I. Vecchi amici
16 gennaio 1718
Caro Paul,
ti scrivo e sono emozionato, non l’ho mai fatto prima. A parole, a quattrocchi, è tutto più semplice, dannazione. Ma in realtà è come se ti avessi ancora qui, al mio fianco: mi sembra di vederlo, quel tuo ghigno malefico, mentre sorseggi rum e mi dici che la vita, l’amore e la morte non sono altro che puttanate, che il vero senso del tutto sta dentro a quel bicchiere di rum che mi mostri con aria compiaciuta. Guarda come è bello, ha il colore dell’oro; il sapore, poi, è eccezionale: amaro e dolce insieme, ci puoi trovare tutti i Caraibi dentro, anche i pappagalli e i tramonti su L’Avana. E poi sparisce, nella gola e via, giù nell’intestino, veloce come è stato versato. E così è la vita: un bicchiere di rum bevuto tra un arrembaggio e una scopata. Come sono romantico… un tempo non ero così, lo sai; ma dopo questi lunghi anni per mare anche il Santo Padre sarebbe diventato un bestemmiatore. Tu no, tu sei sempre rimasto uguale, ma non prenderlo come un complimento.
Ti chiederai perché ti scrivo solo ora, cosa mi abbia spinto a farlo.
Ebbene, l’altra sera ero seduto in una locanda di Sherburne, nella mia amata Nantucket, a bere, fumare e rimembrare il passato, quando sulla soglia è apparso Peter Burlack, quel vecchio contrabbandiere ciccione. Gli ho chiesto di sedersi accanto a me e, tra una bevuta e un rutto, mi ha rivelato di averti incontrato sull’isolotto vicino a Cuba dove ti sei rifugiato. Puoi immaginare il mio stupore e la mia gioia! Mi sono messo a scriverti di getto e gli consegnerò questa missiva prima che riparta. Spero proprio che sia vero e che le tue ossa siano ancora lì al loro posto, così come il tuo naso da maledetto corso.
Torniamo a noi, dove eravamo rimasti? L’alcol inizia a giocarmi brutti scherzi. Ah sì, la vita! La vita è come un tramonto arrivato troppo presto: lo aspettavi, non sei pronto, ma è comunque bellissimo. Perché in quell’ultimo e definitivo calar del sole ardente che è la morte rivedi tutto ciò che hai fatto e capisci per la prima volta chi sei… pardon, chi sei stato. Così fu per Marie Anne, John, Vince e tutti i membri della Drunk Fury. Siamo rimasti soli, io e te, i due pirati meno credibili della storia; ma ora, nel crepuscolo della mia stanza, realizzo che abbiamo finalmente un’altra missione da compiere.
La nostra storia, mitizzata in tutti i Caraibi, conosciuta da ogni singolo fratello della regione, nonché dai servizi segreti spagnoli, oggi deve essere riportata per ciò che fu davvero. Il mondo intero deve venirne a conoscenza, per sapere che ci fu un momento in cui il debole si oppose al forte, il sottomesso al potente, i rivoluzionari all’Impero. Dobbiamo scrivere per infondere speranza a chi oggi si batte contro l’arroganza e la prepotenza, contro i conquistatori e i dominatori di ogni luogo. Da tempo pensavo di buttar giù queste memorie, fratello, ma da solo sapevo che non avrei mai potuto farlo, perché tu conservi l’altra parte dei nostri ricordi. Oggi ho appreso che sei ancora vivo, e discutere con Burlack mi ha riportato a sedici anni fa, quando sfidammo insieme l’oceano e l’inferno, spade e cannoni, fortuna e avversità. Questa notte Marie Anne mi guarda dalle stelle, e il firmamento mi parla e mi sprona a tornare ad agire, a ripudiare questo esilio troppo a lungo durato, troppo a lungo nascosto dal mondo e dal destino.
Paul, fratello mio, pazzo rivoluzionario fissato con Dio e la democrazia, prego che questa missiva ti arrivi e ti trovi sano e salvo, perché ho bisogno di te un’ultima volta. Di te e dei nostri compagni, o meglio di ciò che ci confidarono in segreto in quegli anni di fuoco e sangue. Il ricordo di quei gran bastardi che abbiamo tanto amato deve scaturire da due menti brillanti, anche se offuscate dall’alcol, due anime dannate ma non ancora sconfitte, e due penne: su quelle, ai postumi l’ardua sentenza. Ora a noi due, vecchio mio, abbandoniamo le sciabole e impugniamo le penne, e se è vero ciò che dice Peter, se sei vivo e dentro il tuo petto arde ancora la fiamma della Drunk Fury, scrivimi e unisciti a me in quest’ultima avventura. Per Marie Anne, per Chepi, per la rivoluzione.
