Gli piaceva guardarla dormire: la testa appoggiata sul bracciolo del divano, la bocca leggermente imbronciata, una mano stretta a pugno. Si era distesa per gustarsi il film in pieno relax, aveva detto, e dopo mezz’ora aveva chiuso gli occhi, distrutta. Era praticamente crollata: il trasloco, anche se affrontato con l’entusiasmo che metteva in ogni cosa, la stava sfinendo. C’erano ancora tanti scatoloni da aprire, una vita intera racchiusa in contenitori di ogni colore e dimensione. Libri, foto, soprammobili, abiti, souvenir di viaggi.
«Cosa c’è?» Aveva aperto un occhio e si era accorta che la stava osservando, con il sorriso sulle labbra. Lei, per tutta risposta, si era coperta il viso con entrambe le mani.
«Dormi. Sei stanca» le disse lui, accarezzandole una gamba.
Nonostante avesse quasi quarant’anni, aveva ancora gambe snelle e toniche. “Nonostante”, notava sempre lei.
«Ma via… che sembri una ragazzina!» le diceva lui, guardandola. Con soddisfazione, perché sapeva che finalmente era sua.
Per lui era la donna più bella del mondo: ogni volta che la osserva-va, mentre riponeva i suoi libri negli scaffali che aveva liberato per lei, mentre gli mostrava un abito appena comprato girando su se stessa, mentre era assorta in chissà quali pensieri con la matita infilata nei capelli a fermarle una crocchia improvvisata, non poteva che ringra-ziare il cielo che quella creatura meravigliosa avesse scelto proprio lui.
DUE ANNI PRIMA. SETTEMBRE 2017
La sveglia interruppe bruscamente il silenzio della casa con il suo suono prolungato e fastidioso. Amalia allungò una mano per spe-gnerla, continuando a tenere la testa affondata nel cuscino. Sbuffò. Non ricordava con precisione cosa stesse sognando, se non una serie di cappelli, tazze da tè, buffi conigli e carte da gioco.
Ma certo: Alice. Sarebbe stato il tema dello spettacolo di giugno e sicuramente si era addormentata con in testa il pensiero di uno dei tanti dettagli che andavano ancora sistemati. Quell’anno ricorreva il quinto anno dell’apertura della sua scuola e voleva mettere in scena un saggio indimenticabile. Entusiasmante. Appassionato. Proprio come erano stati quei cinque anni alla Tersicore, così si chiamava. Un’avventura vissuta appieno, nonostante qualche alto e basso.
Con l’altra mano provò a sentire se Edoardo fosse ancora a letto. No, doveva essersi già alzato.
Lo trovò, infatti, già vestito per andare al lavoro, mentre risponde-va a una mail dal cellulare, appoggiato alla penisola della cucina. Nell’aria l’aroma del caffè appena fatto. Amalia lo abbracciò da die-tro e gli stampò un bacio sulla bocca.
«Buongiorno» le disse lui, mentre premeva su “Invia”. Poi si voltò verso di lei per baciarla di nuovo. «Siediti. Ti verso il caffè, è ancora caldo.»
Amalia si sedette su uno sgabello e poco dopo lui le passò una taz-zina di caffè fumante.
«È già zuccherato» le disse e Amalia lo sorseggiò lentamente.
Vide con il pensiero la scena del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina mentre bevevano il tè. Si appuntò mentalmente una cosa da dire a Martina: dopo poche prove, era già una Lepre convincente, euforica ed energica, ma avrebbe dovuto accentuare l’aspetto dell’imprevedibilità, caratteristico del personaggio di Carrol. Pensò anche a qualche accessorio eccentrico da aggiungere al costume che
aveva ideato la signora Nilde.
«Vuoi che ti accompagni dal meccanico?» le chiese Edoardo, ripor-tandola in un attimo nella cucina della loro casa.
Amalia fece segno di no con la testa, mentre riponeva la tazzina vuota nel lavello. «Ti faccio fare tardi. Passa Cristina, tanto è di stra-da.»
«Allora scappo. Ci sentiamo dopo.» La salutò baciandola sui capelli.
