PERCHÉ NON RESTI?
Come fai a fare questa faccia, io non lo so. Dove la prendi? In che punto la inventi? Ti viene fuori sempre nello stesso momento. Una madeleine che si ripete all’infinito. Il momento in cui la carne sta per mischiarsi e non conosce più contorni. Non si sa più dove finisce il corpo mio e dove comincia il tuo. Un attimo prima. Sempre un attimo prima di fare l’amore. Tu ti fermi e arresti il tempo. Tutto nel mondo sospendi con la potenza del tuo sguardo. Le onde il vento la pioggia. Le carezze delle madri sulle facce dei figli. I baci e i delitti degli altri innamorati. Perché tu mi devi guardare. Con questi tuoi occhi azzurri che si allungano all’ingiù, come reti di pescatori quando c’entra dentro il mare. È lì che mi tieni, al mare, tu mi metti proprio in mezzo all’azzurro. È lì che mi ami. Fai questa faccia seria, anzi, no, non seria, solenne direi, quanto la cerimonia che sta per ripetersi fra di noi. Una cerimonia perfetta che si consuma tutta in questo letto in cui io e te ci amiamo così tanto.
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Fino alla cima di una montagna da cui ci buttiamo giù abbracciati, perché più di così non si può salire e noi due non abbiamo paura di volare, adesso. E mentre siamo in volo, e mentre stiamo precipitando consapevoli che non cadremo, che non ci faremo male, questa tua faccia mi dice: «Lo capisci che senza di te non sono niente? Lo vedi che ti metto proprio al centro del mare che si muove negli occhi miei?». Intanto la tua manodestra mi ricama carezze sul viso. Le tue dita, sempre alla stessa maniera e sempre con rinnovata meraviglia, vanno a cercare il naso. Le ciglia, come a volerle contare a una a una. E infine la bocca rossa senza rossetto. Sembri non capacitarti di aver ritrovato tutti i pezzi che compongono il mio volto al solito posto. Sempre qui. Sempre in attesa di te. Io non so come va per te, Giulio, e non oso chiedertelo, ma io l’amore così non l’ho mai fatto con nessuno in vita mia. Ho avuto uomini, pochi e piccoli, che mi spogliavano in fretta e ancora più di corsa mi prendevano. Quasi come fosse un pensiero da togliersi, finire. E non mi stringevano come fai tu, che sei stato il primo a toccarmi la carne senza farmi sentire che era troppa, che era sbagliato averne così tanta sui fianchi. No, con te ho sentito, per la prima volta, che il mio corpo andava bene. Così com’era.Io non sapevo niente di quello che può succedere fra un uomo e una donna sulla cima di una montagna, di come ci si potesse buttare giù tenendosi stretti, senza paura di rompersi. Io non sapevo niente di quello che succede quando ci passa in mezzo l’amore, fra due persone.E allora, mi chiedo ogni volta che il viaggio finisce e ci ritroviamo abbracciati in un letto sconcicato: dopo tanta magnificenza, come fai tu ad andartene? A tornare a casa tua? Dalla tua compagna? Come fai a dormire con lei? Come puoi scrollarti di dosso con tanta facilità lo splendore dei nostri incontri?
Quando atterriamo nel nostro letto, io mi sento stravolta per essermi buttata giù assieme a te dalla nostra montagna. Mi sento ridicola perché mi sono esposta troppo, tutta. Perché dopo ogni volo, come una stupida, vado giù convinta che sia stato quello buono. Quello troppo meraviglioso, troppo bello, troppo tutto perché tu possa comunque ritrovare la voglia di ammucchiarti addosso i tuoi panni e andartene via. Non riesco a stare rilassata fra le tue braccia, dopo. In quel tempo di mezzo fra l’amore e il rivestirsi ci sono infinite possibilità. Trascorronominuti lenti e io, invece, sento l’ansia di scoprire che farai. Mi consumo nell’attesa di sapere cosa succederà. Mi affretto a chiederti se vuoi mangiare. Ho bisogno di togliermi dall’imbarazzo di chi aspetta come una scema una frase che poi non arriva mai.
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