Amalia si sedette su uno sgabello e poco dopo Edoardo le passò una tazzina di caffè fumante. «È già zuccherato.» le disse e Amalia lo sorseggiò lentamente. Vide col pensiero la scena del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina mentre bevevano il tè. Si appuntò mentalmente una cosa da dire a Martina: dopo poche prove era già una Lepre convincente, euforica ed energica, ma avrebbe dovuto accentuare l’aspetto dell’imprevedibilità, caratteristico del personaggio di Carrol. Pensò anche a qualche accessorio eccentrico da aggiungere al costume che aveva ideato la signora Nilde.
«Vuoi che ti accompagni dal meccanico?» le chiese Edoardo, riportandola in un attimo nella cucina della loro casa. Amalia fece segno di no con la testa, mentre riponeva la tazzina vuota nel lavello.
«Ti faccio far tardi. Passa Cristina, tanto è di strada.»
«Allora scappo. Ci sentiamo dopo.» la salutò, baciandola sui capelli.
Amalia ripassò mentalmente le cose che doveva fare prima che arrivasse Cristina: una doccia veloce, jeans e maglietta, una lavatrice di capi bianchi se ci fosse stato tempo.
Una mattina come le altre. Iniziata come al solito, con il caffè di Edoardo e una breve chiacchierata alla penisola della cucina.
Quand’ecco quella sensazione.
Uno strano formicolio che saliva dalle ginocchia fino alla testa. Forse aveva scordato di fare qualcosa? Cosa mancava? Cominciava a sentirsi inquieta.
Era immersa in questi pensieri quando il display del cellulare si illuminò.
“Sono giù. Scendi”. Cristina.
Indossò la giacca, prese la borsa e uscì.
Cristina l’aspettava in macchina, col sedile troppo vicino allo sterzo e la schiena leggermente curvata in avanti. Amalia trattenne un sorriso: era buffa. Guidava da sempre così. Lei diceva perché non arrivava coi piedi ai pedali.
Aveva parcheggiato in doppia fila, con le quattro frecce accese, e Amalia intuì dal labiale che stava imprecando contro qualcuno che probabilmente le aveva suonato il clacson: per forza, aveva invaso mezza corsia.
Cristina era la sua migliore amica da che ne avesse memoria. Il loro sodalizio era nato da quando ancora gattonavano e giocavano per terra con i pupazzetti di gomma, mentre le loro mamme chiacchieravano in salotto e si lamentavano delle nottate insonni o del costo di pappe e pannoloni. Un’amicizia nata a prima vista e rafforzatasi col tempo, attraversando l’infanzia, l’adolescenza, fino ad allora, che erano due giovani donne, ciascuna col proprio lavoro e la propria vita.
Eppure ad una conoscenza superficiale, nessuno avrebbe potuto sospettare il profondo legame che le univa perché Amalia e Cristina erano molto diverse. Quanto una era riservata, l’altra era esuberante ed espansiva. Si compensavano, dicevano. La verità era che si volevano un gran bene ed erano state, l’una per l’altra, la sorella che non avevano mai avuto.
In macchina Cristina aggiornò Amalia sull’appuntamento della sera prima con un tizio conosciuto al lavoro.
«Bah, malaccio non è.» commentò. Amalia ricordò la foto che le aveva mostrato l’amica, quando avevano curiosato sul suo profilo Facebook. Male non era davvero. Due occhi azzurri, muscoloso al punto giusto senza arrivare all’eccesso che poteva far pensare ad un fanatico della forma fisica, curato nell’abbigliamento senza rasentare il tipo vanitoso che Cristina voleva assolutamente evitare.
«Lo rivedrai?» le chiese subito. Da un po’ Cristina non aveva una relazione fissa e sembrava che Amalia volesse accelerare quel momento per organizzare finalmente una delle uscite a quattro sulle quali avevano fantasticato tanto fin da ragazzine. Amalia era felice con Edoardo da diversi anni e avrebbe voluto che anche l’amica trovasse la persona giusta. Era così speciale… impossibile che non esistesse al mondo nessuno giusto per lei.
«Non devi pensarci.» le diceva spesso Edoardo quando gliene parlava. «Cristina è una tosta. Non ha bisogno di nessuno. E può stare bene anche da sola. Anzi, chi la sopporterebbe?»
Amalia ci restava male ogni volta.
Primo: anche lei si sentiva una ragazza tosta (non è che la sua vita fosse stata tutta rose e fiori!), eppure aveva bisogno di avere Edoardo accanto. Questo la rendeva meno tosta?
