Seduta accanto al banco destinato alle operatrici d’imbarco, Elsa aveva un’ottima visuale e, come una spettatrice, osservava quel palcoscenico che rappresentava la vita degli altri. Famiglie con bambini urlanti, una giovane madre che allattava al seno richiamando primordiali coccole e tenerezze, una coppia di anziani che sfogliava la guida di Marrakech.
Elsa sorrise. La donna indicava le pagine che aveva studiato con attenzione e lui annuiva con pazienza e un sorriso carico di comprensione. Immaginava già la loro vita, magari fatta di sacrifici, drammi, gioie, soddisfazioni, figli. Forse avevano resistito alla rocambolesca avventura di una vita insieme ed ora, legati da un tempo immemore, godevano di loro due soli. Per qualche istante Elsa si scoprì invidiosa di quell’indissolubile legame, poi sorrise a se stessa, ricordandosi che le apparenze possono ingannare e magari anche quei due erano imperfetti ma recitavano una grandiosa opera, come attori che seguono il copione.
Spostò lo sguardo poi su un ragazzo che viaggiava da solo. Capelli lunghi, un po’ trasandato, vestiva con jeans e maglietta bianca, la bretella dello zaino l’aveva poggiata su una sola spalla e leggeva un libro sgualcito, ed anche lì la sua fantasia iniziò a galoppare. Decise di attribuirgli il ruolo del viaggiatore solitario, alla ricerca di qualcosa che non avrebbe trovato perché non sapeva cosa stesse cercando. Elsa stava immaginando cosa avrebbe fatto lui a Marrakech, ma la voce metallica dai megafoni che chiamava il volo la riportò alla realtà.
Raccolse le sue cose e indossò il cardigan nero che all’ultimo secondo aveva afferrato da una sedia in cucina prima di lasciare l’appartamento di sua sorella a Palma di Maiorca. L’aveva preso per proteggersi dalla pressurizzazione dell’aereo. Ora, mentre infilava le maniche, sperava che non si sentisse l’odore di melanzane che aveva fritto la sera prima, quando aveva improvvisato una parmigiana che aveva gustato sul balcone insieme ad alcuni amici mentre scendeva la notte mallorquina.
Mise il libro che aveva pigramente sfogliato nell’ampia borsa di pelle e si diresse verso la fila che si stava formando.
Mentre cercava il passaporto e la carta d’imbarco pensò quale vita si sarebbero inventati per lei gli altri passeggeri, eventuali inventori di storie, vedendola sola: una donna sulla trentina, alta quasi più degli altri, con un cardigan che le copriva la canotta e i pantaloni di cotone, i cui colori richiamavano il tramonto, rosso, arancio e rosa. Quello era l’unico volo settimanale che copriva la tratta Palma di Maiorca-Marrakech.
Sospirò. Avrebbero potuto immaginare qualunque cosa, ma difficilmente si sarebbero avvicinati alla realtà. Una realtà che non credeva neanche lei stesse vivendo, in viaggio da un’isola, dalle Baleari verso il Nord Africa.
Ecco un altro motivo per il quale adorava il viaggio: mentre percorreva la distanza tra punto di partenza e destinazione si illudeva che tutto venisse dimenticato, perdonato, giustificato, che il tempo si fermasse perché lo si stava percorrendo.
L’essere in un non luogo le dava la sensazione di potersi distogliere dalla realtà e così anche quel giorno, appena salita sull’aereo, staccò le spine dei pensieri reali e mentre si accomodava sulla poltrona che le avevano assegnato si dedicò ai pensieri più improbabili. Avrebbe potuto recitare qualsiasi copione, per due ore poteva permetterselo.
Poco dopo il decollo si addormentò, per risvegliarsi solo con la voce dell’assistente di volo che annunciava l’atterraggio in massimo venti minuti. Si ricompose, si guardò intorno per guardare gli altri passeggeri, ma aveva perso di vista la famiglia, la neo mamma, la coppia felice o infelice, il ragazzo trasandato alla ricerca del suo io.
Si concentrò. L’annuncio dell’arrivo imminente la riportò alla realtà. Una sensazione di vuoto nello stomaco le fece capire che il tempo non tempo che si era concessa stava scadendo e presto si sarebbe trovata di fronte alle sue scelte, al vero motivo per cui era su quel volo.
Cercò di farsi coraggio mentre con un nodo allo stomaco vedeva la realtà, in quel momento fatta di campi aridi e colori che variavano dal marrone scuro al giallo chiaro, avvicinarsi. Poi, mano mano che scendevano di quota, notò che faceva capolino una linea grigia dritta, presumibilmente un’autostrada che tagliava a metà campi secchi e blocchi di case quadrate color argilla circondati da una catena montuosa, magari l’Atlas di cui aveva letto in qualche libro.
Guardava il paesaggio sconosciuto per scoprire e iniziare a familiarizzare con il luogo. Il suo senso di colpa l’aveva portata fino a lì.
