Tutte le sere, l’apertura di quel divano, era un rito svolto quasi alla stessa ora ( verso le ventuno e trenta) e con la stessa metodica: io aiutavo mamma a spostare il tavolo mentre mia sorella aiutava papà a impilare le sedie per fare spazio. Vi potrebbe risultare un’attività noiosa da compiere tutte le sere, ma a noi non scocciava, anzi, finivamo sempre col ridere grazie al buon umore di mio padre che pronunciava la stessa frase : “E anche stasera ci toccaaaa! Prima il dovere e poi la dormita” diceva mentre apriva il divano che in poco si trasformava nel nostro lettone. Noi ridevamo mentre mamma lo guardava compiaciuta. Erano belli i loro sguardi complici ed era bello quando io e Giulia ci mettevamo finalmente sotto le coperte e loro passavano a darci il bacio della buona notte prima di ritirarsi nella loro stanza da letto. Mamma era sempre profumatissima.
Non ce la passavamo molto bene economicamente ma nonostante ciò eravamo molto uniti ed io e mia sorella eravamo felici.
La nostra era una modesta famiglia del sud Italia.
I miei genitori si erano conosciuti tra i banchi di scuola: mio padre era bello nella sua carnagione scura si era innamorato della più brava della classe , mia madre, che sprigionava sicurezza e determinazione da tutti i pori. Anche lei era bellissima, con le curve del corpo disegnate e con i capelli neri e gli occhi verdi. Mio padre ne fu rapito “ Fin dal primo istante in cui la vidi”, mi aveva raccontato qualche volta lui, mentre mia madre venne colpita dalla sua dolcezza e dalla sua stravaganza solo qualche mese dopo grazie alle attenzioni e alle sorprese che lui non smetteva di farle con un corteggiamento ferrato al punto tale da cedere ed innamorarsene.
Erano molto giovani quando si fidanzarono, avevano appena quindici anni.
Si sposarono presto una volta terminati gli studi superiori nonostante il parere sfavorevole dei genitori di mamma che all’epoca erano benestanti. Peccato però che mio nonno aveva qualche piccolo grande problema col gioco d’azzardo e si era giocato anche la casa natia di mia madre. Fu così che alla morte sua e di mia nonna i miei genitori ereditarono un bel po’ di debiti. prima della morte sua e di mia nonna si era giocato anche la casa natia contro il volere dei miei nonni materni che non ho mai conosciuto perché quando io nacqui erano volati già a miglior vita lasciando però molti debiti ai miei.
Tuttavia, nonostante la mancanza di benedizione da parte della famiglia di mia madre, mio padre riuscì a farla sua e si sposarono, con tutta l’incoscienza e la leggerezza della giovane età, trasportati dal loro folle amore dimenticando di mettere in preventivo che la vita di tutti i giorni, soprattutto quando non hai molti soldi non è sempre clemente, neanche difronte al grande amore e quella che all’inizio del loro matrimonio si era dimostrata una fortezza, piano, piano venne erosa dal vento silenzioso dei rimpianti, della rabbia e dei sogni lasciati a marcire in un cassetto rotto e da un’infausta nemica chiamata frustrazione.
Ma non è ancora questo il tempo di parlarne perché i primi dieci anni della mia vita vedono ancora mio padre e mia madre molto innamorati.
A quel tempo mio padre manteneva la famiglia lavorando tutti i giorni, dal lunedì al sabato presso un’ officina meccanica, mentre mia madre impartiva lezioni pomeridiane di recupero a pagamento ad alcuni bambini del quartiere. Poiché a casa nostra non c’era molto spazio mamma mi lasciava spesso da sola con Giulia per recarsi presso le abitazioni dei ragazzini che seguiva nello studio. Quando tornava ci raccontava di qualche simpatico aneddoto o di alcune situazioni spiacevoli che si erano venute a creare a casa di questi bambini che erano spesso circondati da genitori molto assenti. Io e mia sorella non avevamo problemi con la scuola e per fortuna non avevamo bisogno di aiuto. E trascorrevamo i nostri pomeriggi tra qualche compito e qualche programma televisivo come BIM BUM BAM che trasmetteva cartoni animati lanciati dal pupazzo UAN.
Mamma ritornava un po’ prima di papà e dopo essersi sincerata che io e mia sorella avessimo trascorso un pomeriggio tranquillo iniziava a preparare la cena e tutte e tre aspettavamo il suo arrivo. Papà, per non portare lo sporco dell’officina in casa, si toglieva le scarpe e parte della tuta da lavoro, tutta unta di grasso, sul ballatoio. Mamma gli andava incontro e non c’era sera in cui non si guardavano sorridendo per poi darsi un bacio sulle labbra.
