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VECCHIE MENZOGNE (Mantegna a Parigi)

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La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Luglio 2025
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Secondo Mantegna la verità non esiste, esistono soltanto persone disposte a credere. Giorgio Leòn Mantegna è un gaudente quarantenne di professione antiquario, vive e lavora a Perugia e viaggia in tutto il mondo, ovunque i suoi anonimi committenti richiedano i suoi servigi. I fatti si svolgono a Parigi, un furto d’arte con omicidio ha colpito una delle più illustri famiglie di Francia: i Delaut. Ricchi e potenti, i Delaut vantano intellettuali, artisti, politici, una vera dinastia che per sua natura affonda le radici nelle “vecchie menzogne”. Per risolvere questo caso Mantegna dovrà scontrarsi con la diffidenza della polizia e la grigia ragion di stato, sarà costantemente braccato da un gruppo di sicari. Cornice degli eventi una Parigi in rivolta, emblema di una Francia esausta. “Aveva iniziato come consulente delle forze dell’ordine per i crimini d’arte, con il tempo la sua moralità si era assottigliata. Era un mercenario dell’arte, a volte faceva lavoretti poco ortodossi”.

Perché ho scritto questo libro?

Compito primario di questo libro è divertire chi legge, fargli passare qualche ora in leggerezza. Scendendo più in profondità, con il costante uso della citazione storica ho voluto porre la domanda: “Quale opinione e percezione abbiamo oggi di quegli eventi?”
In fine l’introspezione, guarderemo dentro di noi attraverso lo specchio dei personaggi: “Chi siamo in questa storia? Quale tra loro suscita simpatia? Quale detestiamo?” Attenti a non cadere nelle solite, comode, “vecchie menzogne”.

ANTEPRIMA NON EDITATA

La Proposta

Mantegna all’apparenza era un anonimo antiquario e consulente d’arte che aveva da poco superato i quaranta,conduceva una vita elegante e gaudente ma senza dare troppo nell’occhio. In città era noto ai molti per la sua professione che spesso lo portava all’estero per molti gironi dell’anno, restava fondamentalmente uno sconosciuto.

Non era riuscito a nascondere la natura di scapolo incallito,era avvistato per le vide di Perugia o sulla barca che possedeva al lago, sempre in compagnia di meravigliose figure femminili, in genere di fuori città o straniere.Tutti questi accorgimenti erano funzionali alla riservatezza che la professione di Giorgio imponeva. Aveva iniziato come consulente per le forze dell’ordine nei crimini d’arte, con il tempo, la sua moralità si era assottigliata, il suo raggio d’azione si era allargato anche alle zone d’ombra di questo mondo. Si poteva considerare un mercenario dell’arte, continuava ad aiutare i buoni ma talvolta faceva “lavoretti poco ortodossi”, cavalcava sulla sottile linea che separa legge e crimine, teneva i piedi in due staffe ma la briglia sempre dritta avanti a Sé.

Il postino arrancava faticosamente lungo i vicoli della città vecchia, giù nel basso delle vie ormai c’era poca luce ed una cappa di mistero gotico calava sulla città. Mantegna amava quel luogo, l’aveva scelta da studente e ci era restato anche in seguito. Quella città dall’anima noir vestiva a pennello sulle sue spalle; posizionata al centro dell’Italia gli consentiva facili spostamenti, arroccata sulla collina, densa di vicoli e sotterranei, era la sede perfetta per il suo “lavoro atipico”. Il fumo tostato della sigaretta galleggiava nella biblioteca di legno mentre dalle finestre il Sole svaniva in arancione nel pomeriggio di Ottobre.

Fu allora che il citofono destò Mantegna dalle sue letture: c’era un telegramma per lui.

Sulla busta nessun mittente, dopo una breve ispezione contro luce Mantegna aprì il telegramma:

Proposta di lavoro Domani

Ore 12.00 Hotel Imperial Roma Firmato : A.D

Come era solito fare in questi casi, Mantegna acquistò online un biglietto del treno per il Nord, fece il giro della città in autobus per controllare che nessuno lo seguisse e partì per Roma in moto; poiché la prudenza non è mai troppa portò con il suo coltello “Aviglianese” e la calibro 38, mise sei colpi di riserva nella scatola delle mentine.