MARRAKECH
FINE SETTEMBRE 2018
ELSA
L’atterraggio era stato dolce. Sulla scaletta all’uscita dell’aeromobile Elsa fu investita dal caldo secco che le veniva soffiato sulla pelle da un vento leggero.
Dopo aver sbrigato le formalità del controllo di frontiera e aver recuperato il bagaglio, Elsa si guardò intorno in quell’immenso aeroporto che ricordava un alveare con il soffitto pieno di buchi, con disegni tipici mediorientali, e dopo qualche giro a vuoto trovò l’uscita e vi si diresse.
Non era stato difficile trovare un taxi, tutti i tassisti le erano venuti incontro indicando la propria auto. Una volta entrata nel taxi giallo un po’ datato, come dimostravano i tappetini lisi, venne investita da un odore acre che ipotizzò fosse di fumo, considerati i segni di bruciatura sulle fodere che coprivano i sedili. Forse il tassista ci fumava dentro. Infatti, notò subito lei, il guidatore aveva ancora la sigaretta tra le dita quando le chiese dove portarla. Elsa, che parlava francese e non arabo, gli porse il telefono per fargli vedere il nome dell’hotel.
Il tragitto in taxi fu particolare. Lasciato l’aeroporto, presero una superstrada, la stessa che Elsa aveva visto dall’aereo. A tratti era desertica, poi cominciarono a comparire mucchi di case e il centro abitato si fece più vicino, con uomini su asini carichi di cesti di frutta e donne che portavano carretti pieni di pane arabo. Le palme iniziarono a fare capolino su ogni lato della strada. Il tassista si accendeva una sigaretta dietro l’altra mentre continuava a rispondere al telefono parlando in arabo.
Conclusa la superstrada, la superficie dell’asfalto era meno lineare e la macchina sobbalzava sui vari dossi. Attraversarono un portone ed Elsa capì che stavano entrando nel cuore della città, avevano appena superato le mura. La città era affascinante e caotica: le strade strette tra i vicoli che si insinuavano tra file di case il cui colore sabbia o ambrato veniva ravvivato dai tappeti variopinti di alcuni negozi che li esponevano all’esterno, oppure dalle decine di vasi pieni di spezie di tutti i colori poste fuori.
Il tassista era esperto nel muoversi tra quelle viuzze. Evitò per miracolo un uomo in bici che portava ceste di melograni, e la moto che a tutta velocità trasportava cartoni pieni di uova fresche. Vedendolo con la coda dell’occhio, Elsa si coprì le orecchie, quasi per non sentire il tonfo, già se lo immaginava schiantarsi contro la bancarella del negozio dall’altro lato della strada, finendo su piatti e ceramiche dai colori esotici.
Subito dopo aver superato un negozio che esponeva lampadari magrebini, e dopo aver dato un paio di colpi di clacson per far spostare quella moltitudine di persone che viveva la sua quotidianità per quei vicoli stretti (donne con il velo, uomini con lunghi caftani, carretti, bici, moto che trasportavano cibarie di ogni genere), il tassista si fermò di colpo ed Elsa vide il nome dell’hotel che in realtà era un Riad.
L’uomo scese dall’auto e depose il suo bagaglio, lei lo pagò ed entrò spingendo un pesantissimo portone di legno.
L’interno era magnifico, le pareti erano color ocra scuro. Dal soffitto interamente ricoperto di tasselli di mosaico, di varie tonalità di verde, pendeva un lampadario a forma di lanterna, che aveva il colore dell’ottone. Anche il pavimento era ricoperto di piccole mattonelle che costituivano parte di un mosaico: rosse, gialle, blu e posizionate, con infinita pazienza, l’una accanto all’altra per formare tanti piccoli rombi. L’ingresso era separato dal resto della struttura da colonne che si congiungevano in un arco arrotondato.
L’hotel che Elsa aveva prenotato era un Riad che in passato era stata un’antica abitazione, tipica marocchina. Quella che una volta era una dimora ora era diventata meta di vacanze. Le stanze, che avevano preso il posto degli appartamenti, erano su due piani costruiti intorno al patio. Arrivata lì, Elsa sollevò gli occhi verso il soffitto, scoprendo che un enorme albero di banano si ergeva fiero da terra a cielo, superando i balconi che si affacciavano su quel cortile interno.
Vicino al banano c’era una fontana zampillante con intorno dei tavoli di ferro, che, stando alle foto di Tripadvisor, era il luogo dove gli ospiti si servivano della prima colazione su tovaglie coloratissime. Elsa immaginò che lì dove ora erano apparecchiati i tavoli in ferro un tempo c’era il giardino. Chiudendo gli occhi inspirò profondamente tutti gli odori di quell’antico patio: zenzero, incenso e altre spezie, immaginando tempi lontani.
L’arrivo del receptionist la riportò alla realtà e dopo essersi registrata chiese al ragazzo se poteva dire al suo manager di informarlo del suo arrivo. Il ragazzo accolse la richiesta con sorpresa, ma annuì. Poi lei lo seguì per le scale e quindi entrò nella camera dalla porta che il ragazzo aveva lasciato aperta. Quando il receptionist si congedò, Elsa lasciò cadere la borsa e la valigia sul pavimento in mattoni.
