuto passare per manuali di studio, se solo non avessero avuto titoli come Acque delle Terre di Sotto: benefici e proprietà o Principi base delle applicazioni alchemiche di Lunares o ancora Avventure e creature del mare.
Sir Rose si concentrò su quest’ultimo. Lo sfogliò fino a raggiungere il capitolo quindici, che si intitolava “Guida all’addomesticamento del Kraken selvatico”.
«Che robaccia!» commentò con uno sbuffo.
Chiuse il libro e recuperò la giacca per recarsi a mangiare.
LauraC (proprietario verificato)
Ho letto Thalassa con lo spirito di chi legge fantasy di rado, perché trovo che sia un genere solitamente un po’ slegato dalla realtà. Quello che ho trovato in questo romanzo è stato invece il giusto equilibrio tra personaggi ben definiti ed elementi fantastici che si intersecano nelle vicende dei protagonisti, senza essere predominanti.
L’intreccio della trama è molto avvincente e ben strutturato tanto che, pur essendoci molti personaggi e diversi piani di narrazione, si riescono a seguire tutte le vicende narrate con molta tranquillità.
Il filo conduttore è sicuramente l’amore, che si manifesta sotto diverse forme e detta il ritmo della storia e dei colpi di scena. Questi ultimi sono per lo più concentrati negli ultimi capitoli, nei quali l’autore, con il suo stile scorrevole, svela le vere intenzioni dei personaggi e le ragioni che li hanno spinti ad agire in determinati modi durante il racconto.
Posso sicuramente dire che la frase più ripetuta nella mia testa leggendo le ultime pagine è stata “Non ci posso credere! Non l’avrei mai detto” (e solitamente leggo romanzi gialli, quindi avrei dovuto essere “allenata” a capire alcuni retroscena della trama).
Insomma, consiglio Thalassa a tutti, anche a chi solitamente non legge il genere fantasy, perché, come indicato nella sinossi, è una storia di mare, magia e mistero, ma nessuno dei tre elementi prende il sopravvento.
CAROLINA MATTERA (proprietario verificato)
Thalassa è un fantasy che sa di mare, d’amore, di grandi navi che intrecciano le vele, di uomini sapienti sopraffatti dalle passioni. La narrazione si snoda attraverso un coacervo molto articolato di personaggi, luoghi e colori tutti necessari a creare la giusta ambientazione. E’ una lettura che ho trovato sotto diversi aspetti interessante, soprattutto perchè mi ha dato la possibilità di conoscere scenari nuovi e molti termini del gergo marinaresco che ignoravo. Pur essendo un fantasy, il profilo magico della storia non è invadente, lascia spazio alle sfumature umane dei protagonisti e rende la storia più vicina al lettore.
Non manca neppure una giusta dose di mistero e devo dire che le ultime pagine del romanzo hanno il carattere di un’esplosione e svelano il senso della sequenza dei fatti e dei personaggi.
E’ una lettura che ho apprezzato molto.