Roma in Ottobre è ancora molto calda, sembra una bella copia dell’ Estate, meno chiasso, sole più gradevole e colori pastello. Mantegna invidiava i turisti in bermuda ma, si sa, le armi vanno coperte e dopo l’ultima esperienza a Casablanca Giorgio pensò: “ meglio sudati che disarmati”.

Roma

Nella hall dell’ Imperial regnava la solita atmosfera ovattata, c’erano facchini e commessi in livrea, direttori in giacca nera, turisti, gruppi di religiosi asiatici magrissimi in abito arancione, tutto nella norma. Era tutto fin troppo nella norma e Mantegna non riusciva a cogliere la nota stonata, la persona camuffata o in attesa, non c’era nessuno fuori posto, nessuno sguardo nervoso, o degli occhiali da sole a coprire la finta lettura di un giornale. Generalmente in un “appuntamento al buio” come questo, chi aspetta si mette spalle al muro a controllare la porta, ai lati dell’ingresso o alla balconata, questa volta pareva di no. Mantegna passava in rassegna con lo sguardo tutto il salone, registrava ogni volto ogni movimento e iniziava ad innervosirsi nella paura di un tranello. Proprio mentre il grande orologio a pendolo iniziava a rintoccare le 12:00, Mantegna si sentì prendere alle spalle da una mano delicata ma ferma: “Lei è molto prudente “monsieur” ma io devo esserlo di più, ero nascosta la fuori, nella strada, ho atteso il suo arrivo e poi l’ho studiata: molto piacere, sono la sua committente, Adèle Delaut”. Mantegna ascoltava impassibile mentre con la mano sinistra allentava la presa dal manico del coltello che aveva istintivamente afferrato da sotto la giacca.

“Venga, ho riservato un tavolo per il brunch qui in hotel.”

Senza aprire bocca Mantegna la seguì al tavolo; era bella, elegante e spaventata, insomma c’erano guai in vista.

“Mi farà il piacere di parlare prima o poi?” disse Lei tra il seccato e il divertito “Non concedo molto tempo ai convenevoli quando devo decidere se accettare un incarico o meno, quindi mi faccia la proposta” rispose Mantegna con un tono gelido.

“Determinato e maleducato… Mi chiamo Adèle Delaut, sono francese come avrà capito, qualche giorno fa abbiamo subito un furto, durante la rapina mio nonno è stato ucciso e ci è stato sottratto un prezioso cimelio. Per mio nonno c’è poco da fare ma il film: lo rivoglio indietro”.

“Qualche giorno? Sottratto? Cimelio, film? Deve spiegarsi se vuol convincermi mia Cara>>

“Lei Mantegna è davvero irritante! Comunque: Venerdì notte,nella nostra casa di Parigi è stato rubato un prezioso oggetto, un cimelio di famiglia, si tratta di una pellicola da film degli anni ’40, l’unica copia della versione originale de “La Phénix” di Charles Delaut, il mio defunto nonno e noto regista”

“Mi spiace per il suo lutto signorina Adèle, inoltre suo nonno era davvero un grande artista, non sapevo che esistesse una copia “originale” del film”

“Nessuno sapeva della pellicola, o forse no, a quanto pare”.

“Non sarà facile” disse Mantegna rollandosi una sigaretta “Oggi è Lunedì, sono passati due giorni, l’oggetto è piccolo e facilmente occultabile, inoltre i furti d’arte su commissione sono ben programmati e ben finanziati, difficile che si trovino tracce utili, comunque dovrò analizzare la scena del crimine per prima cosa”

“Quindi accetta!?” ad Adèle brillarono gli occhi

“Mia cara, le ho già dedicato 15 minuti,lei che ne pensa?”

“Penso che se lei è tanto bravo quanto irritante, beh, il film è già in salvo, andiamo, non voglio perdere altro tempo, Parigi non è dietro l’angolo, ho riservato dei biglietti aperti, possiamo partire questa sera e metterci a lavoro domattina…”

Mantegna sorrise e disse: “Ci vediamo tra meno di 24 ore a casa sua, mi scusi ma viaggio da solo e… a modo mio.”

