In un futuro non troppo lontano, il governo emana un decreto per porre fine a un’epidemia di femminicidi: alle donne è concesso di uccidere un uomo al mese in caso di pericolo.
Red, alla soglia dei trent’anni, dotata di un olfatto sopraffino e un gatto nero a farle da ombra, sta ancora cercando il proprio posto nel mondo quando si ritrova a compiere il suo primo O.M.A., Omicidio Mensile Acconsentito. Ma, in una società che si abitua in fretta a tutto, anche alla violenza e alla morte, il privilegio cambia volto e il confine tra autodifesa e potere rischia di diventare sempre più sottile.
Con voce provocatoria e tagliente, la narrazione capovolge la realtà per costringerci a guardarla meglio: cosa accade quando il sistema che conosciamo si ribalta e l’abuso si trasforma?
1. Il Ratto
Era alto rispetto alla media, né magro né grasso, per la precisione: molle. Le mani erano pallide, con dita affusolate e noccolute, particolarmente femminili, per questo aveva dedotto si facesse la manicure. Lo stress doveva averlo fatto dimagrire e tendere a quell’aspetto da mollusco senza spina dorsale. I capelli, per sua fortuna, erano ancora folti, di un castano spento simile alla cenere e senza vigore. Le orecchie erano decisamente sproporzionate rispetto al resto degli elementi del viso che, nell’insieme, formavano un volto di roditore. Con le spalle curve, la camminata goffa, sprigionava un evidente disagio sociale e una mancanza di empatia con qualsiasi altro essere umano che compensava con battute misogine o omofobe all’occorrenza.
Non avrebbe mai pensato che lui sarebbe stato il suo primo O.M.A., Omicidio Mensile Acconsentito. Credeva che l’avrebbe sfruttato per qualcosa di più succulento, attenzioni indesiderate, un amante violento, un maniaco sull’autobus. Non di certo il suo capo.
Mentre l’ego ferito del Ratto sputava sentenze, lo sguardo di Red rimaneva fisso sulla penna sul tavolo: rossa, stretta e affusolata con un cappuccio leggermente mordicchiato incastrato su una delle estremità, lasciando la parte con l’inchiostro esposta. Il suo sguardo si focalizzò su quella punta rossa, bramosa di lasciare un segno: nitido e graffiante su una pagina completamente bianca. Come le aveva insegnato la sua maestra di italiano al liceo, l’inchiostro rimane impotente senza una mano che lo guidi.
«Cos’è successo? Come mai sei così silenziosa? Hai le tue cose?»
Silenzio.
Sospiro.
Chiuse gli occhi.
«Guardami, quando ti parlo.»
Ancora silenzio.
«Su, piccola, fammi vedere questi occhioni» sussurrò cambiando il tono della voce e sprigionando un alito mefitico mentre le accarezzava la guancia.
«Tranquillo» rispose Red con voce flebile, ma ferma. «I miei occhi saranno l’ultima cosa che vedrai» proseguì mantenendo lo sguardo fisso su quella punta d’inchiostro.
«Che cosa hai detto sui tuoi occhi?» le contestò contrariato il Ratto.
«Che saranno l’ultima cosa che vedrai» rispose Red alzando lo sguardo e pronunciando il resto della frase ad alta voce «… prima di morire.»
Con una velocità inaspettata afferrò la penna con la mano destra, scattò in piedi per poi saltare con le ginocchia sul tavolo e infilzare la penna nell’orecchio del grosso roditore. Il Ratto sgranò gli occhi e lei li vide così da vicino che per la prima volta pensò di poter descrivere la paura: due pupille vitree, senza colore e quindi senza fondo, un buco che si apre all’improvviso sotto di te mentre sei sull’orlo di un precipizio. Quel cratere negli occhi del suo capo, così vicino da poterlo toccare, le diede la spinta per ricaricare la mano destra e infliggere un altro colpo nell’orecchio del Ratto, che emise qualche rantolo nell’impresa di opporsi a quell’attacco.
Subito dopo, Red risollevò il braccio per sferrare il terzo colpo, questa volta più sotto, al centro della clavicola, mossa che fece cedere le zampe del Ratto gettando entrambi a terra. Adesso lei era sopra di lui a cavalcioni, lo sentiva divincolarsi, ma questo non la distrasse dai suoi occhi, dove il cratere continuava a espandersi, segnale che la spinse a infliggere un altro colpo alla giugulare.
Gli occhi di Red erano l’opposto di quelli del roditore: pieni, vibranti, con un obiettivo e nessuna traccia di paura. Sentiva una forza mai percepita prima, come se un’energia fluida e prepotente le scorresse in tutte le vene del corpo, bramosa di sgorgare fuori dallo strato più superficiale della pelle; la mente era pulita, i pensieri ordinati, l’ansia, che la accompagnava ormai da tempo, si era dissolta da petto e spalle.