Tuo, come sempre,
Jack
II. Fantasmi del passato
15 febbraio 1718
Caro Jack,
quando Peter mi ha narrato il vostro incontro, avevo quasi paura a crederci: quindici anni. Tanto è passato da quando ti vidi l’ultima volta, e ora leggo il tuo nome scritto con inchiostro tremolante su questa carta intrisa di salsedine. Mentre ti scrivo sono qui in veranda e la tua lettera allevia il mio animo stanco. La brezza della sera mi porta un po’ di fresco, carezzando dolcemente questo viso vecchio e rugoso. La bottiglia di rum è qui con me, e le tue parole risvegliano il mio antico ghigno: ciò che ci accadde, tutto quello che abbiamo conquistato e perso, non ha mai spento quel fuoco che mi brucia dentro, quella furia che ci portò a lottare per qualcosa di più importante dell’oro. Per tutta la vita ho servito gli stessi ideali, combattendo dalla Corsica al Mediterraneo, dalle Americhe all’oceano, dall’Africa all’inferno, e non smetterò certo adesso: hai ragione, questo esilio è durato fin troppo ed è ora di affrontare i demoni del nostro passato. Attraverso il racconto, faremo in modo che la fiamma della rivoluzione passi ad altri e non si estingua mai.
Vorrei scriverti tante cose, però hai ragione, brutto demonio: a quattrocchi è tutto più semplice. Ma in questo isolotto vicino a Cuba chi mai potrebbe raggiungermi? Forse nemmeno tu, mio buon furfante. Evidentemente è la provvidenza che ti ha fatto incontrare Peter, perché quel vecchio maiale ogni mese mi porta provviste e quanto mi serve per sopravvivere. Perciò, eccomi qui a scrivere per la prima volta qualcosa di diverso dal diario della Drunk Fury, la nostra democrazia, la repubblica del mare. Mi sono costruito una piccola casa, vado a caccia, leggo, fumo. Proprio adesso sto fumando questo tabacco spagnolo: è amaro, lo sento crepitare fra le mani, lo assaporo, lo ingabbio nei polmoni, nella gola, e lo lascio uscire a poco a poco, quasi potessi fare uscire con lui le fatiche del nostro passato. E ho un molo, sai, dovresti vederlo: è solido, il legno è buono, viene dall’Hudson. Talvolta vi passeggio fino all’orlo, fino a scrutare il mare. No, non è vero, non talvolta: tutti i giorni, tutte le sere, fumando la pipa che mi regalò la trapper. Ricordi quanto era bella, la mia dama dell’Hudson? Era bella, più bella di una notte stellata in mezzo all’oceano impetuoso, e aveva il diavolo in corpo: amava come se fosse l’ultima cosa che potesse fare prima di morire, combatteva come se da questo dipendesse il destino dell’intero universo. E adesso è andata, anche lei. Quando vado sul molo guardo il mare, lo osservo, ci parlo. Il mare, Jack, l’oceano, l’oceano! Con quanta forza ci attira, noi poveri diavoli, noi animi vagabondi, noi pirati fedeli alla democrazia. La democrazia è l’unica cosa che conta. La democrazia, e il rum. La democrazia è un bicchiere di rum per ogni membro dell’equipaggio, mozzo o capitano che sia. Il rum ci dona la vita, e in quel bicchiere si riassume tutto. E poi viene il sesso, e il tabacco. Il Santo Padre ci perdonerà, perché lui perdona sempre. Ma il mare, Jack, il mare mi attira ancora, quello scrigno oscuro, quel dio misterioso, che tanto generosamente ci ha ricompensati e tanto duramente ci ha colpiti. Abbiamo il mare nel sangue, nelle viscere, nel cuore, quant’è vero che la cara, vecchia Corsica mi ha buttato fuori dal suo ventre corrotto da quei bastardi genovesi! E ogni giorno sono tentato di riprenderlo, una forza irresistibile mi trascina verso di lui. Ma abbiamo quarant’anni e le fatiche del corpo e dell’anima mi pesano sempre di più.
