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Tu devi essere Lauro

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Consegna prevista Dicembre 2024
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Un giovane e goffo uomo è bloccato in un’esistenza soffocante: da un lato, un lavoro che lo svilisce, dall’altro, una madre dalla quale non sa svezzarsi. Un giorno però, arriva una soffiata nella piccola redazione dove lavora: a Wadi Musa, in Giordania, stanno per eleggere come sindaco un cavallo. La persona incaricata di svolgere questo scoop sarà proprio lui. Oltre a non sentirsi in grado, è costretto per questioni di budget a raggiungere la Giordania in automobile: questi sono elementi che contribuiscono ad alimentare la sua ansia cronica. Inoltre, ad accompagnarlo ci sarà solo un interprete, che tuttavia – si vedrà – non interpreta. È questa la base da cui si crea un crescendo di situazioni, che procede di città in città e che lo porta a conoscere l’altro, il diverso da sé. L’esperienza che il protagonista vive, a volte, sembrerà assurda, improbabile, ma è proprio questa stranezza a forgiarne il senso ultimo: capire l’imprevedibilità della vita, e imparare a domarla con la parola.

Perché ho scritto questo libro?

L’idea di questo romanzo è partita da stimoli di origine molteplice: alcuni di tipo intellettuale, come la riflessione sul potere della parola o sulle variabilità del quotidiano; altri di tipo tecnico, in particolare il desiderio di riuscire a rappresentare le evoluzioni delle contraddizioni di una mente inesperta tramite il punto di vista della mente stessa; e alcuni di tipo storico, dovuti alla tristezza provata nel conoscere lo splendore passato di luoghi ora devastati dall’uomo.

L’autore devolverà il suo intero ricavato della fase di pre-ordini a Medici Senza Frontiere per supportare gli aiuti umanitari in Medio Oriente.

ANTEPRIMA NON EDITATA

[…]

Salgo le scale fino al terzo piano.

È lì che lavoro. Cerco sempre di evitare l’ascensore perché penso: «E se, per sciagura, dovessi rimanere bloccato, quanto mi sentirei stupido a non aver fatto tre rampe di scale a piedi?» Forse è una paranoia inutile, ma non ho ancora trovato una motivazione valida per convincermi del contrario. La signora della portineria crede che sia fuori di testa. E ogni tanto, quando arrivo in ufficio col fiatone, lo penso anche io.

Oggi, ad esempio, la fatica si fa sentire più del solito; non ho proprio voglia di lavorare – questo in realtà quasi sempre –, e non riesco a togliermi dalla mente la scena del parco. Mi sta venendo uno strano tic: ogni volta che mi passa per la testa, reclino la nuca e faccio una smorfia con il viso. In più mi sento sprecato: il meccanismo dipendente-datore di lavoro non mi si addice proprio. E mi capita anche di immaginare il capo mentre ci prova con mia madre – la visione mi fa venire la nausea.

Guardo l’orologio.

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Come al solito, sono in ritardo di cinque minuti. A nessuno interessa: sono solo il classico garzone della cultura pop americana che porta il caffè al boss e che, puntualmente, lo consegna liscio quando lui lo vorrebbe macchiato. Ma io non sono così stupido: glielo porto sempre macchiato.

Certe volte mi sbaglio con lo zucchero. Due o tre tacche? Non ricordo nemmeno ora.

Apro la porta dell’ufficio.

C’è un silenzio tombale. È molto insolito.

La mia è solo una piccola redazione, per nulla rilevante allo stato attuale delle cose. Ci occupiamo principalmente di notizie locali: “Strage in via Cesena, due gatti investiti da un settantasettenne miope” e cose del genere.

Nonostante ciò, il mio datore di lavoro è un tipo molto ambizioso: vuole che sia sempre tutto perfetto; e ogni minimo articolo deve essere scritto meticolosamente, come se fosse una notizia da prima pagina di un famoso quotidiano nazionale. Certe volte la cosa mi fa un po’ ridere. Il suo sogno sarebbe proprio che il nostro – se posso considerarmi parte della redazione – giornale cresca a livello nazionale. Probabilmente non ci dorme la notte. Ma io dubito accadrà.

