ANTEPRIMA NON EDITATA
Era alto rispetto alla media, né magro né grasso, per la precisione: molle. Le mani erano pallide, con dita affusolate e noccolute, particolarmente femminili, per questo aveva dedotto si facesse la manicure. Lo stress doveva averlo fatto dimagrire e tendere a quell’aspetto da mollusco senza spina dorsale. I capelli, per sua fortuna, erano ancora folti, di un castano spento simile alla cenere e senza vigore. Le orecchie erano decisamente sproporzionate rispetto al resto degli elementi del viso che, nell’insieme, formavano un volto di roditore. Con le spalle curve, la camminata goffa, sprigionava un evidente disagio sociale e una mancanza di empatia con qualsiasi altro essere umano che compensava con battute misogine od omofobe all’occorrenza.
Non avrebbe mai pensato che lui sarebbe stato il suo primo O.M.A., Omicidio Mensile Acconsentito. Credeva che l’avrebbe sfruttato per qualcosa di più succulento, attenzioni indesiderate, un amante violento, un maniaco sull’autobus. Non di certo il suo capo.
Mentre l’ego ferito del Ratto sputava sentenze, lo sguardo di Red rimaneva fisso sulla penna sul tavolo: rossa, stretta e affusolata con un cappuccio leggermente mordicchiato incastrato su una delle estremità, lasciando la parte con l’inchiostro esposta. Il suo sguardo si focalizzò su quella punta rossa, bramosa di lasciare un segno: nitido e graffiante su una pagina completamente bianca. Come le aveva insegnato la sua maestra di Italiano al liceo, l’inchiostro rimane impotente senza una mano che lo guidi.
«Cosa è successo? Come mai sei così silenziosa? Hai le tue cose?».
Silenzio.
Sospiro.
Chiuse gli occhi.
«Guardami quando ti parlo».
Ancora silenzio.
«Su piccola, fammi vedere questi occhioni» sussurrò cambiando il tono della voce e sprigionando un alito mefitico mentre le accarezzava la guancia.
«Tranquillo» rispose Red.
«I miei occhi saranno l’ultima cosa che vedrai» mormorò mantenendo lo sguardo fisso su quella punta d’inchiostro.
«Che cosa hai detto sui tuoi occhi?» le contestò contrariato il Ratto.
«Che saranno l’ultima cosa che vedrai» Red rispose alzando lo sguardo e pronunciando il resto della frase ad alta voce: «…prima di morire».
Con una velocità inaspettata afferrò la penna con la mano destra, scattò in piedi per poi saltare con le ginocchia sul tavolo e infilzare la penna nell’orecchio del grosso roditore. Il Ratto sgranò gli occhi e lei li vide così da vicino che per la prima volta pensò di poter descrivere la paura: due pupille vitree, senza colore e quindi senza fondo, un buco che si apre all’improvviso sotto di te mentre sei sull’orlo di un precipizio. Quel cratere negli occhi del suo capo, così vicino da poterlo toccare, le diede la spinta per ricaricare la mano destra e infliggere un altro colpo nell’orecchio del Ratto, che emise qualche rantolo nell’impresa di opporsi a quell’attacco.
Subito dopo, Red risollevò il braccio per infliggere il terzo colpo, questa volta più sotto, al centro della clavicola, mossa che fece cedere le zampe del Ratto gettando entrambi a terra. Adesso lei era sopra di lui a cavalcioni, lo sentiva divincolarsi, ma questo non la distrasse dai suoi occhi, dove il cratere continuava a espandersi, segnale che la spinse a infliggere un altro colpo alla giugulare.
Gli occhi di Red erano l’opposto di quelli del roditore: pieni, vibranti, con un obiettivo e nessuna traccia di paura. Sentiva una forza mai percepita prima, era come se un’energia fluida e prepotente le scorresse in tutte le vene del corpo, bramosa di sgorgare fuori dallo strato più superficiale della pelle; la mente era pulita, i pensieri ordinati, l’ansia, che la accompagnava ormai da tempo, si era dissolta da petto e spalle.
Quando il cratere negli occhi di quel topo aveva smesso di allargarsi e le zampe sotto di lei di agitarsi, Red tornò a percepire il suo respiro più forte del pulsare del sangue che le scorreva nelle vene. Estrasse la penna dal collo del suo capo fissandola ancora avvolta nel suo pugno: non si riusciva a distinguere l’inchiostro dal sangue, ma la mano che la stringeva le aveva dato il potere di evadere. Evadere da un circolo ripetitivo e ininterrotto di molestie e abusi, entrambi sia fisici che mentali. Per lei e altre colleghe andare in ufficio era diventato sinonimo di combattimento: la maglietta sufficientemente accollata, ma larga il giusto per nascondere il seno, il blazer per coprire braccia e culo, il trucco indispensabile per mascherare possibili imperfezioni, brufoli e occhiaie, mescolarsi sufficientemente per scomparire, evitare il rossetto per non risaltare. Tuttavia, questo non bastava per smettere di allungarsi un po’ la gonna prima di una presentazione, sognando il giorno in cui sarebbero state più dei loro corpi, delle loro curve, delle loro scelte. Quel rituale di vestizione accurato e ormai collaudato era diventato parte della routine che precedeva l’ingresso in un’arena, dove lei e le sue colleghe erano le gladiatrici in gonnella, mentre i colleghi maschi etero il pubblico assetato di sangue pronto a liberare discriminazioni e sessismo, come leoni fino a quel momento tenuti in gabbia a macinare rabbia e rancore.