Hai ragione, Jack, che tu sia dannato! Dobbiamo scrivere la storia dei nostri compagni, dei morti e dei vivi, di colui le cui labbra sono macchiate di rosso rubino e della ciurma maledetta. Dobbiamo scrivere per loro, per la rivoluzione, perché il mondo sappia che cosa ha fatto davvero la Drunk Fury. Ora che la democrazia è morta e lo Stato è sorto, ora che il mare ci chiama e noi resistiamo a stento, ora che i fantasmi dei vecchi compagni bussano tutte le notti alle cupe porte dei nostri sogni, noi dobbiamo scrivere. Hai detto bene: siamo i pirati meno credibili di sempre, non lo siamo diventati per scelta, ma per ragioni molto più grandi di noi. Oramai siamo rimasti soli, e non ci resta che narrare ciò che accadde. Questo cagnaccio malandato è pronto per un’ultima avventura, dannato demonio! In alto i bicchieri, Jack, e via d’un fiato. Riempi di nuovo la coppa e stammi vicino in questa missione, vecchio mio, e io starò vicino a te.
Tuo, come sempre,
Paul
III. Nemici nell’ombra
1 marzo 1718
Caro Paul,
Nettuno sia lodato! Non ero sicuro di potermi fidare delle parole di Peter, e invece eccoti: leggere la tua lettera, immaginarmi la tua voce con quel rude accento corso, mi fa già sentire meglio. Sapere che c’è un altro uomo nel vasto mondo che condivide i miei stessi ricordi mi rende meno solo, e il fardello sulle mie spalle un po’ più leggero. Come i raggi del sole trafiggono la tempesta e infondono negli occhi che si alzano una nuova speranza, così tu, Paul, rappresenti l’unica possibilità di dare un senso ai giorni che mi restano. A parte il rum. E le donne. Ma queste ultime iniziano a scarseggiare, così come i pochi soldi che mi tintinnano in tasca: penso che ci sia una correlazione tra le due cose, in effetti. Rum e tabacco: ecco tutto ciò che resta a noi, fedeli alla nostra Drunk Fury, la furia ubriaca condannata ai feroci marosi. Le catene, spezzate nella notte, ancora giacciono sul fondo dell’oceano, mentre noi due, fantasmi di una vita trascorsa, vaghiamo sulla terra in preda a ricordi e allucinazioni.
Caro Paul, il viaggio deve iniziare, lo so, ma ora che impugno la penna come una spada rovente ho paura a scrivere, a dare all’inchiostro la forma dei nostri compagni. Come fare? Come rendere vivo Bob lo Storpio? Come far intuire a chi legge il profumo di Marie Anne, o il suo sorriso? Ah! Vecchio mio, questa sarà forse la nostra più grande impresa! Viaggeremo nell’Ade e poi oltre, nei mari infernali, per riportare a galla i nostri compagni. Te lo ricordi il negro, Moha? Lui sì che era un pirata coi fiocchi, forgiato nell’ebano dell’Africa selvaggia. E ora è a far compagnia ai pescecani nelle oscurità marine. Ricordi il giuramento durante la tempesta nella Terra del Fuoco? Gli occhi di brace del capitano Vince? Il nostro sangue versato a un solo grido, non già d’uomo, ma di cento bestie feroci? Ecco, in nome di quel giuramento noi ora dobbiamo scrivere.
Nel frattempo, occhio fratello: nemici potenti ancora ci osservano, celati tra le ombre della notte. Purtroppo non posso muovermi da Nantucket, ci sono occhi curiosi in giro, stranieri venuti da lontano, forestieri nelle tenebre. Ai Caraibi è meglio che non mi faccia vedere, almeno per il momento. Ah, i Caraibi! Cosa darei per un viaggio come ai bei tempi, per una sosta a Nassau in tua compagnia. Magari un giorno ci rivedremo, ma per ora mi basta sapere che ci sei, vivo e ubriaco come sempre, dall’altra parte del foglio. In questo momento sono qui sulla mia veranda a Nantucket, pronto a iniziare il racconto, e quando parlerò dei nostri compagni sarà come un banchetto a cui saremo ancora tutti seduti, a ridere e brindare e vivere come ai vecchi tempi. E forse in futuro, se le stelle lo vorranno, riusciremo a lasciarci alle spalle tutto questo.
Sai, tra una scrittura e l’altra curo un piccolo orto, qui fuori dalla mia dimora. Il mare non lo vedo, ma riesco a sentire l’odore della salsedine, la brezza dell’oceano mi scompiglia il ciuffo. E sento il profumo di Marie Anne, e l’eco delle nostre promesse d’amore finite nell’abisso senza fondo.
Tuo fedele compagno,
oggi e per sempre,
Jack
IV. Ritorno a Cartagena
30 marzo 1718
Caro Jack,
perdona l’attesa dello scorso mese, immagino tu ti sia preoccupato. Dopo aver ricevuto la tua ultima lettera ho deciso di muovermi come un fantasma: ho chiuso la baracca e l’ho camuffata coprendola con sassi, foglie di palma, rami e pelli; quantomeno, se qualcuno dovesse arrivare su quest’isola sperduta, penserebbe a una dimora abbandonata. Ho distrutto il molo, un lavoro lungo e faticoso, e se tornerò sarà difficile approdare, ma per fortuna vi è una caletta a sud-est dove il mare è calmo e le onde dolci. Ho stipato un po’ di provviste e una borsa striminzita sulla barcaccia, e sono partito verso Cartagena. Ti ricordi Cartagena? Così bella, con quella maestosa Cattedrale, il vociare di marinai, spie, puttane, coloni e balordi per tutto il porto, i profumi dei fiori sui balconi e nei giardini, le pattuglie spagnole che tanto ci cercarono. Sono venuto qui perché hai ragione, vecchio demonio, è necessario scrivere la storia dei nostri compari, ma questo prevede che io recuperi alcuni ricordi che nascosi in città. Certo, è stata dura tirar fuori la mia barcaccia dalla grotta dove l’avevo nascosta, lode a Poseidone! Tante alghe da strappare, polpi da cacciare, tutta la carena da rifare, i remi da limare e pulire, la vela da cucire di nuovo. Ma alla fine ci sono riuscito, e ora ti sto scrivendo dalla mia vecchia camera della Santo Bebedor, la locanda dove incontrammo la trapper e la rivoluzionaria, ricordi? Il rum è al mio fianco e indosso i miei vecchi abiti da pirata: il gilet di cuoio nero, gli stivali lucidi, la camicia bianca della messa della domenica, gli avambracci di cuoio e i pantaloni a sbuffo. Dal cinturone con la fibbia d’argento pendono ancora la mia corta daga e il pugnale ricurvo, un coltello a serramanico in tasca e un altro nello stivale destro, proprio come ai vecchi tempi. Le mie pistole si trovano sempre a loro agio sul gilet, cariche e pulite. L’impermeabile e il cappello sono appesi alla porta della camera, pronti a celarmi nelle oscure vie della città.
Jack, quanto mi mancava solcare il mare! È stato un viaggio degno del miglior arrembaggio, del miglior rum, della miglior elezione! Mi sento rinvigorito di anni, anche se il fisico si impegna a ricordarmi che non sono più un giovane sbarbatello. Lascare la vela, direzionare il timone, sentire il legno dell’albero curvarsi sotto il peso del vento, vedere i pesci volanti saltarmi attorno e catturarne alcuni: il mare vive in noi, mio vecchio amico, ed è tornato come un uragano nelle mie vene. Anche adesso salperei di nuovo, ma so che dobbiamo prestare attenzione.
Sono sbarcato poco fuori città, ho nascosto la barcaccia e mi sono confuso tra la folla della domenica per entrare e dirigermi al porto: nemmeno tre ore e un bastardo genovese mi stava alle calcagna. Quando me ne sono accorto, mi sono infilato nei luridi vicoli del centro e il coglione mi ha seguito. Riuscivo a sentire il suo puzzo da assassino prezzolato a trenta metri: tanta era la distanza che teneva fra noi. Camminavo fra la merda e gli ubriaconi per terra, ho gettato loro qualche moneta, ho fatto girare come una trottola il mio inseguitore. Ho capito che era genovese quando l’ho portato in un viottolo oscuro che ospita un unico bordello e il cane ha dovuto parlare con le puttane all’ingresso per evitare che lo beccassi. L’accento era genovese, pesante: hanno così poco da fare che ancora mi cercano, ed evidentemente il mio viso non è cambiato molto. Da quanto mi attendeva in città? Ve ne sono altri in giro? Non ho queste risposte, Jack, non ancora. L’ho aspettato nel vicolo successivo, mi sono acquattato nell’ombra e ho sentito i suoi passi avvicinarsi cauti: mi aveva perso di vista dietro l’angolo, non sapeva dove fossi finito. L’ho sentito sguainare un rasoio, e immagino fosse alfine pronto ad aggredirmi; in effetti, il quartiere era abbastanza desolato nella sera che ormai era giunta. Mi ha superato senza vedermi, gli sono saltato alle spalle, l’ho sgozzato come un cane mentre passava e ho sentito la vita spirare dalle sue membra, mentre ancora si dimenava disperato, contorcendosi nel vano tentativo di trattenere il sangue che sgorgava inarrestabile. Era giovane, avrà avuto vent’anni, ma il viso sembrava già vecchio: chissà cosa lo hanno costretto a fare prima di inviarlo qui. Mi sono defilato prima che qualcuno mi vedesse: la vendetta corsa non perdona mai, e quel bastardo portava un documento della Casa delle compere e dei banchi di San Giorgio. Anche se non governano più la mia isola, quei banchieri schifosi ancora mi vogliono morto. Immagino che anche il servizio spagnolo ci voglia zittire per sempre, e non sono più sicuro che la barba, i baffi e il tempo mi abbiano reso sufficientemente irriconoscibile.