Quasi dimenticavo il nome, magari potrebbe interessare: Ego. Nomen omen direbbe qualcuno. Lo penso anche io. Fa ancora più sorridere associato al nome del capo: Salvatore. Mi dà l’impressione di qualcosa di trascendente, una figura religiosa da cui tutti noi, poveri omuncoli, siamo visceralmente dipendenti.

In ufficio, oltre a lui, attualmente siamo in cinque. Quindi, se la matematica non è un’opinione, oltre a me, sono in quattro: quattro gatti davvero. Anzi oserei dire quattro scarafaggi: persone davvero insulse.

Mi spiace parlare così male di loro, ma se c’è una categoria che io non sopporto, è quella degli ignavi. Se ce n’è un’altra, è quella dei leccapiedi. Loro hanno entrambe le caratteristiche: ambo! Non si espongono mai, né tantomeno si azzardano a contraddire Salvatore: appena lui apre la bocca, loro si affrettano a dare il consenso. Spesso penso che non ascoltino nemmeno cosa dice. Sarebbe divertente se un giorno provasse a fregarli.

Fossi io al suo posto, lo farei.

Un po’ ansimante, tra un pensiero e l’altro, mi dirigo verso la sala riunioni per vedere se li trovo.

Ebbene sì! Nonostante in totale ci siano appunto sei persone in questa redazione, il mio capo ha voluto una sala riunioni da multinazionale giapponese, con tutti i crismi possibili: poltroncine super confortevoli, schermo ultrapiatto, lavagna interattiva multimediale – mai usata – e, ovviamente, macchina del caffè – usata fin troppo.

Apro la porta facendo il più piano possibile. Non vorrei disturbarli: magari stanno parlando di cose importanti. Detta così, mi sembra un po’ una battuta – e mi viene da ridere.
«Ah, sei arrivato finalmente. Siediti! Dobbiamo parlare di cose importanti».

Senza dire una parola mi siedo.

Se prima mi veniva da ridere, ora mi viene un po’ d’ansia. Cosa ci sarà mai di così importante?

«Carissimi colleghi – ci chiama sempre così –, buongiorno. Quando ho deciso di aprire questa redazione, ben otto anni fa – buon Cielo, non ci racconterà ancora tutta la storiella? –, ero solo un giovane esule siciliano – sì, ce la racconterà. Ho comprato questo ufficio con i risparmi del mio primo lavoro: il fattorino. Vi garantisco che consegnavo melanzane a domicilio come più nessuno dopo di me ha fatto! Adesso, mese dopo mese, anno dopo anno, ma soprattutto giorno dopo giorno, ho visto le cose crescere sotto ai miei occhi – ma lavoriamo nello stesso posto?. Da quando ho iniziato questa attività ho avuto un solo obiettivo: crescere. Far sì che un giorno il mio, il nostro Ego diventasse una testata di fama nazionale. Oggi, cari miei, è arrivato quel giorno».

Vorrei ridere di nuovo.

Mi guardo intorno. Gli altri quattro scalmanati lo fissano con la bocca aperta, come pesci fessi, non lessi, che si nutrono del suo parlare. Secondo me non stanno nemmeno capendo cosa dice.

Dopo un attimo e mezzo di attesa, confermano il mio sospetto con un fragoroso applauso.

«Grazie, grazie. Grazie», risponde loro abbassando lo sguardo, con un accenno, palesemente finto, di timidezza.

Ora scoppio.

«Ho ricevuto, da fonti attendibilissime e super segrete – c’è davvero qualcuno che le vorrebbe sapere? –, una soffiata clamorosa. Tenetevi forte – questa volta credo di aver riso davvero: in una piccola città della Giordania, Wadi Musa, stanno per eleggere sindaco, come gesto di protesta verso il governo centrale, un cavallo! E noi, cari miei, saremo il primo giornale europeo a riportare la notizia!»