Ville Lumiere

“Parigi è sempre Parigi, non mi stancherei mai di tornarci” pensava Mantegna mentre il taxi filava liscio lungo le strade del 7° Arrondissement. Quello era il quartiere residenziale dell’alta borghesia, quei viali immobili, larghi e bagnati dalla pioggia, gli ricordavano un capitolo de “ il guinzaglio”un libro di F. Sagàn, letto da giovane.

La torre di ferro era immobile, messa li a reggere il cielo di piombo.

Palazzo Delaut era un edificio di tre piani, con un vialetto ed un cancello a separarlo dalla strada. Era chiaro come in un’epoca non troppo lontana fosse stato un modesto hotel della Parigi bene, piccolo e curato. Nel dopoguerra il vecchio Charles Delaut lo affittò e ne fece il suo teatro di posa e abitazione privata. Dopo circa un decennio, ormai abbastanza ricco, lo acquistò e spostò lo studio in periferia, quella divenne la casa di famiglia.

Nel corso degli anni lo stabile fu ristrutturato e dotato di una grande biblioteca. L’entrata sontuosa del palazzo tradiva ancora la sua vecchia natura, marmo scuro in terra, piastre di bronzo alle pareti messe li per reggere ai colpi dei bagagli e dei facchini sbadati, grandi specchi color ambra ormai sbiaditi dal tempo.

Il grande corridoio d’ingresso si apriva in un salone, al centro del quale era ancora al suo posto il tavolo della reception, quel luogo era popolato dal maggiordomo, monsieur De Renzes, il quale riceveva gli ospiti e prendeva in custodia i soprabiti.

Mantegna spiazzò il maggiordomo tenendo ostinatamente il cappotto in mano ” nel caso dovessi svignarmela alla svelta” pensò.

“De Renzes è in sciopero ?” tuonò stizzito il padrone di casa

“Sono qua monsieur! Il Signor Mantegna preferisce tenere in mano il soprabito” si giustificò il maggiordomo “E’ vero, preferisco così” intervenne Mantegna.

“Alors…benvenuto a casa mia, sono Jean Louis Delaut, grazie di essere qui, mia figlia ripone molte speranze in lei, io invece credo solo nei risultati”

“E’ stato chiaro monsieur Delaut.”

“Dicono che lei assomigli a quell’attore… come si chiama… non ricordo ma è assolutamente vero, gli somiglia, e il suo cognome poi, rende il tutto più curioso non trova?

“Si,mi dicono spesso tutte e due le cose, il cognome di famiglia è così solo dal 1946, mio nonno era Léon Manténnia, Basco di Bilbao, negli anni ’40 commerciava alici in scatola insieme a suo padre. Spesso soggiornava a Genova per lunghi periodi, qui il suo cognome veniva storpiato in “Mantegna” e con il tempo fu conosciuto da tutti così. Durante questi soggiorni di lavoro conobbe mia nonna della quale si innamorò.

La guerra li divise per cinque lunghi anni, dopo la pace, mio nonno tornò a Genova in cerca di lei, la ritrovò e una settimana dopo si sposarono.

Nel ’46 l’Italia era un posto movimentato e senza troppe domande mio nonno fu registrato come Mantegna.”

E in Spagna i suoi parenti cosa dissero di questa scelta?

“Mio nonno tagliò i ponti con la sua famiglia già dal 1940 perché quando l’Italia entrò in guerra, suo padre lo costrinse a tornare nella Spagna neutrale lasciando la sua amata ad un destino incero, per fortuna si ritrovarono.”

“Una storia dal notevole fascino”  commentò Delaut “Anche la nostra storia famigliare ha il fulcro in quegli anni sa? Mio padre Charles è stato un eroe della resistenza proprio qui a Parigi.”

“Non per interromperla monsieur, ma le gesta di suo padre sono sui libri di storia di mezzo mondo, e l’altra metà del mondo ha visto i suoi film.” Le parole di Mantegna suscitarono in Delaut un moto d’orgoglio ma subito dopo fu come scosso da un fremito di fastidio che lo riportò alla realtà. Mantegna pensò fosse invidia o senso di inferiorità verso un padre così famoso e ingombrante. Delaut iniziò a guidare Mantegna nella sconfinata casa, le stanze erano finemente arredate e decorate, il piano terra era dedicato agli incontri ufficiali ed ai ricevimenti, era anche il cuore della fondazione “Phénix” che si occupava di curare il patrimonio artistico di C. Delaut e di promuovere il cinema francese nel mondo. Oltre ad elargire borse di studio e cospicue donazioni, la fondazione era anche il principale collettore di voti di Jean Louis Delaut che dagli anni ’90 era stabilmente deputato all’ Assemblée Nationale tra i banchi del partito progressista, al tempo stesso era professore ordinario di storia all’università di Parigi.