Lei e alcune colleghe avevano stanato la chat segreta di questi leoni, un gruppo esclusivo per “uomini senza smalto sulle unghie e con i peli sulla schiena e sulle palle”, come citava la descrizione della chat stessa. Un’arena, anche quella, dove però non vi era la possibilità di indossare un’armatura e difendersi, perché in quello spazio fremente di machismo ed epidermide pelosa, solo esseri primitivi che sbattono i pugni sul proprio petto potevano scambiarsi versi indisturbati: “Vogliamo parlare del livello di scopabilità della stagista?”, “Dice che le piace la figa, ma io saprei come farle cambiare idea”, “Quella è così cessa che me la farei solo da dietro”, “La nuova? La classica bella di faccia!”.
Uno dei maggiori sostenitori di quella arena era proprio il Ratto che, con messaggi a orari discutibili, sottolineava la sua solitudine e pateticità, un isolamento sociale autoindotto dai suoi comportamenti squallidi e fuori luogo che lo avevano portato a padroneggiare finti sorrisi con i suoi responsabili e saccenti commenti con qualsiasi collega suo subordinato, mentre, ogni sera, si ritrovava a consumare tristi cene precotte e porno di scarsa qualità in completa solitudine. Nonostante la moglie avesse trovato il coraggio di abbandonarlo proprio a seguito di altre chat compromettenti, il Ratto aveva deciso di fondare la “regina” delle chat per maschi etero con problemi di autostima ed evidenti disagi sociali ignorati dalla società. Red, insieme a un gruppo di colleghe, aveva riportato quanto aveva potuto testimoniare ai propri superiori e alle Risorse Umane, che avevano risposto con una comunicazione interna fine a sé stessa e uno scappellotto generale al personale di genere maschile dell’ufficio, invitato, non obbligato, a partecipare a un “training sulla parità di genere”. Una gestione che aveva sottolineato ancor di più un comportamento sistematico e ciclico, protetto da uno schema collaudato che non raccontava di una singola mela marcia, ma di un albero di frutti rancidi, figli di radici putride.
Poi tutto era cambiato, il giorno di Natale.
Quel giorno il Governo aveva deciso di fare un regalo a tutte le donne del Paese, consentendo loro di poter uccidere un uomo al mese in caso di intuito pericolo, per contrastare il genocidio in atto che contava circa 150 donne l’anno assassinate per mano di un uomo. Infatti, ogni due giorni, una donna veniva uccisa. Non essendo in grado di identificare un percorso di rieducazione del sistema, ormai troppo radicato nella sua anima patriarcale, una decisione drastica e, a primo impatto, sconvolgente era stata identificata come unica soluzione percorribile. Una visione che poneva estrema fiducia nella popolazione femminile, responsabile di stabilire una situazione di imminente pericolo, fisico o psicologico, e prendere una decisione perentoria che sarebbe stata poi esente da conseguenze legali. Il via libera per l’omicidio di assassini mimetizzati da mariti amorevoli, colleghi attenti, parenti premurosi o fidanzati passionali, era stata proposta da un nascente partito liberale con influenze anarchiche che era stato in grado di conquistare sia generazioni nostalgiche che quelle più giovani e disinteressate alla politica. Un’idea dirompente e sconvolgente, ma che, con la giusta comunicazione e campagna marketing, si era insinuata come una soluzione possibile nelle menti delle persone. D’altronde, ogni uomo è convinto di non essere un mostro fino a che non si rivela tale, quindi, cosa avrebbe dovuto temere se la sua condotta si sarebbe effettivamente dimostrata quella di un marito amorevole, un collega attento, un parente premuroso o un fidanzato passionale?
In pochi mesi la campagna «Riequilibriamo la paura» aveva raggiunto un supporto non solo nazionale, ma anche mondiale, con altri Paesi interessati all’implementazione della proposta; trend TikTok in cui amiche scherzano sul disfacimento di un corpo diventarono virali, scene della serie «Il racconto dell’ancella» riprese con inversione di ruoli e di genere spopolarono sui social, alcuni influencer cominciarono a praticare e promuovere corsi di difesa personale e tecniche di combattimento con oggetti di vita quotidiana, codice promozionale incluso. Ciò che aveva fatto la differenza erano stati, però, i dati statistici e le previsioni di esperti che mostravano come l’andamento dei femminicidi stesse andando a impattare la popolazione, sbilanciando l’ago della bilancia verso il genere maschile, che di conseguenza si appropriava di un crescente spazio in tutti gli ambiti di maggiore impatto sulla società. Per contrastare questa curva in inevitabile ascesa la popolazione doveva essere riequilibrata. Era stato così proposto un periodo di prova di un anno, fino al Natale successivo, per poi valutare la situazione. Gli studiosi alle spalle di queste ricerche erano per la maggior parte donne, ma fu solo quando il partito mise un volto maschile alla promozione di questi numeri che il pubblico cominciò ad ascoltare. Insieme al fattore per cui questo andamento stava conseguentemente minacciando anche il tasso di natalità, dovuto alla decrescente presenza di donne da incontrare, conquistare e rendere orgogliose mogli e madri. Due mosse vincenti come ulteriore testimonianza di uno sbilanciamento di potere ormai intrinseco e impercettibile, anche dal pubblico femminile stesso.