La Santo Bebedor invece è sempre uguale, la señora Inés è la stessa, non sembra cambiata di un giorno: grassoccia e simpatica come sedici anni fa, quando la conoscemmo. Vi sono giunto poco prima che un temporale squassasse l’aria e mi sono infilato nella sala grande: l’odore di rum, sudore, tabacco, carne salata e pesce grigliato mi ha investito le narici. I tavoli erano affollati di gente di ogni risma, anche se ora sono perlopiù marinai e fanti di marina spagnoli; come ai vecchi tempi, ho pensato che non mi cercheranno proprio nella tana del lupo.
Ho con me un documento contraffatto che mi indica come François Ferney, marinaio scelto della Tridentus, goletta mercantile armata dalla Casa di San Giorgio. Risulto congedato da tre anni, se qualcuno dovesse farmi domande, ho vissuto come pescatore vicino a L’Avana e ora sono venuto a Cartagena per vedere se vi è qualche possibilità di guadagno o di trovare un nuovo impiego.
Ho bevuto una tequila e mangiato del maiale arrosto, poi ho preso la chiave della mia stanza, ho pagato con i soldi rubati al mio assassino e ho aggiunto un sovrapprezzo affinché nessuno mi disturbi. Per ora dovrei essere tranquillo, ma in caso dovessi avere sentore di un qualsivoglia pericolo, fuggirei subito. Sto tentando di mantenere un profilo abbastanza basso da non risultare interessante, ma non troppo da essere sospetto. Oggi è andata bene, domani vedremo. Adesso le mie membra stanche invocano il sonno, e il rum non aiuta, perciò, come primo atto del nostro racconto, ti allego la lettera che ricevetti dalla rivoluzionaria, quella in cui mi spiegava chi era e perché avesse bisogno del mio aiuto. Consegno il plico a Fernando, il vecchio servitore della señora Inés che ci ha sempre aiutati nelle comunicazioni a Cartagena, te lo ricordi? È invecchiato, gli occhi si sono fatti più rugosi e le palpebre più pesanti, la figura più curva, i capelli più radi, ma è sempre fedele a chi lo trattò bene e gli fu amico. E noi fummo sicuramente suoi amici quando lo aiutammo a risolvere il problema di quel viscido maiale di dottore che pretendeva di andare a letto con sua moglie in cambio delle medicine per la figlia malata. La tua pistola puntata contro il suo ventre flaccido fu un monito sufficiente per ricordare a un arrogante che non bisogna mai abusare dei più deboli. Ah, bei ricordi, mio vecchio demonio!
Mi sto dilungando, ma ritorniamo al punto: la stanchezza prende il sopravvento. Fernando bussa alla mia porta, ora chiudo anche questa mia e la sigillo insieme alla lettera di Marie Anne con il marchio della polena a forma di cobra della Black Hunter.
Nelle prossime settimane ti racconterò della trapper. Il profumo della sua chioma guerriera mi accompagnerà stanotte, e i nostri compari verranno a visitarmi. Morfeo sia generoso. Ti lascio e vado a finire il mio rum alla finestra, guardando la città viva e focosa come il mio tabacco cubano, crepitante nella pipa della ragazza indiana.
