Quando a Parigi il furto di un cimelio di famiglia si chiude con un omicidio, l’antiquario Giorgio Mantegna viene ingaggiato da una misteriosa donna per far luce sul caso. Ma nulla è semplice: la famiglia della vittima sembra nascondere più di un segreto, mentre un ignoto sicario si muove nell’ombra. Presto Mantegna scoprirà che il delitto affonda le sue radici nel torbido passato della Seconda guerra mondiale e nelle storie di alcune SS in fuga.
Tra false piste, verità a lungo taciute e bugie ben vestite, su uno sfondo ricco di intrighi politici, Mantegna farà di tutto per svelare il mistero prima che sia troppo tardi. Riuscirà a riunire tutti i tasselli della storia e a salvare così anche la propria vita?
Prologo
Parigi, 1944
Jean Darrò avanza cauto nel sotterraneo della prigione, la ferita al fianco gli provoca un dolore pulsante; in lontananza sente le raffiche dei mitra e gli ordini urlati in tedesco. Le SS si stanno ritirando e stanno provvedendo a togliere di mezzo tutte le prove delle loro malefatte. Si odono dei colpi singoli, isolati: sono i prigionieri che vengono messi a tacere. Poco prima la stessa sorte sarebbe dovuta toccare anche a lui, ma la pistola si era inceppata e Jean era riuscito a stendere il suo aguzzino e a scappare.
Nei corridoi c’è fumo. Stanno bruciando gli archivi, pensa, e allora capisce che da solo non può salvare i suoi compagni ma, forse, può almeno evitare che i nazisti distruggano tutte le prove. Arriva agli uffici della Gestapo, dove è stato torturato molte volte; alcuni suoi amici non sono mai usciti vivi da quelle sale. Dalla porta socchiusa vede due SS intente a bruciare dei documenti in un barile di ferro; hanno già abbandonato le divise, sono in borghese. Jean ha soltanto un colpo nella pistola, mira alla nuca del soldato più grosso tra i due, che cade a terra, come fulminato; l’altro si volta di scatto ed estrae la pistola, ma Jean riesce a infilzarlo con una baionetta che teneva nell’altra mano, piantandogliela dritta nel collo. I due porci sono riusciti a dar fuoco a quasi tutto l’archivio, Jean riesce a salvare solo alcuni documenti di poca importanza e una lista parzialmente carbonizzata degli odiati collaboratori filonazisti, che potrebbe rivelarsi molto preziosa per i futuri processi. Sul tavolo dell’ufficiale addetto agli interrogatori vede una cinepresa; adesso ricorda che durante gli interrogatori quel sadico filmava le sofferenze dei prigionieri per studiare i metodi di tortura più efficaci.
Il pensiero dei compagni morti provoca in Jean un moto di rabbia, vuole vendicarsi e dare coraggio agli altri francesi che, come lui, ancora lottano, vuole dimostrare che il nemico si può sconfiggere. Jean raggruppa tutti i ritratti di Hitler e le uniformi che trova in quel posto, cosparge ogni oggetto di benzina e gli dà fuoco. Prima di far ciò aveva acceso la cinepresa e stava filmando la stanza delle torture mentre bruciava insieme al volto del Führer e alle altre insegne naziste, un monito per chi ancora occupava la Patria e come sprone per quanti, invece, ancora combattevano.
Fine.
Il tempo orribile della guerra era molto lontano, al mondo pochi i testimoni ancora in vita. Nelle sale del castello di Fontainebleau, settanta chilometri a sud di Parigi, dove nel ’40 stazionavano i battaglioni degli eserciti occupanti, ora si svolgeva un festival del cinema.
