Nei boschi che circondano Forte Puro, dimora dei Nove Arcimaghi, il giovane Chadwick scopre il cadavere di un uomo. I segni sul suo corpo sono inequivocabilmente una firma. Ma anche l’infausto segnale di una guerra imminente tra il bene e il male: un conflitto mai davvero sopito, che adesso riprende vigore, perché gli emissari di Talar, il Crepuscolo, si stanno muovendo. Gli Arcimaghi dovranno unire le forze e affidarsi al potere del Verbo per contrastare l’avanzata delle tenebre, che vagano per il continente alla ricerca di individui dai poteri straordinari da irretire e corrompere, affinché il malvagio Talar possa prevalere.
Prologo
Jaspers allungò il becco nel tentativo di strappare le carni della carcassa. Il gozzo implorava nutrimento. L’animale contava di affondare il rostro nella ferita del costato ma era sottile, superficiale e pareva così impenetrabile. Ruotò il capo, studiando il tesoro che aveva trovato grazie al suo arguto ingegno. Il cervo era lì davanti a lui, imbandito ma irraggiungibile al gusto.
Il canto dei cardellini e degli usignoli dovette mescolarsi al lamento del buffo uccellaccio. Jaspers si trovò costretto a ricorrere al solito metodo spiacevole; aveva sperato di nutrirsi in fretta, appena visto lo squarcio rosso sulla pelle del cervo, ma le sue aspettative erano state deluse. Fece un saltello per girarsi e spalancò le ali lucide per raggiungere in volo il ramo di una betulla. Così decise di gracchiare, sbraitare senza pazienza, fino a che la sua voce acuta e ruvida permeò gli insidiosi viluppi del bosco. Stava chiamando chi avrebbe potuto aprirgli quelle carni.
Il suo alleato inconsapevole non tardò: un lupo superò il fusto di una betulla dopo aver sentito il richiamo di Jaspers e si fiondò sulla carcassa. I denti della fiera aprirono lo scrigno succulento.
I lupi non erano mai mancati a Bosco Candido. Da sempre si sentivano come indiscussi padroni di quei luoghi di mezzombra, ma Jaspers li aveva sempre sfruttati per appagare i suoi desideri, quand’anche non gli piacesse ricorrere a loro per nutrirsi con più facilità. Non amava comportarsi come gli altri corvi del bosco e generalmente disprezzava il doversi affidare ad altri per procurarsi da mangiare; quando riusciva a farlo da sé, godeva dei frutti delle sue abilità, ma stavolta era stato costretto.
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Suo malgrado, attese con pazienza che il lupo si saziasse e, quando si dileguò, Jaspers discese finalmente verso il tesoro che era stato obbligato a condividere.
La sera stava per giungere e il cielo si era già adornato del colore del tramonto. In lontananza, l’Altopiano Alabastrino iniziava ad ammantarsi di un caldo rossore e Alabéithia, l’enorme città che ospitava sulle sue alture, brillava come un diamante, assecondando le luci del sole morente. Era per ragioni come questa che l’alta città era comunemente conosciuta come Città d’Alabastro.
Jaspers aveva da poco finito di riempire il gozzo, quando la sua attenzione fu catturata da sinistri rumori in lontananza. Si voltò di scatto, schiamazzando. Sentì improvvisamente dei passi rapidi arrancare sulle foglie secche, e urti sporadici contro le cortecce degli alberi. I tonfi sordi lo preoccuparono. Gracchiò in modo secco e decise di volare via subito. Non per paura, ma per sua abitudinaria prudenza.
Un uomo pallido e smilzo avanzò tra gli alberi, con logori pantaloni sporchi di terra e una verde mantella di cotone provvista di un cappuccio. La mantella un tempo era appannaggio di chi poteva permettersi di spendere parecchie drafie d’argento per il proprio vestiario. L’uomo si voltò terrorizzato, camminando all’indietro col fiato grosso. Cadde finalmente sulle ginocchia, ai piedi di un acero. Sono salvo, pensò, immaginando di poter riposare. Poteva sentire le acque del Fiume Dhrena scorrere tranquille e quiete: erano più vicine di quanto non credesse.
Un ramo dell’acero si scosse sopra di lui e l’uomo ebbe il cuore in gola.
Alzò lo sguardo in uno scatto: un ragazzo sulla trentina era accovacciato sul ramo, agile come una pantera pronta a cacciare. Appena accortosi di lui, l’uomo smilzo riprese a correre, i capelli scuri e lunghi al vento.
Il crepuscolo giunse a coprire il cielo come un anatema. La volta si sottomise alle tenebre e la luna troneggiò chiara, illuminando ogni cosa con luce fioca.
Bosco Candido si era scoperto una benedizione per tutt’e due: prendeva il nome dal fatto che anche di notte, più spesso di quanto si pensasse, il riflesso della luna consentiva di scorgere bene dove mettere i piedi. Un incantesimo antico, si diceva, per agevolare i pellegrinaggi verso il Tomo. Quando si facevano.
Il giovane saltò di ramo in ramo, agilmente, seguendo l’uomo, disperato ma coraggioso, che s’inerpicava tra le radici sporgenti, annaspando per rimettersi in piedi durante la corsa. Ma all’improvviso non vi erano più alberi a nasconderlo: i suoi occhi e le sue orecchie non videro né sentirono altro che le calme acque del Dhrena.
Gianluca Locusta (proprietario verificato)
Sono stato tra i pochissimi ad avere il privilegio di leggere il manoscritto e mi ha immediatamente catapultato in un mondo ed una storia che volevo non finisse mai. L’autore è un grande talento con le parole riesce a trasmettere il fascino dei luoghi e a farti partecipe della sua infinita fantasia. Non vedo l’ora di leggere il continuo. Assolutamente uno dei miei libri fantasy preferiti!