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In un mondo o nell’altro

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Luca è il perfetto manager milanese: lavoro stressante, casa da sogno, giornate programmate al secondo, un pizzico di sano cinismo e un passato segnato dalla scomparsa del padre. Gli unici momenti di felicità? Le cene in compagnia del suo gruppo di amici. La sua vita sembra destinata a ripetersi sempre uguale, fino a che un giorno non gli si avvicina un uomo misterioso, che gli racconta di aver conosciuto suo padre, gli parla di mondi paralleli da salvare e gli affida una missione. Luca, dapprima scettico, dovrà mettersi in gioco e scardinare tutte le sue convinzioni. Insieme agli amici di sempre, s’imbarcherà in un’avventura dai risvolti inaspettati, che lo porterà a dimenticare la vita per come la conosceva e a pensare in maniera nuova al suo futuro.

CAPITOLO UNO

Eccomi qua, al tramonto dei trent’anni e vicino al precipizio dei quaranta. Tempo di stempiature, di partite di calcetto finite a metà tra il fiatone e il defibrillatore, tempo del “cara, ti assicuro che non mi era mai successo”, insomma è ora di capire cosa voglio fare da grande. Sono in compagnia del mio monolocale firmato Ikea, più plastico di una parata di Buffon. Il computer per chattare e navigare è il frutto di un’erezione tecnologica diventata erezione vera al primo sito porno visitato. Lo stereo mi permette di arrivare al settimo grado della scala Mercalli quando è a metà della potenza. Ho tutta la felicità che la scienza mi permette di raggiungere.

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Anche nello sport non mi faccio mancare niente: le scarpe da calcetto sono delle piccole astronavi dentro le quali anche dopo un’ora di partita si sente profumo di Chanel n.5… i Ringo Boys sarebbero fieri di me. La Mountain Bike appena acquistata mi è costata un mutuo, penso abbia anche l’autoradio e forse un giorno riuscirò ad accenderla, magari con una scoreggia sul sellino in pelle di opossum di cui è dotata. L’unico problema è che di Mountain, e anche di Pianuring, ne ha vista poca… in fondo andare in bici è troppo faticoso. Forse sommando i chilometri fatti con quelli della moto Supersport che prende la muffa nel box riesco ad arrivare alle tre cifre. D’altronde a che mi serve un lavoro ben remunerato se non riesco a comprarmi la felicità… ecchèddiamine!
A proposito: il lavoro. L’altro giorno il figlio dei miei vicini mi ha chiesto cosa faccio per guadagnarmi da vivere, al che ho estratto con professionalità il mio biglietto da visita che mi qualifica con alcuni termini inglesi accompagnati dalla parola manager. Il piccolo impertinente, che tra l’altro alla veneranda età di cinque anni non sa ancora leggere, ha iniziato a snocciolarmi una serie di lavori da lui ritenuti degni di rispetto: pompiere, panettiere, benzinaio, poliziotto, pilota di aerei… niente, nella sua scala di valori il mio non era lontanamente presente. Ho provato a dirgli “Lavoro in ufficio” e lui mi ha restituito il biglietto con compassione. In quel momento forse l’ho un po’ deluso, ma dopo pochi istanti ha iniziato a giocare con il garage che il lavoro insignificante del vicino di casa gli ha comprato per Natale, e la compassione nel suo sguardo è sparita. Ma poi che vuole? In fondo faccio un lavoro importante; cazzarola io sono uno di quelli che sanno interpretare gli annunci di lavoro sul Corriere della sera! Due anni di corso di inglese spesi bene! In fondo sono fatti per quelli come me.
Queste riflessioni profonde mi attraversano il cervello mentre sorseggio una birra alle otto del mattino seduto sul mio divano, nel mio salotto simil plastica. Nella mia camera da letto dorme la mia… no, non è la mia ragazza… non ho tempo né maturità a sufficienza per un rapporto stabile. Ho un sacco di CD da masterizzare, di sport da praticare, di happy hour da bere, di partite da giocare, di tecnologia da acquistare, di libri da leggere… no, questo no, non ho tempo neanche per questo, eppure una volta mi piaceva molto leggere, baciare, lettera… testamento! E come diavolo faccio a dare sostanza alla mia vita se la passo per gran parte lavorando? Mi resta giusto il tempo di comprare qualcosa. Cosa non so, ma qualche idea mi verrà. Amazon è diventato il mio fedele scudiero. Comunque veniamo a noi: chi è la tizia con le tette grosse che dorme nel mio letto? Ho la memoria a chiazze di dalmata dalle 22 di ieri sera, ora in cui ho cominciato a bere. Mi ricordo che Marco si è presentato al ?, il locale si chiama così, con alcune amiche uscite non si sa da dove, forse le aveva prenotate per posta con consegna tramite UPS. Fatto sta che una delle tizie suddette è finita nella stanza accanto e dalla sua completa mancanza di vestiti indossati non penso che ci siamo intrattenuti con il Trivial… Spero almeno di essermi fatto onore.
Nello stereo gira il CD degli U2 e in questo momento The Edge ha appena attaccato con una delle canzoni più belle mai scritte: One. Che significa uno… solo… mi sento solo. Mi sa che mi sta arrivando un attacco di quella che Ciccio chiama “gnegna”. Forte Ciccio! Riesce a trovare una definizione onomatopeica per ogni stato d’animo. La gnegna è una delle sue creazioni più riuscite. È un misto tra angoscia, ma non è angoscia, ansia, ma non è ansia, depressione, ma non è depressione… è gnegna! Non me lo spiego: ho tutto, ho addirittura appena trombato… forse. Però mi manca tutto… mah! La tizia dell’ipotetico amplesso dà segni di vita e con la voce impastata mi chiede se ho del caffè mentre, appoggiata allo stipite della porta, cerca di uscire dal coma da nottata etilica. Però! Mica male!Sì, ho del caffè nel mio armadietto, nella mia cucina. Può usare la mia caffettiera che troverà sulla mia mensola. Forse sono un po’ troppo possessivo, ma in fondo tutte queste cose fanno parte della mia vita. Nemmeno il tempo di sentire la macchinetta del caffè prendere vita che abbiamo finito gli argomenti, la mia cucina diventa così un gigantesco ascensore dove il silenzio regna imperante e i piani non finiscono mai. Parlare del tempo è inutile perché le persiane sono ancora abbassate, per cui fuori potrebbero esserci 36 gradi come la neve, di calcio è meglio non parlare, si sa mai che sia un’ultrà del Milan, eventualità a rischio per un interista. Ci provo col lavoro ma anche lei non entrerebbe nella hit parade del mio piccolo vicino di casa e, da come ne parla, sembra ne sia cosciente.
Così tra un sorriso imbarazzato e un silenzio rumoroso rifacciamo sesso sul tavolo della cucina, giusto per passare il tempo; cosa non si fa per evitare di parlare e mettere a nudo i propri pensieri. Poi lei si veste, mi dà il numero di cellulare e se ne va. Mentre la saluto mi vengono in mente le partenze dal campeggio alla fine dell’estate… tutti erano coscienti del fatto che nessuno, o pochi, avrebbe chiamato nessuno, o pochi. Eppure lì a scambiarsi indirizzi, numeri di telefono, codici fiscali… Guardo l’ora con distacco e mi viene un mezzo infarto: fra mezz’ora devo essere davanti a venti persone, delle quali almeno sette sono dirigenti, per una presentazione di… di… eppure ieri lo sapevo, deve essere qualcosa che riguarda il piano commerciale di qualcosa… boh! Mi verrà in mente, spero prima di iniziare a parlare. E così: doccia, camicia, cravatta, giacca e via via verso nuove inimitabili avventure… forse. Il cabrio lo lascio nel box perché ci metterei mezz’ora di viaggio e due ore di ricerca per trovare un parcheggio, meglio la metropolitana, scioperi permettendo.