Ho capito: da questo momento posso smettere definitivamente di ascoltare.

Dev’essere la solita sciocchezza.

Poi un cavallo? Banale! È già stato fatto più di duemila anni fa. Non mi ricordo più da chi… Nerone forse? Ah no, Caligola! L’aveva fatto senatore… bei tempi. In più, lo so già: i miei colleghi, ora, faranno a gara per vincere questa bella vacanzina, e io, sinceramente, voglio evitare lo spettacolo. Ma come biasimarli in fondo? Il nostro capo è comunque un signore: pagherà tutto lui. Mi immagino già loro, tra una domanda e l’altra posta al cavallo, che si sorseggiano una caipirinha bella fresca su una spiaggia al tramonto, con una camicia hawaiana e una collana di fiori colorati – tanto non credo che l’equino dia peso a formalismi sull’abbigliamento: lui è nudo.

A pensarci bene, non so: c’è il mare in Giordania? Non ne ho idea. Come vorrei andarci per scoprirlo, e quanta invidia che provo! Forse c’è la guerra. No, mi sembra sia abbastanza calma la situazione. Certo, non è in una zona felicissima, però…

Guardo fuori dalla finestra.

Sembra che il cielo si stia annuvolando. Con la coda degli occhi tento di capire se pioverà.

Nel frattempo, le mie orecchie sentono un applauso davvero fragoroso.

Mi volto: stanno guardando tutti me.

«E bravo il nostro ragazzo, anzi bravissimo! Hai vinto questa opportunità!»

Il mio sguardo dev’essersi gelato.

Mando giù la saliva che ho in bocca, e mi sembra di inghiottire un dado.

Con un pallido sorriso, che credo appaia compiaciuto, cerco di nascondere il fatto che mi sono perso l’ultimo quarto d’ora del discorso – bravo cosa? Non capisco.

«Domani mattina, alle 5:30, fatti trovare nel piazzale della stazione. L’interprete ti aspetterà lì. Ti consiglio un cuscino per il collo: il viaggio in macchina stanca… guarda qua!» e mi mostra lo schermo del suo telefono.

In questo momento ho più domande che risposte. Non sto proprio capendo. Leggo: “43h ore di viaggio in automobile”.

Impallidisco.

Credo che la scelta sia ricaduta su di me.

Ma come? Perché proprio io? In totale, per questo giornale, ho scritto solo due articoli e portato settantatré caffè: non penso proprio di essere qualificato.

Vorrei scomparire.

E poi, alla faccia del signore! Piuttosto avrei preferito un posto stretto, di nona classe, nell’ultima fila dell’aereo più brutto della compagnia più triste su questo mondo. Ma no: quarantatré ore di viaggio in macchina sono davvero troppe.

Provo a declinare con gentilezza: «Ma, beh, io…»

«Niente “ma” ragazzo, mi ringrazierai dopo. Ti farò entrare nella storia. So che magari ti senti inesperto, come credo si sentirebbe chiunque al tuo posto, ma io ho fiducia in te».

D’un tratto, è come se i miei timpani si fossero tappati – anche se sono sicuro di aver sentito una battuta sui caffè.

Salvatore cambia espressione – Ho paura: « …e mi raccomando, ne va del tuo posto qua dentro».

Ho le spalle al muro.

Giuro di aver sentito un tuono non appena ha pronunciato quelle parole.

«Ti farò avere una mail con tutte le indicazioni utili. Ora vai pure a casa, che devi prepararti per domani».

Prendo la giacca e faccio un cenno con la testa. E non credendo sia sufficiente, aggiungo anche un altro falso sorriso.

Percorro i tre metri che separano la mia posizione dalla porta. Mi sembrano tre chilometri. Gli sguardi dei miei colleghi mi pungono; anzi mi schiacciano proprio.

