Prologo
Ho fatto un sogno che vi voglio raccontare.
C’erano, nell’ordine, un cielo azzurro e magenta, il mare, due colline, due binari e un treno. Non capivo in che direzione andasse, ma sapevo che ci sarebbe stata una stazione, da qualche parte, dove sarei sceso.
Dopo il treno c’era uno scompartimento. E lì c’ero io e sei persone che non conoscevo, ma li sentivo in qualche modo familiari e cercavo di indovinare dove li avessi già visti.
C’era un ragazzo con un bloc-notes poggiato sul tavolinetto, che roteava gli occhi verso l’alto come per seguire il percorso migratorio dei pensieri, e tracciava segni su un foglio che però sembrava non riempirsi mai.
In piedi, appoggiato al bracciolo e con una gamba accavallata all’altra, un signore di mezza età indossava un elegantissimo abito di gabardine che ne fasciava il fisico leggermente pingue. Cercava, con numerose salviette recuperate dalla toilette, di liberare la suola della scarpa dai souvenir di qualche animale che doveva aver inavvertitamente pestato prima di arrivare in stazione. Faticando nello strofinio, ripeteva: «Non si può così! Non si può!». E le stille di sudore fermavano la loro corsa sul collo della camicia bianca.
Poi, qualche posto più in là, si trovava un uomo con gli occhiali che si rifletteva sul vetro in sovrimpressione sul panorama. Sembrava perso in un qualche irraggiungibile paese della mente, mentre si aggiustava compulsivamente il ciuffo con la mano e adattava continuamente gli occhiali sul naso. Mi sembrava che avesse tenuto lo sguardo fisso sul finestrino per tutto il tempo del viaggio, ammesso che, in questo sogno, il tempo avesse un significato.
Continua a leggereIncrociai poi gli occhi di una ragazza dai tratti bellissimi e delicati, che contrastavano con lo sguardo triste e gli occhi gonfi, come se avesse appena pianto. Mi chiesi cosa le potesse essere successo.
A poca distanza, l’altra improvvisata compagna di viaggio era una signora fasciata di nero e con un cappello con piume e veletta, che ne facevano ipotizzare ma non indovinare completamente le fattezze. Teneva le gambe accavallate su delle elegantissime décolleté e guardava alternativamente tutti i passeggeri e poi fuori dal finestrino. Il suo sguardo, avreste detto, vi attraversava come se foste fatti di vetro.
L’ultimo passeggero era un vecchietto che viaggiava da solo. Nonostante l’età avanzata, la schiena curva e l’aspetto dimesso, aveva uno sguardo guizzante che tradiva la presenza di un giovane mai rassegnato allo scorrere del tempo.
Mi domandai quali trame e storie si fossero avviticchiate fra loro perché fossi su questo particolare treno di cui ignoravo le tappe, e perché avessi questa compagnia.
«Signori, i vostri titoli di viaggio, prego!»
Il mio pensiero fu infranto dalla voce apparsa come dal nulla che riempì l’intero scompartimento, rincorsa poi da un uomo in divisa grigia e un borsello di pelle nera consumato agli angoli. Il volto del controllore era assolutamente anonimo, avrei potuto dire che fosse un volto noto, ma non sarei mai stato in grado di dire dove e quando lo potessi aver visto.
Cominciai per istinto a cercare nella tasca interna della giacca, poi in quelle esterne; e ancora nelle tasche dei pantaloni, davanti, dietro, fino ad aprire il portafoglio. Niente, del biglietto non c’era traccia alcuna.
Mentre sentivo l’ansia montare a ondate, mi guardai in giro e notai che nessuno dei passeggeri aveva il biglietto, ma erano stranamente calmi e mi guardavano divertiti, mentre ancora mi agitavo nelle sabbie mobili del biglietto perduto.
«Che fa? Non l’hanno avvisata quando è salito?» mi chiese il controllore.
«Già, strano che non lo sappia» disse il ragazzo con lo zaino.
«Avrebbero, uhm, dovuto, come anche tenere a bada i cani» disse il signore elegante.
«Imperdonabile, imperdonabile» disse l’uomo con gli occhiali, passando nervosamente la mano sul ciuffo.
«Ha bisogno di aiuto?» disse la ragazza triste.
«Sono sicura di no» disse vitrea la signora col cappello.
«Ma forse lei lo può aiutare» disse il vecchietto, ammiccando al controllore con il bastone e facendo l’occhiolino.
Il controllore sospirò.
«Vede, caro signore, per salire su questo treno ci vuole un titolo di viaggio.»
«Ma io non so neanche perché sono qui! Non so neanche dove questo treno sia diretto! Non so dove sia il mio biglietto» dissi io, agitandomi ancora di più.
«Ma, caro signore, chi ha parlato di biglietti? Su questo treno il titolo di viaggio è concesso direttamente dal sottoscritto.»
Guardai velocemente nel portafogli. Neanche una monetina, un ramino o una lenticchia secca. Vuoto.
«Scusi, so che la situazione è assurda,» continuai sempre più nel pallone «ma nel portafogli non mi ritrovo neanche un soldo! Non so come sia potuto succedere, non posso comprare il biglietto!» dissi aprendo il portafoglio e mostrando il vuoto degli scomparti.
I passeggeri sorrisero tutti.
«Caro signore,» continuò il controllore con tono calmo «per il titolo di viaggio di cui parlo io non sono necessari soldi.»
«Ma allora…» risposi sempre più confuso «come posso pagare? Mi dispiace molto. Devo scendere alla prossima stazione?»
«Eh, chissà quando arriverà la prossima stazione, caro signore, anzi, la sua stazione. Nessuno lo sa. Percorro questa tratta da tempo immemorabile ormai, praticamente un’eternità» disse mentre si aggiustava la cravatta. «Fermate, partenze e arrivi sono sempre imperscrutabili su questo treno. In effetti, tutti i passeggeri fanno percorsi differenti, anche se viaggiano sugli stessi binari.» Sorrise.
Capivo sempre meno, mentre tutti gli altri passeggeri si alzarono e si sistemarono sui posti vicini al mio.
«Vede, caro signore, mi sono preso la libertà, uhm, di variare un poco le regole di viaggio. Chi vuole il viaggio, se lo deve guadagnare.»
«Sì, guadagnare» annuirono in coro i passeggeri.
«Va bene, ma come posso fare?»
«Vede, caro signore, il mio può essere a lungo andare un lavoro… ammettiamolo, abbastanza noioso. Ecco perché, col tempo, mi sono sempre più interessato ai mille percorsi di ciascun passeggero. Una tratta, due binari, mille e mille percorsi, mille e mille storie. Che mi permettono di passare il tempo, fino alla prossima fermata.»
«Scusi, sono un po’ confuso, non capisco. Come viene concesso il titolo di viaggio quindi?»
«Vede, caro signore, il titolo di viaggio è concesso ai passeggeri che raccontano una storia in grado di farmi passare il tempo in maniera soddisfacente e, perché no, anche di farmi fare qualche risata nel frattempo. Una vita di binari, ma non di binari morti.» Sorrise di nuovo.
A questo punto capii. Rinfoderai il portafoglio, mi sistemai al meglio sul sedile.
Tutti i miei improvvisati compagni, a turno, cominciarono a raccontare e io ascoltai.
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