La platea tributò un lungo e caloroso applauso, anche tra i parrucconi della prima fila qualcuno si era davvero commosso e applaudiva in maniera sentita, tanto che il moderatore faticò a prendere la parola: «Grazie, grazie davvero! La vostra partecipazione è molto importante; a quanti ci seguono in diretta radiofonica ricordiamo che sono sintonizzati con il “Festival del Cinema Storico di Francia” e che in sala è stata appena proiettata una versione restaurata e commentata di Le Phénix, capolavoro del Maestro Charles Delaut. Il Maestro oggi, per motivi personali, non ha potuto essere qui con noi, ma in sua rappresentanza abbiamo il figlio, nonché nostro stimato socio: il professore e onorevole Jean Louis Delaut, la cui voce avete udito nel commento sonoro, e che da eminente storico ci parlerà dell’opera restaurata. Mi rivolgo soprattutto ai più giovani: il film che avete visto contiene la sequenza originale girata proprio da Charles Delaut nel bunker della Gestapo all’epoca dei fatti, quando era un giovane membro della resistenza. Come noto, il film narra fatti realmente vissuti dal regista che ha ricoperto il ruolo di Jean, il protagonista. Questo è un documento di eccellente valore».
Nello stesso momento, a settanta chilometri di distanza, nel cuore di Parigi, il protagonista, ormai anziano, stava esalando i suoi ultimi respiri su un freddo pavimento
La proposta
Giorgio Mantegna all’apparenza era un anonimo antiquario e consulente d’arte che aveva da poco superato i quaranta. Conduceva una vita elegante e gaudente ma senza dare troppo nell’occhio. In città era noto ai più per la sua professione che spesso lo portava all’estero per svariati giorni all’anno, ma, per il resto, rimaneva fondamentalmente uno sconosciuto.
Nonostante la sua riservatezza, però, non era riuscito a nascondere la sua natura di scapolo incallito: era stato spesso avvistato per le vie di Perugia o sulla barca che possedeva al lago Trasimeno, sempre in compagnia di meravigliose figure femminili, in genere forestiere. Tutti questi accorgimenti erano funzionali alla riservatezza che la professione di Giorgio imponeva. Dapprima, aveva iniziato a lavorare come consulente per le forze dell’ordine nei crimini d’arte; con il tempo, la sua moralità si era assottigliata, il suo raggio d’azione si era allargato anche alle zone d’ombra di questo mondo. Si poteva considerare un mercenario dell’arte, continuava ad aiutare i buoni ma talvolta svolgeva anche “lavoretti”, come dire, poco ortodossi, cavalcava la sottile linea che separa la legge dal crimine, teneva i piedi in due staffe, seppur con la briglia sempre dritta avanti a sé.
La città vecchia era intessuta di stretti vicoli, e quando nel basso delle vie c’era poca luce una cappa di gotico mistero calava sulla città. Mantegna amava quel luogo, l’aveva scelto da studente e ci era rimasto anche in seguito. Quella città dall’anima noir calzava a pennello sulle sue spalle; posizionata al centro dell’Italia, gli consentiva facili spostamenti; allo stesso tempo, essendo arroccata su una collina, densa di viuzze e sotterranei, era la sede perfetta per il suo “lavoro atipico”. Il fumo tostato della sigaretta galleggiava nella biblioteca costruita in legno mentre dalle finestre il sole svaniva tingendo il cielo di arancione nel pomeriggio lento di ottobre.
Fu allora che il citofono destò Mantegna dalle sue letture. Il postino, che aveva arrancato faticosamente per le strade di Perugia, era alla sua porta: c’era un telegramma per lui.
Sulla busta nessun mittente. Dopo una breve ispezione contro luce Mantegna aprì il telegramma:
Proposta di lavoro
Domani
Ore 12:00
Hotel Imperial Roma
Firmato: A.D.
Mantegna, come era solito fare in questi casi, prese subito le dovute precauzioni per la sua sicurezza: acquistò online un biglietto del treno per il Nord, fece il giro della città in autobus per controllare che nessuno lo seguisse e partì per Roma in moto. Dato che la prudenza non era mai troppa portò con sé il suo coltello Aviglianese e una Calibro 38, aggiungendo sei proiettili di riserva nella scatola delle mentine.
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