Improvvisamente, sento un caldo anomalo. Penso di sciogliermi, come fossi del formaggio morbido tra due fette di pane roventi.

Ma perché provo tutto questo? Fino a qualche attimo fa ero addirittura invidioso di chi sarebbe stato scelto per questo compito, ora invece vorrei sotterrarmi.

Certamente il fatto che sia un viaggio in macchina, e per di più così lungo, ha la sua parte di responsabilità, tuttavia non credo che il motivo sia solo questo. Dev’essere ancora colpa della mia personalità: sono sempre invidioso di ciò che capita agli altri fin quando non capita a me. In quel momento sento una responsabilità enorme, mi sento incapace e crollo sotto al peso delle sfide.

Prima, a dire il vero, ho anche sottovalutato il compito. Diciamoci la verità: un’altra nazione, un’altra lingua, un’altra cultura… e io – ma sentimi! – stavo tanto bene nel mio brodino. Non è così facile!

Sia chiaro: continuo a credere che la cosa del cavallo faccia sorridere.

Ma poi mia madre? Poveretta, le verrà un colpo!

Aspetta, aspetta… non è che è stato tutto un piano di Salvatore? Sì, un piano per poterci provare liberamente con lei? Senza me tra i piedi. No dai, non può essere. Mi dà anche fastidio questo pensiero; e lo provo a scacciare via.

Ma allora perché non ha scelto uno degli altri “giornalisti”? No dai, basta: mi sono detto di smetterla con i sospetti infondati – ah, se solo avessi ascoltato!.

Mi preoccupo: ho detto troppe volte questa frase nella mia breve vita.

Devo avvertire subito mia madre.

Compongo il numero ma suona a vuoto – che nervoso!.

Le mando un messaggio vocale: «Ciao mamma, avrei preferito parlarti di persona, quindi magari chiamami appena puoi. Domani mattina devo – come posso dire? – partire per la Giordania. Spero tu la prenda bene. Sono sicuro capirai. Lavoro. Un bacio».

Sicuramente le verranno i sensi di colpa. Insomma, è stata lei ad avermi spinto in questo ambiente. Pensava che avrei solamente corretto qualche bozza, o magari scritto qualche articolo, non credeva sicuramente che sarei stato spedito in un territorio così lontano e insicuro.

Mi squilla il telefono.

Possibile abbia già riposto?

«Ok».

Cioè io, domani mattina, di colpo, parto per la Giordania, e mia madre mi risponde: «Ok». Sono senza parole.

Mi risquilla il telefono: «Buon viaggio».

Squilla un’altra volta: faccina del gatto che dà un bacio.

Ah beh, ora sì che la musica cambia! Ma davvero è questa la sua risposta? Pensavo che almeno un po’ le fregasse di me, di quello che faccio. Vorrei piangere: che giornata di merda! Metterei sotto con la macchina quella faccina del gatto, proprio come il settantasettenne miope. «Buon viaggio»: ma fallo te il buon viaggio. E non dico dove perché sei comunque mia madre.

Come se non bastasse, devo affrettarmi a tornare a casa.

Sembra che tra poco inizierà a diluviare e io sono anche senza ombrello. Sarebbe proprio la ciliegina sulla torta. Vorrei evitare.

Credo di essere un po’ bipolare perché sto cominciando a sentire dell’adrenalina per l’avventura. Anzi, più semplicemente, sono solo un po’ stupido. Adrenalina per che cosa? E se riscoppiasse la guerra? Poi, a ben vedere, non so nemmeno dove devo andare di preciso. Devo controllare la mail del capo.

Finalmente arrivo davanti al portone di casa.

Dove ho messo le chiavi? Ero sicuro… ah vero, ce le ho al collo – le cerco sempre nella tasca destra.

Se non altro posso dire che almeno una cosa, oggi, è andata per il verso giusto: è iniziato il diluvio universale, e io l’ho scampato per un pelo.

Ma fatta eccezione per il bagnarsi, io adoro questo tempo.

