VIS – L’energia dei ricordi è la storia di tanti, se non di tutti.
Ciascuno di noi ha un ricordo speciale cui è affezionato e che coltiva ogni giorno per tutta la sua vita. Ricordare è come stare su una sedia a dondolo: si va avanti e indietro alla ricerca di un punto di equilibrio. Come il protagonista della storia, che è un bambino, un ragazzo o forse un uomo, che sul dondolo della sua vita cerca di fare ordine tra i suoi ricordi, alla ricerca del suo punto di equilibrio.
E poi c’è Viola, che è una ragazza semplice nata in un paese semplice. Ha fatto dei suoi ricordi la forza motrice della sua vita e con la sua vita ha riempito di ricordi quella di chi l’ha conosciuta.
E come in tutte le storie folli c’è un momento in cui la storia di quel bambino, o ragazzo, o forse uomo, si incontra con quella di Viola, per un istante o per sempre, chissà.
Perché ho scritto questo libro?
Perché avevo bisogno di tempo, tempo per me. Per riappropriarmi di certi sapori, odori, profumi e immagini. E in fondo per elaborare che il senso ancestrale della vita risiede nell’amore per qualcuno o per qualcosa. Basta averne un nitido ricordo.
ANTEPRIMA NON EDITATA
I sogni aiutano a vivere.
Che ciò sia vero è indiscutibile.
Ciò che, però, più scuote e agita le nostre vite non è un sogno in sé ma l’idea stessa di sognare. Ché altro non è che l’idea di sentirsi liberi, di proiettarsi in terre lontane, di solcare il tempo a ritroso o di correre nel futuro, di immaginare l’imponderabile o di riavvolgere il nastro di quel film sui generis che è il mondo. E via, con gli occhi chiusi e i pugni stretti tra le mani. Come quando da bambini per meritarci un dono ci facevano chiudere gli occhietti e non importa se sbirciavamo, per noi era comunque magia. Ce ne stavamo lì, con gli occhietti strizzati e le manine dietro la schiena ad attendere che i nostri piccoli ma grandi sogni prendessero forma. E i sogni sono magia. La magia del fantastico, dell’impossibile, dell’imponderabile. La magia del semplice vivere.
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Da grandi o piccini non importa, ci piace sognare ad occhi spalancati e accostarci all’idea che la vita possa essere diversa da come la immaginiamo. E così di vite ne viviamo più d’una. Come storie che scriviamo nella mente o nei nostri cuori e, di tanto in tanto, rileggiamo vorticosamente per ritrovare il senso di magia. