7:30, lunedì 17 gennaio.
Mi sveglio sudato e affannato. Che strano sogno ho fatto. Grazie a una di quelle applicazioni di cui ignoro il funzionamento, il mio PC attiva automaticamente la radiosveglia. Puntuale come ogni mattina mette in play in modalità casuale una delle Variazioni Goldberg. La mia giornata inizia con la dolce e un po’ melanconica melodia della Prima Aria. Io e mia moglie abbiamo sempre amato la musica classica.
Rimango seduto sul letto. L’oscurità della stanza è rassere-nante. Solo sottili strisce di luce giallastra filtrano dalle tapparelle chiuse.
La melodia procede. Ho già dimenticato cosa avevo sognato. Sbuffando mi alzo cercando di convincermi che la mia giornata deve iniziare. Apro le tapparelle. Fuori, la neve dei giorni passati si è già sciolta, solo sull’erba del giardinetto adiacente alla palazzina resistono ancora sprazzi di bianco imbrunito dal fango. Il cielo è ancora scuro e la luce del lampione di fronte alla mia finestra mi assale fastidiosa.
Ancora rincoglionito mi avvio verso la porta. In fondo al corridoio la luce è accesa e sento distintamente rumori di stoviglie. Noncurante della cosa, vado di fretta in bagno. Senza neppure accendere la luce faccio pipì.
Allo specchio intravedo la mia sagoma scura e ricurva.
Forse dovrei andare a correre, penso, guardandomi la pancetta e aggiungendo un altro punto alla mia stupida lista mentale. Non ho nessuna voglia di guardarmi in volto. Così, di fretta, esco dal bagno.
In cucina vedo mia moglie intenta a lavare i piatti, con indosso un tailleur nero e ai piedi pantofole bianche e pelose. «Belle scarpe» ghigno ironico, sedendomi su uno degli sgabelli dell’isolotto della cucina.
«Buongiorno!» Si volta. I suoi occhi verdi come lo smeraldo sorridono, le gote le si alzano formando sulla destra quella stupenda fossetta. I suoi capelli biondi sono perfettamente legati in un’alta coda, la camicetta bianca è elegantemente sbottonata proprio sopra il seno abbondante, le morbide labbra sono ricoperte da un delicatissimo strato di rossetto rosa e le sue palpebre illuminate da un velo d’ombretto ambrato.
È bellissima, perfetta! penso tra me e me, senza dire assolutamente nulla. Era da così tanto che non le facevo un complimento che quasi mi imbarazza addirittura pensarlo.
«Ho mal di testa…» Poggio la fronte sulla mano. Mento come fanno quei bambini che non vogliono andare a scuola o quelle femmine che inventano una scusa per non fare sesso. Non so perché l’ho fatto, rialzo la testa subito dopo, un po’ pentito, forse voglio solo attirare le sue attenzioni su di me.
Lei mi bacia delicatamente la guancia. Un brivido mi sale lungo la schiena, io la guardo con dentro una voglia matta di fare l’amore con lei. I nostri rapporti erano regolari, ma molto spesso pensavo che si limitassero solo a un sano sesso da lettone che ogni buona coppia di sposini senza nessun particolare problema è obbligata a fare ciclicamente per poter così dire a se stessa: Guarda un po’, siamo insieme, lo stiamo facendo, quindi va tutto bene. Oggi, però, più la guardo e più vorrei prenderla e sbatterla da qualche parte, amandola e sentendomi fortunato a vivere con una donna così bella.
La bacio sulle labbra. Rimaniamo un po’ fermi in quel modo. Ci guardiamo per un lunghissimo istante.
«Devo andare al lavoro.» Mi sorride.
Guardo l’orologio a muro: sono già le otto. Potrei darle qualche altro bacio e vedere se la sprono a fare qualcosa, ma mi sento sporco. Ho davvero bisogno di una bella doccia e non me la sento di farmi una di quelle docce veloci, quindi se devo uscire tra un’ora e mezza posso sbrigarmi e fare qualcosa di veloce con lei…
«Okay, vai…»
Penso a quanto mi scocci fare tutto di fretta.
Lei scuote la testa per un secondo e sorride con una strana smorfia, che io so benissimo celare la frase: Sei sempre il solito. Sentendosi sicuramente respinta, si allontana verso il salotto per prepararsi la borsa.
«Se vuoi fare colazione ci sono dei cereali e c’è del caffè nel termos.»
Effettivamente ho fame, ma di contro mi secca persino mangiare. Mi alzo ancora sfatto e mi verso una cospicua quantità di caffè bollente. Con la tazza in mano mi avvio verso l’ingresso di casa, prendo il mio cappotto e lo indosso sopra il pigiama. Mia moglie mi guarda con aria di disappunto, mentre veloce s’infila le décolleté.
«Fumi già di primo mattino?»
«Già.» Mi metto in bocca una Lucky Strike.
«Marco…» chiama lei, bloccandomi all’uscio del balcone «ti amo…» dice nel momento in cui i nostri sguardi s’incrociano. Sorrido e rispondo con un veloce: «Anch’io».
«Buon lavoro!» aggiunge prima di aprire la porta di casa e andarsene.
Ecco, quella frase mi ha fatto andare la giornata sottosopra.
Esco in balcone e mi accendo velocemente la sigaretta, mentre sento lo stomaco contorcersi dalla fame, dal freddo e da quel fastidiosissimo senso di angoscia che ogni stramaledettissima mattina mi assale appena penso di dover andare a lavorare.
Gusto lentamente quell’intermezzo, cercando di temporeggiare.
Tra un sorso di caffè e una boccata di fresco fumo, rifletto sulla leggera foschia che tetra aleggia su tutto il quartiere. Sobbalzo sentendo vibrare il cellulare dentro la tasca del cappotto.
Che strano, penso, quando cavolo ci è finito qui?
Con esitante lentezza tiro fuori il telefono. Mi sento agitato. Attento come un artificiere di fronte a una bomba, lo avvicino e lo sblocco. Ho una strana sensazione, come se mi potesse esplodere in mano da un momento all’altro.
Buongiorno!
Accecante, appare sullo schermo una lucente scritta gialla abbellita da pacchiani fuochi d’artificio che fuoriescono da una fumante tazza di caffè.
Alzo gli occhi al cielo. Buongiorno, mamma, scrivo svogliato.
Dovrei chiamarla, penso, riponendo il cellulare in tasca e riprendendo a fumare la mia sigaretta.
Il sole è coperto da un pesante strato di nuvole grigie. Guardando le varie persone che imbacuccate cercano di arrivare il prima possibile alle proprie destinazioni − consapevole del fatto che anche io, tra non molto, farò parte di quelle − non riesco proprio a esimermi dall’esclamare: «Che giornata del cazzo!».
Torno dentro. Sono diventato un ghiacciolo, ma non sarei mai riuscito a iniziare la mia giornata senza quella dannata sigaretta.
Diego Dragna (proprietario verificato)
Spettacolo!!! Non vedo l’ora che mi arrivi la copia!!!
Rita Boncoraglio (proprietario verificato)
Un libro che riesce a travolgerti e catapultarti al suo interno. Descritto bene in ogni minimo dettaglio, ti coinvolge e ti senti parte della storia, arrivando a percepire l’emozioni del protagonista. Lo consiglio a chi ha voglia di fare un viaggio dentro se stesso e chi ama le storie cariche di emozioni e colpi di scena. Complimenti Dario!