Guardo fuori dalla finestra e rimango incantato. Lo trovo molto poetico: mi piace il rumore della pioggia che sbatte contro la finestra quando in casa si sta bene perché fuori è inverno; mi piace, quando nel mezzo dell’afa estiva, delle gocce rinfrescanti, quasi per grazia, cadono sulla mia testa mentre passeggio; mi piace, come a tutti credo, svegliarmi nelle brune domeniche d’autunno e indugiare nel letto con la pioggia che sbatte melodicamente sulla finestra; mi piace l’odore dell’erba bagnata quando viene saturato dai timidi raggi del sole primaverile, e il profumo sembra quasi si faccia tangibile. Insomma: mi piace.

Mentre mi perdo in questi pensieri dannunziani il tempo scorre.

Devo organizzarmi il più velocemente possibile. Guarderò dopo la mail.

Dunque: prima i vestiti e poi l’attrezzatura per l’intervista… no anzi: prima l’attrezzatura e poi i vestiti – mamma mia che casino… sono già in crisi!.

Innanzitutto è importante impostare la sveglia. Allora: ci metto nove minuti a svegliarmi… sette minuti a fare colazione… dieci minuti tra doccia e altro… tre minuti per chiudere casa… dodici per arrivare in stazione… quarantun minuti in totale! L’appuntamento è alle 5:30, tolgo quarantuno minuti… 4:49! Bene, siccome non mi piacciono le cifre imprecise direi di impostarla o alle 4:45 o alle 4:50. Decisamente 4:50. Farò colazione più velocemente.

Ora la biancheria.

Tiro fuori tutti i calzini e tutte le mutande dal cassetto. Allora… io sto via… un attimo! Non so nemmeno quanto starò via! Devo assolutamente guardare la mail – cielo che casino!.

Accendo il pc: è scarico.

Prendo il caricatore – dai, accenditi!.

Va bene… intanto piego le magliette – ah, si è acceso!.

Apro il browser: internet è lentissimo – maledizione –, non mi carica la pagina! Bene, ora ha fatto.

Provo ad aprire il messaggio di Salvatore: la rotellina gira a vuoto – perché tutte a me?.

Vorrei urlare fortissimo.

Disperato, mi butto sul letto. Il computer è vicino a me che continua, invano, a tentare di caricare la mail.

Nel giro di pochi secondi sono un tutt’uno con il cuscino.

Delicatamente chiudo gli occhi. Non saprei riassumere le mie ultime tre ore. Comincio a non seguire più questi pensieri…

2024-04-11

Evento

Barberì Caffè - Bologna, via Barberia 1b Giovedì scorso si è tenuta la seconda presentazione bolognese del mio romanzo. L'evento è stato anche un'occasione per festeggiare tutti insieme il traguardo dei duecento pre-ordini. Grazie ancora a tutti: non ci stavate nella sala! Oltre a questo, mi ha fatto moltissimo piacere vedere così tanti volti nuovi e interessati, e spero davvero che il romanzo vi piaccia. Intanto, la campagna di pre-ordini - così come l'iniziativa benefica collegata - continua: il prossimo obiettivo è duecentocinquanta copie pre-vendute. Dunque, come sempre, il contributo di ogni lettore è fondamentale. Raoul
2024-03-31

Aggiornamento

Duecento pre-ordini, in meno di un mese. Più di centocinquanta persone diverse che hanno acquistato delle copie del mio romanzo. Per questo, vorrei ringraziarvi tutti; per me è un obiettivo di enorme importanza. Spero infatti di avere il modo di mostrare personalmente questa gratitudine ad ognuno di voi, ma intanto vi basti sapere - ancora una volta - quanto siete stati e siete importanti. Qui lascio una foto degli appunti che ho preso e su cui mi sono basato per immaginare e progettare il viaggio su cui si basa il romanzo. Questo sia per rispondere a una delle domande che mi viene fatta più spesso, ovvero "ma hai fatto davvero questo viaggio?", sia - simbolicamente - per farvi partecipare retroattivamente ad ogni fase di questa impresa, della quali siete parte attiva e fondamentale. Ora, sebbene il primo e più importante obiettivo sia stato raggiunto, la campagna di pre-ordini prosegue. Il prossimo goal è arrivare a 250 pre-ordini, così che il mio romanzo possa contare su una spinta promozionale ancora più forte. Inoltre, come promesso, il mio ricavato di ogni copia che venderò da qui alla fine di questa campagna sarà devoluto a Medici Senza Frontiere; dunque, anche per questo, è ancora importantissimo l'aiuto di ogni possibile lettore.
2024-03-21