Secondo: Edoardo sottintendeva che lei non poteva stare da sola? Forse era vero, ma non sopportava che qualcuno glielo facesse notare.
Terzo: avrebbe voluto che ci fosse più simpatia tra le due persone più importanti della sua vita. Edoardo e Cristina si erano sempre frequentati solo perché entrambi amavano lei, ma era chiaro che non ci fosse altrettanto feeling tra di loro. Cristina pensava che Edoardo fosse in gamba, una mente brillante, ma non l’aveva mai convinta del tutto. Dal canto suo Edoardo riteneva che Cristina fosse deleteria per Amalia: un rapporto che spesso escludeva tutti gli altri, anche lui, un attaccamento al limite del morboso.
Amalia semplificava tutto, riducendo quell’antipatia reciproca a una banale gelosia, immotivata da entrambe le parti. Però stava zitta: non voleva ferire nessuno dei due, né tanto meno discuterci.
«Mi ha chiesto di vederci a cena sabato.» disse Cristina, continuando a guardare la strada. Voltò al semaforo e si diresse verso una strada senza uscita dove si trovava l’officina.
«Bene! Sei contenta?» Amalia era entusiasta. Già aveva organizzato nella sua testa un weekend sulla Costiera Amalfitana tutti e quattro insieme.
Cristina le lanciò un’occhiata fulminante e capì cosa avesse in mente.
«Niente cene a quattro. Niente gite alle Terme! Almeno per ora.» la liquidò, scendendo dalla macchina.
Amalia assunse l’espressione imbronciata di quando erano bambine e Cristina faceva la scontrosa.
«Veramente pensavo alla Costiera…» e le sorrise.
Cristina bofonchiò qualcosa tra sé e sé, ma dall’accenno di sorriso che le era spuntato sulle labbra, Amalia intuì che in realtà l’incontro col tizio della sera prima le fosse piaciuto.
Intanto un ragazzo si avvicinò a loro, pulendosi le mani in uno straccio. Indossava la tuta col nome dell’officina, ma non era lo stesso con cui Amalia aveva parlato quando aveva portato la sua auto a riparare. Aveva i capelli rossicci e lo sguardo simpatico. Era molto giovane, doveva aver appena finito le superiori.
«Sono venuta qui per la Punto. Mi ha chiamata ieri Paolo per avvertirmi che era pronta.»
«Amalia Franchi, giusto? Te la porto.»
Il ragazzo si allontanò, lasciando sole le due donne nell’officina.
«Comunque non te la cavi così. Dobbiamo finire il nostro discorso.» ridacchiò Amalia. Cristina stava per ribattere quando una voce le giunse alle orecchie, una voce conosciuta.
«Cristina!»
Le due donne si voltarono e videro un uomo alto, con i capelli cortissimi e gli occhiali da sole che veniva verso di loro.
«Non ci credo!» esclamò Cristina. Sembrava contenta di rivederlo. «Ettore!»
Cristina andò incontro all’uomo e si baciarono due volte sulle guance. «Che ci fai qua in giro? Pensavo fossi tornato a Torino!»
Fu in quel momento che ad Amalia squillò il cellulare e, dopo aver fatto un cenno di scusa ai due, si allontanò per rispondere. Le arrivavano dai due frasi a metà. Sembrava ci fosse confidenza tra di loro e si chiese chi fosse. Poi fu costretta a concentrarsi sulla telefonata: era Isabella, una delle insegnanti di danza della sua scuola, e sembrava importante.
Cristina intanto continuava a chiacchierare amichevolmente con l’uomo con gli occhiali da sole. Si erano conosciuti qualche anno prima ad un laboratorio di scrittura. O, meglio: Cristina frequentava il corso per evadere, almeno per qualche ora, dal lavoro grigio e ripetitivo nella ditta dei suoi e dare sfogo alla propria creatività; lui, che lavorava nella redazione di un mensile, si trovava lì per un articolo sulle scuole di scrittura. Aveva partecipato a qualche incontro, condiviso pareri su regole di scrittura ed estro creativo, si era cimentato nella composizione di due o tre poesie e aveva preso parte anche alla cena di fine corso in una trattoria sul Lungarno. Cristina lo aveva trovato una persona estremamente interessante e piacevole, ma, finite le lezioni, si erano persi di vista. La donna, che pure era un’esperta di social, non lo aveva rintracciato né su Facebook né su Instagram. Glielo disse, ridendo.