La nostra avventura inizia, la storia della Drunk Fury prenderà forma sotto le nostre penne e i nemici ancora vivi creperanno sotto le nostre lame, fugaci colpi nella notte: non ci presero allora, non ci prenderanno oggi. Bevi con me, Jack, e fammi avere tue nuove.
Tuo fedele compagno,
oggi e per sempre,
Paul
Lettera di Marie Anne
22 agosto 1702
Caro Paul,
vi prego di scusarmi se non mi presento a voi di persona, ma le condizioni attuali non me lo permettono. Mi chiamo Isabel de la Guardia y Fleura de la Vida, figlia del viceré del Perù. Ritengo questa comunicazione estremamente confidenziale e vi pregherei vivissimamente di riferirvi a me, da ora in avanti, solo con il nome di Marie Anne. Fernando, il servitore della Santo Bebedor che vi consegnerà questa missiva, è un brav’uomo che già da tempo lavora per me. Spero possa esservi altrettanto utile.
So che siete coinvolto nelle rivolte delle province occidentali: addestrate i ribelli alla guerriglia, alle operazioni sotto copertura e al combattimento in campo aperto. Soprattutto, li istruite sulla teoria della democrazia. Così mi è stato riferito dalle spie della mia guardia personale, il tenente Marcelo de la Venderia y Rapunzela. Il tenente lavora unicamente per me e per la mia sicurezza, ed essendo legato sentimentalmente alla mia dama di compagnia potrete considerarlo leale e fidato: mio padre e il padre della mia dama lo farebbero uccidere se venissero a conoscenza della sua relazione con Carmela.
Caro Paul, ciò che voi insegnate mi sembra vero e romantico, e il mio giovane cuore ventenne arde per i rivoluzionari, sotto questo corpetto che mi stringe anima e corpo: mio padre è un genitore austero e amorevole, tuttavia so che i suoi luogotenenti si comportano come bruti con la popolazione. La Spagna e l’Europa, ormai, non rappresentano più alcunché per me, non vi sono nemmeno nata! Gli uomini dovrebbero vivere liberi e in grado di organizzarsi con propri governi, non dominati da qualcuno a migliaia di leghe di distanza che li considera solo numeri e non persone create da Dio. Le spie del tenente e Carmela mi hanno riferito centinaia di episodi riprovevoli e terribili, e non vedo altra via se non la rivoluzione per fermare questa barbarie, degna più di selvaggi che di uomini innamorati di Cristo. Ho provato a parlare con mio padre della condizione dei suoi sudditi, ma già al secondo colloquio ha minacciato di rinchiudermi in un convento. Nostro Signore ci insegna a porgere l’altra guancia, ma saggiamente di guance ce ne donò solamente due e cacciò i mercanti dal tempio: i mercanti, oggi, sono i governanti delle province occidentali, e devono essere spodestati. E se il dialogo non funziona, allora la spada e il fuoco e il laccio devono prenderne il posto, anche se questo significa che non vedrò mai più mio padre. Sono una ragazza istruita e so bene come le rivoluzioni e i cambi di regime necessitino di denaro per avere successo. Il denaro latita nelle casse dei ribelli, so bene anche questo. Perciò vi sto scrivendo: voi mi servite per trovare nuovi fondi per la rivoluzione. Io so dove recuperarli, ma non ne ho la capacità. Voi, un capitano di mia fiducia e due balenieri che sto parimenti contattando, invece, avete tali capacità e potete reclutare chi volete, ma non sapete dove recuperare i fondi. Tutti riceverete una lauta ricompensa, ma i quattro decimi del bottino li lascerete a me, e a mia volta io consegnerò questa quota ai rivoluzionari delle province occidentali con il vostro aiuto, caro Paul.
Qualsiasi preda catturata durante il viaggio sarà vostra, non avanzerò pretese. Spero che questo accordo possa trovare il vostro favore e quello degli altri contraenti.
Non appena riceverò una vostra risposta, mi impegnerò a organizzare un incontro per spiegarvi come ho scoperto le ricchezze di cui vi scrivo. Ora devo andare, Carmela mi ha avvertita che mio padre è tornato alla villa con il nostro ospite. Non devono assolutamente scoprire cosa sto facendo o rischieremo il peggio, tutti noi. Vi basti sapere che dobbiamo salpare il prima possibile, perché non siamo gli unici a cercare questo tesoro.
Vi saluto caramente, Paul il Corso, e attendo vostre.
Marie Anne
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.