Lo stereotipo della zitella 2.0 sono io: cittadina al cento per cento, griffata dalla testa ai piedi, dopo il lavoro vagabondo per la città e vado a fare aperitivi in cerca di anime gemelle che, a quanto pare, non esistono. Faccio viaggi solitari destinati a soli single e nel programma, alla voce “la quota non comprende”, per me è già prevista l’opzione “storia d’amore con fotografo giramondo laureato in Giurisprudenza”. Partecipo a corsi di cucina, dove spero vivamente che lo chef stellato perda la testa per me, e frequento locali e circoli molto bohémien nella speranza che il CEO di qualche azienda, ma anche un social media manager o un responsabile delle risorse umane, si innamori perdutamente tanto da prendermi e portarmi a Parigi con il suo jet privato per una scappatella amorosa.
Mi piace catalogare gli uomini con cui esco per sigle o professioni, non li chiamo mai per nome e per non confondermi, quando racconto le mie avventure rocambolesche alle mie amiche, li identifico come ingegnere, architetto, medico, avvocato, economo, professore, editore. Punto sempre molto in alto, mi piace l’idea di avere un uomo bello e sicuro di sé che mi gira intorno, uno di quelli che va sempre al lavoro in giacca e cravatta e per il quale le camicie non iron sono una manna dal cielo per non passare le serate sull’asse da stiro. Oltretutto per le mie amiche sentire le mie storie ormai equivale a leggere un Harmony in versione audiolibro. Loro ormai sono accasate, con figli, passeggini e ciucci al seguito che tirano fuori al posto del portafoglio, esclamando: «Eh, sai, ormai è abitudine».La mia unica abitudine invece è quella di tenere in mano il telefono per controllare le e-mail, nel caso in cui il corso di cucina venga annullato per un numero minimo di partecipanti non raggiunto. Sono la zia acquisita perfetta per i loro figli, che mi ammirano perché viaggio tanto, porto sempre i regalini dal Vietnam o dalla Patagonia e imbastisco storie su storie raccontando come quelle donne piccole e scure in viso lavorano la terracotta, la lana o il legno solo per loro con gli occhi che lucci-cano di vita. Gli abbracci che ricevo mi riempiono di gioia, emanano un calore così tenero e sincero che ogni volta faccio fatica a staccarmi e la lacrima scende sempre. Perché sì, sono una specie di “milanese imbruttita” fuori, ma dentro ho un cuore da turista responsabile che sostiene i negozietti locali, dalla Grande Muraglia alle Ande, e boicotta le grandi aziende di merchandising.
Quando esco dall’ufficio in preda a crisi isteriche spesso vado a casa della mia amica Emma, che abita due vie più in là rispetto alla mia. A causa delle due gemelle appena nate è sempre chiusa in casa ad allattare e quando non allatta, è in bagno a mettersi un unguento sui capezzoli già distrutti dalle due piccole belve. «Prova con del gelato» le dico un pomeriggio con una vaschetta in mano appena comprata. «Stella, ma sei folgorata? Vuoi che le gemelle non si stacchino per i prossimi diciassette anni?» mi risponde, posando un barattolo e prendendone un altro per le smagliature. «Magari sperimenti una nuova terapia: è pur sempre a base di latte anche questo.» «Sì, certo, come no. Si vede che non hai figli.»
Eccola qua, la fatidica frase che mi mette ansia e frustrazione ogni volta che la sento pronunciare e per cui ho deciso di andare via, di fare un passo forse più lungo della mia corta gamba, di lasciare un lavoro sicuro (per lo meno momentaneamente) e andare verso il nulla, il buio più totale dall’altra parte del mondo. «Emma, io parto» le dico prendendo coraggio. «Ah, strano! E dove vai questa volta? Tibet in tenda?» «New York» le rispondo. «Ancora? Ma ci sei già stata sette volte.» «Sì, ma sempre di sfuggita, due settimane al massimo. E l’ho usata spesso come base per spostarmi di qua e di là. Ci resto per almeno sei mesi.» «Sei mesi? Scusa, e il lavoro? E i tuoi? Il tuo loft? Le mie gemelle? Come faranno tutti senza di te?» «Ne usciranno tutti vivi. Al grande capo ho chiesto sei mesi di aspettativa. Ha sottolineato un centinaio di volte che non sarà chiaramente retribuita e che non sa cosa potrà accadere in questi sei mesi di mia assenza. Perché d’altronde si sa che l’importazione del vino all’estero sta subendo una forte crisi» le ribadisco sarcasticamente. «Tu sei pazza, ti piace il tuo lavoro. Hai studiato molto per avere quel posto, ti sei messa a studiare russo per tenertelo. Sei completamente fuori di te» continua a ribadire, seduta questa volta sul water chiuso.
