Un anno sull’isola: quattro stagioni alla ricerca della felicità. Le vite degli abitanti di questo luogo ultraterreno si intrecciano generando una società perfetta, libera e paradisiaca, composta da anime vibranti provenienti da tutto il mondo.
In compagnia di Raymond, dopo la sua morte, intraprenderemo un viaggio nelle menti dei protagonisti, scoprendone punti di forza e fragilità. Traghettati in questa nuova comunità, apparentemente utopica, è possibile vivere un’avventura che conduce l’uomo all’eterna domanda: dove, e come, trovare la felicità?
L’ULTIMO ISTANTE
La stanza n. 33 si trova in fondo al corridoio del quarto piano del St. Andrew’s Hospital. All’interno, nel silenzio, regna grande ordine. Nell’unico letto della stanza è sdraiato il corpo di un giovane uomo; sebbene stremato dalla malattia, è di bell’aspetto, dal fisico atletico. Nella sua immobilità completa, l’unico legame che gli resta con la vita è il pensiero.
La gola è secca, non riesco più a deglutire. Anche tossire è faticoso, non ce la faccio più. Forse c’è la luce, deve essere mattino. La campana di St. James ha già suonato le dieci, o le undici…
Entra l’infermiera, oggi è il turno di Liza; Raymond si accorge della sua presenza e sente le sue mani su di sé.
Mi solleva il tronco. Cosa fa? La sento immobile su di me, e poi non parla e io ormai non vedo. Sta parlando con la mamma, ma sussurra, non capisco.
Raymond sente la voce della mamma: «Raymond, mi senti? Vuoi un po’ di acqua?».
Raymond riesce ancora ad annuire con le sopracciglia.
Ah, bene, mi bagna le labbra con una garza, ma l’acqua non la sento, questo tubo che mi entra dal naso mi toglie ogni sensibilità. Resto fermo, respiro e basta. Così non sento dolore, ma, se solo muovo qualcosa, è male dappertutto. Da giorni non sento le gambe e da un po’ neanche le braccia. Da ieri non vedo più niente. Sento le voci, i rumori di questa stanza dove sono sdraiato da due mesi. La mamma, la sua voce, mia sorella Susanna. Lo so, sto morendo, lo capisco e questo è incredibile. Ho il cancro, non riuscirò a guarire, sto solo morendo. È vero, quei farmaci nuovi ti tolgono il dolore ma non diventi scemo, resti lucido fino all’ultimo. Ma quando sarà l’ultimo momento? Cosa succederà? Non mancherà tanto: oggi? Domani? Adesso?
La mamma si avvicina e sussurra: «Raymond, tesoro, vuoi dormire?».
Continua a leggere
Mamma, non lo so… Non lo so. Povera vecchia, non ti lascio un bel ricordo. Eri felice quando vedevi il tuo Ray all’Hotspur Stadium. Raymond Proud, il mediano del Tottenham Hotspur! Dal campo ti vedevo bene con quel tuo completo blu con Susy al tuo fianco. Due anni, due anni indimenticabili: soldi, l’affetto dei tifosi, ero conosciuto, firmavo autografi, conoscevo ragazze. E l’intervista con Dave McAuley del Daily Mirror? Eri emozionata come una bambina la notte di Natale. Gli hai raccontato tutto quello che il tuo Ray faceva da piccolo: le partite nei campi tra le case, la scuola… Poi l’incidente, il ginocchio destro, il mio ginocchio destro! Un anno tra ospedale, operazioni, rieducazione, speranze, e in ultimo la dura verità: anche senza il football si può vivere lo stesso.
Raymond si agita, la mamma se ne accorge e lo accarezza sulle guance.
Essere agente di vendita di auto di lusso non è un brutto mestiere, Wilson mi ha sempre pagato bene: ogni auto venduta ti facevo un bel regalo anche a te. Sì, poi mi divertivo con gli amici al pub. No, le birre non c’entrano, sono le sigarette che mi hanno fregato. Il cancro ai polmoni, a 36 anni! No, perché a me? Proprio a me?
Entra Susy; fissa Raymond con il viso sgomento, poi guarda la mamma che singhiozzando le sussurra: «Dorme, si è appena addormentato».
Susy si avvicina, accarezza la fronte di Ray e scoppia a piangere.
«Respira male. Mamma, senti come fatica a respirare?»
Ray se ne rende conto, ma vorrebbe dire a Susy: È come se non fossi io a respirare, non controllo più quello che faccio.
A un tratto Raymond si scuote, inarca la schiena, spalanca gli occhi vitrei e socchiude la bocca.
Ahi, la schiena, che dolore! Cos’è?
«Raymond, Ray, cos’hai?»
È come un pugno alla schiena, mi stringe.
«Ray, oh Ray…»
Non posso piegarmi di più. La schiena… è come una gomitata… mi scoppia il petto.
«Tesoro, Raymond, sono la mamma… la mamma.»
Il petto è di gesso, soffoco… l’acqua… la mano… Susy… mamma… mamma.
La mamma da una parte e Susy dall’altra tengono le mani di Ray, che non ha più la forza di gridare il suo dolore e non riesce a dire che sta per morire. Senza un gemito, Ray si accascia su un fianco con il viso riverso sul braccio di sua madre.
«Mamma, è morto, non respira più… È morto… Ray!»
«Raymond, tesoro… No, Raymond… rispondi!»
«Mamma, è finita… È finita.»
L’infermiera entra trafelata per rispondere alla chiamata e vede le due donne che piangono mentre accarezzano il viso di Raymond, che si è spento con una smorfia sul volto.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.