Evento

Barberì Caffè - Bologna, via Barberia 1b
Ciao a tutti!
Innanzitutto, ancora grazie per la velocità e la voracità con cui state pre-ordinando il romanzo: mancano solo 40 copie!
Segnalo poi che questa sera, dalle ore 18:30, presenterò il mio romanzo presso il bar "Barberì Caffé" di via Barberia a Bologna. Sarà la prima presentazione di questo romanzo e siete tutti invitati! Ci sarà anche un ricco aperitivo per tutti e un piccolo omaggio che farò a chi pre-ordinerà il libro. Segnalo inoltre, nel medesimo evento, la presentazione del cortometraggio ""Heavens" di Alberto Meleleo. A stasera!
Raoul
2024-03-14

L’Informatore Vigevanese

Un trafiletto su "Tu devi essere Lauro" è oggi sul settimanale "L'Informatore Vigevanese"! Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che stanno dimostrando la loro stima e fiducia nei miei confronti e nei confronti del mio romanzo tramite il pre-ordine di una copia di questo. La campagna sta volando: più di 130 copie vendute in appena dieci giorni! Neanche Fabio Volo vende così tanto. A parte gli scherzi, se la trama del romanzo vi ha preso, il progetto vi ha interessato o avete una semplice curiosità, l'acquisto di anche solo una copia del libro è vitale! Dunque, continuate a pre-ordinare e fatemi sapere cosa ne pensate! Raoul

Commenti

  1. Ho letto e riletto l’anteprima del romanzo di Raoul Spiccia, mi ha intrigato talmente tanto che non vedo l’ ora di continuare la mia piacevole esperienza, aspettando che mi venga spedito il libro, per conoscere meglio come si svolge l’avvincente storia. Complimenti Raoul!

  2. (proprietario verificato)

    Tu devi essere Lauro. Titolo significativo che si collega a un passaggio fondamentale del romanzo: un momento di ricerca della propria identità e proprio questo tema fa da cardine a tutta la storia.
    Essere giovani in un mondo pieno di conflitti e difficoltà non è facile, tanto meno trovare il proprio spazio e la propria voce.
    Il protagonista del libro potrebbe rappresentare un po’ tutti noi, persi nella quotidianità senza avere il coraggio di andare a ritrovare noi stessi.
    Grazie a un viaggio sui generis per l’ambientazione e soprattutto per la compagnia, assistiamo a un cambiamento interiore che alla fine ci spronerà a provare lo stesso.
    Consiglio vivamente la lettura di questo romanzo, a tratti molto emozionante, divertente e riflessivo.

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Raoul Spiccia
Vigevanese, laureato in Lettere moderne. Ora sempre studente, ma a Bologna. Letteratura, cinema, musica e i media in generale tra i maggiori interessi, tanto per passione quanto per studi: è musicista nel duo Uskoritel, studia cinema all'Alma Mater Studiorum e, con questo romanzo, approccia ufficialmente la letteratura. Seppure in forme diverse, la scrittura è però sempre stata presente in tutti i suoi ambiti d'interesse. I suoi idoli e punti di riferimento sono Lucio Dalla, Italo Calvino e Carlo Verdone, e spera che un po' di loro si veda in quello che fa.
Raoul Spiccia on FacebookRaoul Spiccia on InstagramRaoul Spiccia on Wordpress
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