«La casa l’ho già messa in affitto su Airbnb. Sai, così i miei hanno qualcosa da fare mentre io non ci sono: andare a pren-dere i turisti in stazione, accompagnarli a casa, fare le pulizie quando se ne vanno. Li tengo impegnati così non pensano ai nipotini che ancora non hanno. Ho già le prenotazioni confermate per i primi venticinque giorni, non è fantastico?» «No, Stella: è una catastrofe!» «Grazie del supporto, Emma. Lo sapevo che potevo contare su di te, sei veramente un’amica.» «Quando parti?» «Domenica prossima, ho il volo la mattina alle sette e trenta.» «Dammi un po’ di gelato, per favore, che la vodka ancora non la posso bere.» «È rimasto solo il pistacchio, che a te non piace.» «Dammi quella maledetta vaschetta o non ti faccio vedere le gemelle via Skype.» «No, ti prego! Le gemelle non puoi togliermele!» le rispondo con una lacrima che sta per scendere sul mio viso e che riesco a trattenere grazie a qualche miracolo divino.
Fabiola Valbusa (proprietario verificato)
Ho aspettato ad iniziare a leggere il libro, preferisco scegliere il momento giusto ed essendo scritto da una delle mie piu care amiche meritava particolare attenzione. Ho scelto di leggerlo durante un viaggio in treno, destinazione Roma, in meno di 3 ore fulminato! Devo dire che ho fatto fatica a non rivedere lei in Stella e conoscendola l’ho vista. Ha spiegato in modo chiaro il carattere di Stella, parlare della sue paure, delle sue insicurezze arrivando a portare la protagonista alla consapevolezza che imparare a stare da soli aiuta ad apprezzarsi e a vedersi belle indipendentemente dagli stereotipi di cui siamo quotidianamente abituati e ‘seguire’ e dare loro troppa importanza. Stella continua a sognare!
boschettinatascia (proprietario verificato)
Emozionante diario di un viaggio che trasporta il lettore nei luoghi descritti, anche se sconosciuti.
Avvincente e romantico anche il viaggio introspettivo che identifica quello di molte donne.
emma trivisone
Una storia coinvolgente e divertente, capace di trasportare il lettore tra le strade di New York e di far vivere, anche a chi non ci è mai stato, l’atmosfera e le bellezze che questa metropoli ha da offrire
Samuela Speri (proprietario verificato)
Libro letteralmente divorato in poche ore. É finito desiderando di continuare a seguire la vita di Stella a New York. Per chi ama la Grande Mela o semplicemente desidera andarci, questo racconto trasporta il lettore a Manhattan facendogli vivere alcuni degli scorci più noti della città e quelle piccole chicche che solo un viaggiatore che desidera perdersi nella metropoli può scoprire. Il tutto condito da una storia divertente in cui molte ragazze potrebbero immedesimarsi.
Vanessa Vavassori (proprietario verificato)
Di base non sono un’amante di libri tipo Harmony, ma Stella è coinvolgente e tenera, spiritosa e curiosa, non si può lasciarla girovagare senza seguirla… Aspettando già una nuova meta!
Angelica Trivisone (proprietario verificato)
Un libro energico, frizzante, romantico ma anche divertente. Consigliato per evadare dalla realtà divertendosi insieme a Stella e le sue avventure di vita quotidiana.