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Quando il cratere negli occhi di quel topo aveva smesso di allargarsi e le zampe sotto di lei di agitarsi, Red tornò a percepire il suo respiro più forte del pulsare del sangue che le scorreva nelle vene. Estrasse la penna dal collo del suo capo fissandola ancora avvolta nel suo pugno: non si riusciva a distinguere l’inchiostro dal sangue, ma la mano che la stringeva le aveva dato il potere di evadere. Evadere da un circolo ripetitivo e ininterrotto di molestie e abusi, entrambi sia fisici che mentali. Per lei e altre colleghe andare in ufficio era diventato sinonimo di combattimento: la maglietta sufficientemente accollata, ma larga il giusto per nascondere il seno, il blazer per coprire braccia e culo, il trucco indispensabile per mascherare possibili imperfezioni, brufoli e occhiaie, mescolarsi sufficientemente per scomparire, evitare il rossetto per non risaltare. Tuttavia, questo non bastava per smettere di allungarsi un po’ la gonna prima di una presentazione, sognando il giorno in cui sarebbero state più dei loro corpi, delle loro curve, delle loro scelte. Quel rituale di vestizione accurato e ormai collaudato era diventato parte della routine che precedeva l’ingresso in un’arena, dove lei e le sue colleghe erano le gladiatrici in gonnella, mentre i colleghi maschi etero il pubblico assetato di sangue pronto a liberare discriminazioni e sessismo, come leoni fino a quel momento tenuti in gabbia a macinare rabbia e rancore.
Lei e alcune colleghe avevano stanato la chat segreta di questi leoni, un gruppo esclusivo per “uomini senza smalto sulle unghie e con i peli sulla schiena e sulle palle”, come citava la descrizione della chat stessa. Un’arena, anche quella, dove però non vi era la possibilità di indossare un’armatura e difendersi, perché in quello spazio fremente di machismo ed epidermide pelosa, solo esseri primitivi che sbattono i pugni sul proprio petto potevano scambiarsi versi indisturbati: “Vogliamo parlare del livello di scopabilità della stagista?”, “Dice che le piace la figa, ma io saprei come farle cambiare idea”, “Quella è così cessa che me la farei solo da dietro”, “La nuova? La classica bella di faccia!”.
Uno dei maggiori sostenitori di quell’arena era proprio il Ratto che, con messaggi a orari discutibili, sottolineava la sua solitudine e pateticità, un isolamento sociale autoindotto dai suoi comportamenti squallidi e fuori luogo che lo avevano portato a padroneggiare finti sorrisi con i suoi responsabili e saccenti commenti con qualsiasi collega suo subordinato, mentre ogni sera si ritrovava a consumare tristi cene precotte e porno di scarsa qualità in completa solitudine. Nonostante la moglie avesse trovato il coraggio di abbandonarlo proprio a seguito di altre chat compromettenti, il Ratto aveva deciso di fondare la “regina” delle chat per maschi etero con problemi di autostima ed evidenti disagi sociali ignorati dalla società. Red, insieme a un gruppo di colleghe, aveva riportato quanto aveva potuto testimoniare ai propri superiori e alle risorse umane, che avevano risposto con una comunicazione interna fine a se stessa e uno scappellotto generale al personale di genere maschile dell’ufficio, invitato – non obbligato – a partecipare a un “training sulla parità di genere”. Una gestione che aveva sottolineato ancor di più un comportamento sistematico e ciclico, protetto da uno schema collaudato che non raccontava di una singola mela marcia, ma di un albero di frutti rancidi, figli di radici putride.
Poi tutto era cambiato, il giorno di Natale.
Quel giorno il governo aveva deciso di fare un regalo a tutte le donne del Paese, consentendo loro di poter uccidere un uomo al mese in caso di intuito pericolo, per contrastare il genocidio in atto che contava circa centottanta donne l’anno assassinate per mano di un uomo. Infatti, ogni due giorni, una donna veniva uccisa. Non essendo in grado di identificare un percorso di rieducazione del sistema, ormai troppo radicato nella sua anima patriarcale, una decisione drastica e, a primo impatto, sconvolgente era stata identificata come unica soluzione percorribile. Una visione che poneva estrema fiducia nella popolazione femminile, responsabile di stabilire una situazione di imminente pericolo, fisico o psicologico, e prendere una decisione perentoria che sarebbe stata poi esente da conseguenze legali. Il via libera per l’omicidio di assassini mimetizzati da mariti amorevoli, colleghi attenti, parenti premurosi o fidanzati passionali era stato proposto da un nascente partito liberale con influenze anarchiche che era stato in grado di conquistare sia le generazioni nostalgiche che quelle più giovani e disinteressate alla politica. Un’idea dirompente e sconvolgente, ma che, con la giusta comunicazione e campagna marketing, si era insinuata come una soluzione possibile nelle menti delle persone. D’altronde, ogni uomo è convinto di non essere un mostro fino a che non si rivela tale, quindi cosa avrebbe dovuto temere se la sua condotta si fosse effettivamente dimostrata quella di un marito amorevole, un collega attento, un parente premuroso o un fidanzato passionale?
Nicoló Frasson
Trama interessante, attuale, scritta da una penna matura e da una mente decisamente creativa.