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Lo stile di Pietro Toffanin è inconfondibile, ironico e profondo, sempre piacevole. Dopo essermi appassionato alla sua prima creatura, “you yes you go well”, questa seconda opera rappresenta una piacevole conferma, molto godibile ed appassionante, trascende la quotidianità e ci rimanda in un mondo più fantasy che viene trattato in modo delicato e sorprendente! Consigliatissimo!!!!

  2. (proprietario verificato)

    Si legge tutto d’un fiato. Ironico divertente ed intrigante. Ottima lettura la consiglio a tutti e non vedo l’ora di poter leggere il prossimo libro….. Basturk!

  3. (proprietario verificato)

    Non ho resistito: ho scaricato la copia in pdf e ho iniziato a leggerlo. Lo leggi di un fiato perché l’autore ha la capacità di farti riflettere e di divertiti… insomma l’ideale per un pomeriggio uggioso salvo il fatto che poi non vedrai l’ora di finirlo, quindi ottimo anche per le giornate di sole

  4. (proprietario verificato)

    Che dire, un romanzo ironico con un velo di melanconia, divertente ed intrigante. Da leggere assolutamente!

  5. (proprietario verificato)

    Avevo letto il primo libro dell’autore e lo avevo trovato molto divertente. Anche questa volta non sono rimasta delusa! Al ritmo e al suo modo ironico di vedere la vita si è aggiunta anche la suspense che la storia ti propone. Ora sono in attesa del terzo.

  6. (proprietario verificato)

    Un libro per riflettere con ironia. E se vi piace la suspence..beh il gioco è fatto!
    Ricordate quanto scritto nella presentazione :“quando la montagna sembra oscura falla scendere dal piedistallo”. La vita ci pone costantemente di fronte a delle montagne oscure da scalare (in questo 2020 direi l’intera catena delle Alpi…). Pietro ci propone un’altra prospettiva: e se in invece di scalarle le montagne, le facessimo scendere dal piedistallo? Geniale! Non siete curiosi di sapere come si fa? Io lo so perché ho letto il libro, ma ovviamente non ve lo dico..se siete curiosi prenotate la vostra copia! Vi dico solo che non ve ne pentirete 😊

  7. (proprietario verificato)

    Romanzo sorprendente in cui traspare tutta l’ironia dell’autore, una trama che diventa sempre più sorprendente e coinvolgente…… libro da leggere !!!

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Pietro Toffanin
è nato a Milano nel 1968, si è laureato in Economia e lavora nella direzione commerciale di una multinazionale. Appassionato di musica blues, vive a Solaro nell’hinterland milanese e questo è il suo secondo romanzo, dopo You yes you go well. Tu si che vai bene (2012).
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