Amalia ripassò mentalmente le cose che doveva fare prima che ar-rivasse Cristina: una doccia veloce, jeans e maglietta, una lavatrice di capi bianchi se ci fosse stato tempo.
Era una mattina come le altre. Iniziata come al solito, con il caffè di Edoardo e una breve chiacchierata alla penisola della cucina. Quand’ecco quella sensazione. Uno strano formicolio che saliva dalle ginocchia fino alla testa. Forse aveva scordato di fare qualco-sa? Cosa mancava? Cominciava a sentirsi inquieta.
Era immersa in questi pensieri quando il display del cellulare si il-luminò. Era Cristina.
Sono giù. Scendi
Indossò la giacca, prese la borsa e uscì.
Cristina l’aspettava in macchina, con il sedile troppo vicino allo sterzo e la schiena leggermente curvata in avanti. Amalia trattenne un sorriso: era buffa e guidava da sempre così. Lei si giustificava di-cendo che non arrivava con i piedi ai pedali.
Aveva parcheggiato in doppia fila, con le quattro frecce accese, e Amalia intuì dal labiale che stava imprecando contro qualcuno che probabilmente le aveva suonato il clacson: per forza, aveva invaso mezza corsia.
Cristina era la sua migliore amica da che ne avesse memoria. Il loro sodalizio era nato da quando ancora gattonavano e giocavano per terra con i pupazzetti di gomma, mentre le loro mamme chiacchie-ravano in salotto e si lamentavano delle nottate insonni o del costo di pappe e pannoloni. Un’amicizia nata a prima vista e rafforzatasi con il tempo, attraversando l’infanzia, l’adolescenza, fino ad allora, che erano due giovani donne, ciascuna con il proprio lavoro e la pro-pria vita.
Eppure, a una conoscenza superficiale, nessuno avrebbe potuto sospettare il profondo legame che le univa, perché Amalia e Cristina erano davvero molto diverse. Quanto una era riservata, l’altra era
esuberante ed espansiva. Si compensavano, dicevano. La verità era che si volevano un gran bene ed erano state, l’una per l’altra, la so-rella che non avevano mai avuto.
In macchina Cristina aggiornò Amalia sull’appuntamento della sera prima con un tizio conosciuto al lavoro.
«Bah, non è malaccio» commentò.
Amalia ricordò la foto che le aveva mostrato l’amica, quando ave-vano curiosato sul suo profilo Facebook. Male non era davvero. Due occhi azzurri, muscoloso al punto giusto senza arrivare all’eccesso che poteva far pensare a un fanatico della forma fisica, curato nell’abbigliamento senza rasentare il tipo vanitoso che Cristina vole-va assolutamente evitare.
«Lo rivedrai?» le chiese subito.
Cristina non aveva una relazione fissa da un po’ e sembrava che Amalia volesse accelerare quel momento per organizzare finalmente una delle uscite a quattro sulle quali avevano fantasticato tanto fin da ragazzine. Amalia era felice con Edoardo da diversi anni e avrebbe voluto che anche l’amica trovasse la persona giusta. Era così specia-le… impossibile che non esistesse al mondo nessuno giusto per lei.
“Non devi pensarci” le diceva spesso Edoardo quando gliene par-lava. “Cristina è una tosta. Non ha bisogno di nessuno. E può stare bene anche da sola. Anzi, chi la sopporterebbe?”. E Amalia ci restava male ogni volta.
Per prima cosa, anche lei si sentiva una ragazza tosta (non è che la sua vita fosse stata tutta rose e fiori!), eppure aveva bisogno di avere Edoardo accanto. Questo la rendeva meno tosta?
E per seconda, Edoardo voleva forse sottintendere che lei non po-teva stare da sola? Magari era vero, ma non sopportava che qualcuno glielo facesse notare.
Infine, avrebbe voluto che ci fosse più simpatia tra le due persone più importanti della sua vita. Edoardo e Cristina si erano sempre fre-quentati solo perché entrambi amavano lei, ma era chiaro che non ci fosse altrettanto feeling tra di loro. Cristina pensava che Edoardo fosse in gamba, una mente brillante, ma non l’aveva mai convinta del tutto. Dal canto suo, Edoardo riteneva che Cristina fosse deleteria per Amalia: un rapporto che spesso escludeva tutti gli altri, anche lui, un attaccamento al limite del morboso.