Salendo di livello il primo piano elevato era una enorme biblioteca con balaustra; dal pavimento al soffitto si scorgevano solo libri, contenuti in magnifici scaffali di legno massello finemente decorato, Mantegna moriva dall’invidia.

Per salire alla balaustra, dove erano conservati i libri di maggior valore, si poteva scegliere una delle due scale a chiocciola in ferro battuto poste ai lati della navata, in fondo alla sala splendeva l’immenso finestrone a quattro ante con balcone.

Al centro della sala c’era un tavolo da lettura, più avanti un tavolo da fumo sul quale ancora fumava una sigaretta spenta male e intorno quattro poltrone in pelle nera, bellissime.

Ai lati della sala, all’ombra delle balaustre si trovavano anche le scrivanie dei due Delaut, una per il vecchio Charles, e altre tre per il figlio Jean Louis: quella politica era sormontata dai fascicoli e dossier con il timbro dell’ *A.N, quella universitaria era piena di volumi e quella personale con le foto di famiglia, libri e cimeli.

<> disse Delaut notando che Mantegna si era fermato a sbirciare le foto <> ripose Mantegna << Lo eravamo e lo siamo stati per molto, purtroppo mamma è mancata un po’ presto, ma si sono amati tanto, è stato un colpo di fulmine, ad Algeri nel ’47.

Mio padre era li per girare un documentario sui moti d’indipendenza, ad un certo punto scoppia il pandemonio e la polizia coloniale comincia a sparare sulla folla e a caricare con i cavalli. Mia madre passava di la e stava per essere travolta, mio padre che riprendeva con la cinepresa la vide, mollò tutto e la tirò via appena in tempo. Non si separarono più, pochi mesi dopo mia madre rimase in cinta e papà la sposò.>>

Dicendo queste parole Delaut mosse verso la scala che porta al piano superiore e Mantegna tenne il passo.

Il secondo piano del palazzo era la casa vera e propria dei Delaut; gli arredi erano veri e non dimostrativi, il consueto piccolo disordine di una casa vissuta, anche l’odore era diverso, una leggera nota di incenso.

La prima cosa che colpì Mantegna fu la luce che entrava dalle finestre, era chiara sembrava pura , non inquinata dai riflessi delle auto e delle vetrine, se fosse possibile avrebbe detto che era anche priva di rumore. Era una luce pura ed ovattata che a quell’ora entrava prorompente dalle ampie finestre e rendeva quelle stanze immense quasi buie per il contrasto che generava in chi veniva delle scale. Quando l’occhio si fu abituato la casa cominciò a rivelarsi a Mantegna. Il palazzo finalmente aveva una sua anima, si capiva subito che li era la vera abitazione dei Delaut. Si intuiva il tocco della servitù discreta ma onnipresente, anche se qua e la si potevano scorgere piccoli attimi di vita quotidiana come un mazzo di chiavi gettato sul tavolo,una giacca appoggiata sulla sedia, un giornale lasciato sul divano.

*A.N Assemblée Nationale, la camera dei deputati in Francia.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Mirco Calcabrina
Classe 1987, sono nato e vivo tra le verdi colline dell’Umbria. Di formazione sfacciatamente umanistica in passato ne ho combinate molte: giornalista, conduttore radiofonico, sommelier, bracciante agricolo, assistente ai richiedenti asilo, barista, cameriere, produttore di vino. Ad oggi lavoro come consulente nel turismo del vino, e nella comunicazione dei territori e prodotti tipici. Nel Dicembre 2023 al ritorno da un viaggio ho contratto il Covid, durante la convalescenza ho scritto Mantegna a Parigi “Vecchie Menzogne” il primo libro della saga dedicata all’antiquario di Perugia, il secondo libro è già in lavorazione.
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