«Non sono sui social…» ammise «ma sono contento di averti rivista. Scrivi ancora?» le chiese.
«Un pochino.» disse Cristina, perdendo un po’ della sua solita sicurezza. Scriveva, era vero, ma solo per sé: non aveva mai fatto leggere a nessuno i suoi racconti, nemmeno ad Amalia, e parlarne la metteva un po’ in imbarazzo. «E tu?»
«Non racconti né poesie… tra il lavoro e il resto non ho più tempo. Non è che il mondo della letteratura abbia perso molto, comunque…» osservò ridendo.
Amalia li raggiunse, con l’espressione sconsolata.
«Che hai fatto?» le chiese Cristina. Poi si ricordò. «Ah, scusa. Amalia, questo è Ettore. Ci siamo conosciuti millanta anni fa ad un corso di scrittura. Ettore, lei è Amalia, la mia migliore amica.»
I due si diedero la mano. Ettore la squadrò. Amalia. La conosceva di nome: ricordava una poesia di Cristina, che aveva sbirciato sul suo quaderno, lasciato inavvertitamente sul banco.
Amalia era presa dai suoi pensieri.
«Sono nei casini.» disse Amalia, rivolgendosi a Cristina. «Il ragazzo che si occupa sempre di luci e suoni ai nostri spettacoli si trasferisce all’estero. Quindi a giugno niente Alice.»
Cristina cercò di rassicurarla. «Da qui a giugno manca ancora un po’. Ne troverai un altro.» Questo era parte del loro rapporto, i loro ruoli fissi: Amalia che si demoralizzava anche per un nonnulla, Cristina che la rincuorava e trovava la soluzione. L’ansiosa e la pratica.
Amalia annuì, poco convinta. Quella notte aveva sognato lo spettacolo e la mattina aveva sentito una strana sensazione. Che fosse stato un presentimento? Il sogno e poi la sensazione.
«Mi girano le scatole… pensavo di poter contare su di lui anche quest’anno.» si lamentò Amalia, accennando un sorriso solo perché era in presenza di uno sconosciuto. Se fosse stata sola con Cristina, sarebbe stata molto più giù di morale.
«A parte che…» Cristina si illuminò. Si voltò verso Ettore.
Cristina ricordava che era un musicista o qualcosa del genere. Probabilmente si intendeva anche di microfoni e amplificatori.
«Amalia ha una scuola di danza, la migliore della città.» gli spiegò. Amalia arrossì, ma non provò nemmeno a ridimensionare le parole dell’amica perché in fondo lo pensava anche lei.
«Nel mese di giugno allestiremo il nostro spettacolo.» continuò Amalia, con orgoglio, avendo già capito quale idea fosse baluginata nella mente di Cristina. «Alice nel Paese delle Meraviglie. Ci terrà impegnati per mesi e coinvolgerà tutti gli allievi e gli insegnanti della scuola.»
«Una cosa in grande. Come qui non hanno mai visto.» aggiunse Cristina, soddisfatta del lavoro dell’amica. «Avrebbero bisogno di qualcuno che stesse in regia ad occuparsi delle luci e dei suoni.» concluse, guardandolo speranzoso. Anche Amalia gli rivolse uno sguardo, carico di attesa.
«Bello!» esclamò Ettore, entusiasta. «Mi piacerebbe!»
«Grande!» Cristina gli tirò una pacca su una spalla.
«Si può fare… L’ho anche già fatto per alcuni spettacoli.» spiegò Ettore.
Il giovane rossiccio parcheggiò la Punto di Amalia di fronte all’officina e ne scese con dei fogli in mano. Li passò ad Amalia e le riconsegnò le chiavi.
Amalia fece un cenno a Cristina e Ettore perché l’aspettassero un momento e seguì il meccanico nell’ufficio per pagare.
«Grazie, eh.» disse Cristina a Ettore quando furono rimasti soli.
«È un piacere, davvero.»
Amalia tornò dopo poco. Stabilirono di sentirsi nei giorni successivi, magari lui sarebbe potuto andare alla scuola e avrebbero definito nei dettagli il lavoro da svolgere, l’impegno, la retribuzione.
Si salutarono e lasciarono Ettore a parlare col giovane rossiccio.
Cristina salì sulla sua macchina, mentre Amalia prendeva posto sulla sua. Mise in moto, presa da una nuova euforia, che non sapeva spiegarsi.
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