Amalia semplificava tutto, riducendo quell’antipatia reciproca a
una banale gelosia, immotivata da entrambe le parti. Aveva però scelto di tenersi queste considerazioni per sé: non voleva ferire nes-suno dei due, né tantomeno discuterci.
«Mi ha chiesto di vederci sabato a cena» disse Cristina, continuan-do a guardare la strada. Voltò al semaforo e si diresse verso una strada senza uscita dove si trovava l’officina.
«Bene! Sei contenta?» Amalia era entusiasta. Stava già organiz-zando nella sua testa un week-end sulla Costiera Amalfitana tutti e quattro insieme.
Cristina le lanciò un’occhiata fulminante e capì cosa avesse in mente.
«Niente cene a quattro. Niente gite alle terme! Almeno per ora.» La liquidò così, scendendo dalla macchina.
Amalia assunse l’espressione imbronciata di quando erano bambi-ne e Cristina faceva la scontrosa.
«Veramente pensavo alla Costiera…» E le sorrise.
Cristina bofonchiò qualcosa tra sé e sé, ma dall’accenno di sorriso che le era spuntato sulle labbra, Amalia intuì che in realtà l’incontro con il tizio della sera prima non fosse andato male.
Nel frattempo, un ragazzo si avvicinò a loro, pulendosi le mani in uno straccio. Indossava la tuta con il nome dell’officina, ma non era lo stesso con cui Amalia aveva parlato quando aveva portato la sua auto a riparare. Aveva i capelli rossicci e lo sguardo simpatico. Era molto giovane, doveva aver appena finito le superiori.
«Sono venuta qui per la Punto. Mi ha chiamata ieri Paolo per avvertirmi che era pronta.»
«Amalia Franchi, giusto? Te la porto.»
Il ragazzo si allontanò, lasciando sole le due donne nell’officina.
«Comunque, non te la cavi così. Dobbiamo finire il nostro discor-so.» Amalia ridacchiò.
Cristina stava per ribattere, quando una voce conosciuta le giunse alle orecchie: «Cristina!».
Le due donne si voltarono e videro un uomo alto, con i capelli cor-tissimi e gli occhiali da sole che veniva verso di loro.
«Non ci credo!» esclamò Cristina. Sembrava contenta di rivederlo. «Ettore!»
Andò incontro all’uomo e si baciarono due volte sulle guance. «Che ci fai qua in giro? Pensavo fossi a Torino!» continuò lei.
Fu in quel momento che ad Amalia squillò il cellulare e, dopo aver fatto un cenno di scuse ai due, si allontanò per rispondere. Della conversazione, le arrivavano solo frasi a metà. Sembrava ci fosse confidenza tra di loro e si chiese chi fosse. Poi fu costretta a concen-trarsi sulla telefonata: era Isabella, una delle insegnanti di danza del-la sua scuola, e sembrava una questione importante.
Cristina intanto continuava a chiacchierare amichevolmente con l’uomo con gli occhiali da sole. Si erano conosciuti qualche anno pri-ma a un laboratorio di scrittura. O, meglio: Cristina frequentava il corso per evadere, almeno per qualche ora, dal lavoro grigio e ripeti-tivo nella ditta dei suoi e dare sfogo alla propria creatività; lui, che lavorava nella redazione di un mensile, si trovava lì per un articolo sulle scuole di scrittura. Aveva partecipato a qualche incontro, condi-viso pareri su regole di scrittura ed estro creativo, si era cimentato nella composizione di due o tre poesie e aveva preso parte anche alla cena di fine corso in una trattoria sul Lungarno. Cristina lo aveva tro-vato una persona estremamente interessante e piacevole ma, finite le lezioni, si erano persi di vista. La donna, che pure era un’esperta di social, non lo aveva rintracciato né su Facebook né su Instagram. Glielo disse, ridendo.
«Non sono sui social,» ammise lui «ma sono contento di averti rivi-sta. Scrivi ancora?» le chiese.