Io e mia sorella li guardavamo ridendo mentre finivamo di apparecchiare la tavola.
Papà s’informava su quello che avevamo imparato a scuola e ci raccontava di qualche macchina costosa che aveva riparato. La televisione era accesa facendo da sottofondo alle nostre cene. Eravamo noi quattro e ci sentivamo felici.
In quella casa però, non eravamo proprio da soli o meglio io non lo ero in quanto oltre ai miei famigliari avevo anche delle persone che mi venivano a fare visita, che vegliavano di nascosto su di me.
Tutte le notti quando Giulia si addormentava io rimanevo sveglia e aspettavo.
Aspettavo che loro arrivassero.
A volte dovevo attendere qualche minuto, altre un po’ di più ma non c’era sera in cui i miei custodi non venissero a farmi visita.
Erano sempre in due e mano nella mano: un uomo in abiti classici e una donna magra e col caschetto. Le loro sagome si stagliavano ben definite nell’angolo destro del soffitto bianco della stanza e io riuscivo a vederli attraverso la luce fioca che filtrava dai buchi della tapparella della finestra.
Non parlavano, ma io sapevo che vegliavano su di me con le loro grandi ombre e gli occhi scuri: la loro presenza mi rassicurava e mi faceva sentire al sicuro. Quello che più mi piaceva era l’ odore che sentivo quando percepivo i loro sguardi poggiarsi su di me: la loro presenza sapeva di fiori, di un dolce appena sfornato, di cioccolato e di quanto di più dolce avessi mai sentito.
Non ne parlai mai con i miei genitori, né con mia sorella perché avvertivo che loro erano lì solo per me. Non so dirvi perché venissero a trovarmi tutte le notti e cosa volessero realmente da me ma sentivo che quello era il nostro segreto e lo avrei custodito gelosamente.
C’è chi aveva l’amico immaginario e chi, forse come me, degli angeli custodi. All’epoca lo consideravo un privilegio, un piccolo e grande dono che qualcuno più in alto di noi, colui che tutto sa, mi aveva concesso. Chissà, probabilmente andavano a trovare anche qualcun’ altro la notte, magari aspettavano che io mi addormentassi per poi andare altrove ma era bello pensare che fossero solo miei.
Un giorno poi successe qualcosa di strano.
L’officina in cui lavorava mio padre, in seguito alla visita di alcuni uomini sospetti, aveva preso inaspettatamente fuoco e lui perse il lavoro. Chiese ad altre officine della zona ma erano tutte già al completo. Lui però non si arrese e nel giro di pochi giorni riuscì a trovare lavoro presso una ditta di vigilanza notturna dall’altra parte del quartiere. I miei genitori decisero così di cambiare casa per permettere a mio padre di recarsi con più facilità a lavoro.
In una settimana, grazie anche all’aiuto di un vecchio zio di papà ,venne organizzato il trasloco. Alcuni giorni prima, mentre aiutavo mia madre e mia sorella a chiudere degli scatoloni vidi cadere da dietro una mensola una vecchia e piccola fotografia stropicciata.
La raccolsi da terra e la guardai perplessa chiedendo a mia madre chi fossero quelle due persone mano nella mano ritratte nella foto un po’ sbiadita ed impolverata.
“Mamma, sai chi sono queste persone?” le chiesi non riuscendo a staccare gli occhi da quell’immagine e col cuore che aveva preso a pulsare forte.
“Saranno i vecchi inquilini dell’appartamento“ rispose distrattamente lei prendendo la foto dalle mie mani e mettendola da parte.
“ E che fine hanno fatto? “ le chiesi.
“Mi sembra che siano morti tutti e due insieme in un incidente automobilistico al ritorno dalle vacanze estive.”
“Quando è successo?” le chiesi.
“Non lo so amore. Il figlio che ci fittò anni fa la casa non me lo disse”.
Rimasi in silenzio perché la foto ritraeva una coppia sulla cinquantina: lui in abiti classici, lei bellissima, alta e col caschetto. Non riuscivo a credere ai miei occhi : erano uguali alle sagome dei miei angeli custodi.
Quel momento mi turbò profondamente: erano proprio loro, i miei angeli custodi. I loro volti a colori, il loro sguardo vivo si impresse nella mia mente. Tuttavia quel pomeriggio avevo così tante faccende da sbrigare con mia madre che mi ritrovai talmente assorbita dalle cose da fare che non ci pensai più.
Avevo da poco compiuto nove anni e si sa, a quell’età basta poco per dimenticare e relegare in un angolo nascosto agli altri qualche ricordo che ogni tanto mi sarebbe venuto a cercare sotto altre forme.
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