La stanza non era molto grande, ma il letto sembrava davvero confortevole. L’ocra e il verde erano i colori predominanti e le lampade sui tavolini bassi, ai lati del letto, erano tipiche marocchine: rotonde, fatte di vetro di tanti colori.
Si sfilò i sandali, chiuse le tende e, disfatto il letto, ci si accoccolò sopra. Viveva spesso all’estero e i suoi familiari erano abituati ai suoi viaggi. Non rotolavano nell’ansia di ricevere notizie il prima possibile, dunque li avrebbe chiamati più tardi.
Mancavano alcune ore all’appuntamento, l’aperitivo, quindi non accese il telefono, tanto avevano già deciso che non si sarebbero sentiti fino al momento del loro incontro.
Sorrise. Quell’aura di mistero dava un tocco da spy story al tutto. Anche se non era il caso, comunque sentiva il nervosismo salire, e come sempre in quei casi, all’ansia rispose con il sonno e si addormentò.
Un paio d’ore dopo si risvegliò, impiegò qualche istante per rendersi conto di dov’era e per svegliarsi completamente. La penombra che si rifletteva nella stanza indicava che il sole si stava preparando a dare la buonanotte a quella parte del mondo e la sera per fare capolino. Si stiracchiò e guardò l’ora, erano le 19:00, l’applicazione del meteo sul telefono indicava che il sole sarebbe tramontato alle 19:33.
Si alzò e si diresse verso il bollitore in dotazione in camera, mise una bustina monouso di caffè solubile in una tazza e mentre l’acqua arrivava a bollore si spogliò. Versato il caffè nella tazza lo lasciò raffreddare, nuda andò in bagno per farsi una doccia e poi, in accappatoio, sorseggiando il caffè, accese lo smartphone e con il codice wi-fi dell’albergo si connesse al mondo. Incredibile come in un periodo in cui tutti si professano super impegnati, questi tutti riescano ad intasare un telefono spento per qualche ora con messaggi inutili, pensò. Dopo aver smaltito i messaggi futili, inviò cenni di vita alla famiglia, chiamò sua madre, scrisse a sua sorella per ringraziarla dell’ospitalità e, finito il caffè, chiuse di nuovo con il mondo per prepararsi alla sua serata.
Ilena Ricchizzi (proprietario verificato)
È un libro scorrevole e piacevole. Mi sono immersa totalmente nelle descrizioni dei luoghi scritte talmente bene che quasi provavo freddo leggendo i capitoli ambientati a Courmayeur sulla neve e fame leggendo i capitoli con la descrizione di deliziosi piatti Marocchini, Greci e Belgi!
La protagonista ispira forza e tenacia nel
perseguire la ricerca della felicità e del compagno di vita ideale.
Avrei voluto fosse più lungo ma purtroppo ho terminato la lettura in pochi giorni.
Spero che l’autrice abbia già in cantiere un’altro bel racconto come questo, lo leggerei sicuramente molto volentieri.
Maria Elena Cutracci (proprietario verificato)
Ho letto la bozza in 2 giorni, non riuscivo a staccarmi dalla quotidianità di Elsa e dalle sue avventure di vita. Non vedo l’ora di avere il libro tra le mani per poterne sfogliare le pagine e rivivere le gioie e le paturnie della protagonista.
È un racconto contemporaneo che analizza disagi e malattie senza vergogna.
I disturbi alimentari, la violenza psicologica sulle donne sono tematiche diffuse ma di cui purtroppo si parla ancora troppo poco e Elsa attraverso le sue parole ispira e conforta.
Adoro il personaggio Georges! Un gentil’uomo d’altri tempi, il sogno di ogni donna che per Elsa si avvera. Beata lei!
Mi auguro di poter leggere in futuro altre
sue avventure, già mi manca!
Alessia Cutracci (proprietario verificato)
Lettura scorrevole e piacevole, scorri le pagine senza neppure rendertene conto. Le descrizioni sono coinvolgenti e reali sembra di vivere i posti e sentire i sapori e gli odori delle cose che vengono descritte.
Ho molto apprezzato che la protagonista non sia la solita eroina perfetta ma viene raccontata con i suoi limiti e problemi senza vergogna. Quando ho finito di leggerlo ho provato quella profonda sensazione di sentire la mancanza dei personaggi, in particolare di Elsa che viene voglia di abbracciare. Lo consiglio!
Elena Papa (proprietario verificato)
Ho finito la bozza inviata in meno di 24h ( nonostante sia corposa)…perché la storia di Elsa si legge tutta d’un fiato, ma non per questo priva di riflessioni profonde. Una scrittura spigliata, a tratti ironica, a tratti malinconica…Elsa e la sua ricerca della pace interiore,della sua Itaca, del suo sentirsi soddisfatta di se stessa senza cercarsi nello specchio altrui vi terranno incollati ogni pagina che sia ambientata in Marocco,sulle nevi, o sul mare del nord 🎈consigliatissimo!