«Un pochino» disse Cristina, perdendo un po’ della sua solita sicu-rezza. Scriveva, era vero, ma solo per sé: non aveva mai fatto leggere a nessuno i suoi racconti, nemmeno ad Amalia, e parlarne la metteva un po’ in imbarazzo. «E tu?»
«Né racconti né poesie… Tra il lavoro e il resto non ho più tempo. Non è che il mondo della letteratura abbia perso molto, comun-que…» osservò ridendo.
Amalia li raggiunse, con l’espressione sconsolata.
«Che hai fatto?» le chiese Cristina. Poi si ricordò. «Ah, scusa. Ama-lia, questo è Ettore. Ci siamo conosciuti millanta anni fa a un corso di scrittura. Ettore, lei è Amalia, la mia migliore amica.»
I due si diedero la mano. Ettore la squadrò. Conosceva Amalia di nome: ricordava una poesia di Cristina, che aveva sbirciato sul suo quaderno lasciato inavvertitamente sul banco.
Amalia era presa dai suoi pensieri.
«Sono nei casini» disse Amalia, rivolgendosi a Cristina. «Il ragazzo
che si occupa sempre di luci e suoni ai nostri spettacoli si trasferisce all’estero. Quindi a giugno niente Alice.»
Cristina cercò di rassicurarla. «Da qui a giugno manca ancora un po’. Ne troverai un altro!» Questo era parte del loro rapporto, i loro ruoli fissi: Amalia che si demoralizzava anche per un nonnulla, Cristina che la rincuorava e trovava la soluzione. L’ansiosa e la pratica.
Amalia annuì, poco convinta. Quella notte aveva sognato lo spet-tacolo e la mattina aveva sentito una strana sensazione. Che fosse stato un presentimento? Il sogno e poi quel sesto senso.
«Mi girano le scatole… Pensavo di poter contare su di lui anche quest’anno…» disse lamentandosi Amalia, accennando un sorriso so-lo perché era in presenza di uno sconosciuto. Se fosse stata sola con Cristina, sarebbe stata molto più giù di morale.
«A parte che…» Cristina si illuminò e poi si voltò verso Ettore.
Ricordava infatti che era un musicista o qualcosa del genere. Probabilmente si intendeva anche di microfoni e amplificatori.
«Amalia ha una scuola di danza, la migliore della città» gli spiegò.
Amalia arrossì, ma non provò nemmeno a ridimensionare le parole dell’amica perché in fondo lo pensava anche lei.
«Nel mese di giugno allestiremo il nostro spettacolo» continuò Amalia con orgoglio, avendo già capito quale idea fosse baluginata nella mente di Cristina. «Alice nel Paese delle Meraviglie. Ci terrà impegnati per mesi e coinvolgerà tutti gli allievi e gli insegnanti della scuola.»
«Una cosa in grande. Come qui non hanno mai visto» aggiunse Cri-stina, soddisfatta del lavoro dell’amica. «Avrebbero bisogno di qual-cuno che stesse in regia a occuparsi delle luci e dei suoni» concluse, guardandolo speranzosa. Anche Amalia gli rivolse uno sguardo, carico di attesa.
«Bello!» esclamò Ettore, entusiasta. «Mi piacerebbe!»
«Grande!» Cristina gli tirò una pacca su una spalla.
«Si può fare… L’ho anche già fatto per alcuni spettacoli» spiegò Et-tore.
Il giovane rossiccio parcheggiò la Punto di Amalia di fronte all’officina e ne scese con dei fogli in mano. Li passò alla proprietaria e le riconsegnò le chiavi.
Lei fece un cenno a Cristina ed Ettore perché l’aspettassero un momento e seguì il meccanico nell’ufficio per pagare.
«Grazie, eh» disse Cristina a Ettore quando furono rimasti soli.
«È un piacere, davvero.»
Amalia tornò dopo poco. Stabilirono di sentirsi nei giorni successivi, concordando che magari lui sarebbe potuto andare alla scuola e avrebbero definito nei dettagli il lavoro da svolgere, l’impegno e la retribuzione.
Si salutarono e lasciarono Ettore a parlare con il giovane rossiccio.
Cristina salì sulla sua macchina, mentre Amalia prendeva posto sulla propria. Mise in moto, presa da una nuova euforia, che ancora non sapeva spiegarsi.
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