Il disegno prevedeva una serie di agevolazioni e strutture per favorire l’esecuzione dell’iniziativa, come forniture gratuite di strumenti di difesa, assistenza psicologica dopo l’eventuale atto, servizio di pulizia 24 ore su 24, documento di tracciamento degli omicidi per ogni cittadino che si identifichi nel genere femminile.
Fino a quella mattina Red era stata scettica rispetto all’ordinanza, poi però, fissando quella penna sul tavolo mentre quello stronzo del suo capo le urlava idiozie ingiustificate, aveva pensato “Non mi merito tutto questo, nessuno lo merita… vorrei potesse sparire” e proprio a quelle parole si era ricordata dell’O.M.A., come un lampo di luce in una cantina buia, abbandonata e impolverata. Così era successo. Aveva usato il suo primo lasciapassare mensile per l’omicidio di un uomo. Dopo pochi secondi, che le erano sembrate ore, Red abbandonò la presa sulla penna che cadde sulla pozza di sangue di fianco alla giugulare del Ratto, ormai inerme sul pavimento senza sintomi di paura o terrore negli occhi. Con un balzo felino – metafora appropriata considerato che aveva appena ucciso un grosso topo – scattò in piedi ai lati del corpo che continuava a fissare con incredulo disgusto e soddisfazione allo stesso tempo. Sempre con la medesima concezione temporale di secondi che sostituiscono ore, ricordò cosa doveva fare: chiamare il servizio di pulizia 24 ore su 24. Afferrò il cellulare ancora sulla scrivania, ma con le dita sporche di sangue il touchscreen faticava a seguire i suoi movimenti sullo schermo; quando riuscì a sbloccarlo e a selezionare l’app “Pulizia 24h” premette sull’icona del grosso bottone rosso al centro della schermata che le presentò una serie di domande:
Richiesta di pulizia immediata?
Sì.
Conferma di trovarsi al seguente indirizzo?
Sì.
Squadra di pulizia in arrivo tra sette minuti, prema OK per confermare la richiesta.
OK.
Sette minuti. Red dovette ammettere che il servizio era più funzionale e rapido delle app per prenotare il taxi.
Per la prima volta da quando era entrata in quella sala riunioni, alzò lo sguardo per guardare al di fuori delle vetrate dove poté intravedere una folla di facce. Studiò le loro curve del viso e rughe di espressione: disgusto, turbamento, ma anche sollievo e orgoglio. Era sempre stata brava a leggere le emozioni di chi le stava davanti, tramite i sospiri, il corrugamento della fronte, lo strizzare degli occhi, le braccia conserte o il tremolio di una gamba. Ora le sembravano ancora più nitide, nonostante le interferenze di un vetro. Pensava che si sarebbe dovuta sentire in colpa o, per lo meno, scossa e turbata, con il desiderio di nascondersi, invece, ciò che provava era serenità e consolazione, come se un grosso macigno che da tempo era incatenato al suo petto si fosse dissolto in una nuvola di cenere e fumo. A una a una, cominciò a contare il numero delle facce che poteva leggere si sentissero come lei in quel momento.
Continua a leggere
Prima fra tutte la sua compagna di pause caffè, lamentele e aperitivi post-office, l’assistente del suo capo che non aveva mai visto sorridere, la ragazza alla reception con cui scambiava i “buongiorno” e i “buonasera”, la nuova stagista di cui invidiava gli outfit stravaganti e alcune colleghe del dipartimento vendite; ma non erano solo visi di donne; anche alcuni ragazzi del customer service con cui aveva condiviso alcune battute durante le loro pausa sigaretta e il tutto-fare dell’ufficio con cui a volte si era ritrovata a confidarsi. Quei visi dalle espressioni accoglienti e non giudicanti le fecero storcere l’angolo della bocca in un accennato sorriso che esplose nella sua interezza nel momento in cui, dall’altra parte del vetro, la maggior parte delle persone cominciò ad applaudire, accompagnando il gesto con urletti di consenso come «Finalmente», «La fine di un inferno», «Era ora».
Questa onda di inaspettato supporto costrinse la rimanente minoranza di persone sconcertate a stringersi in un angolo, impotenti quanto ribollenti di dissenso.
Quando arrivò la squadra di pulizia, un varco si aprì tra la folla al di fuori della sala, permettendo alla barella di raggiungere il cadavere.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.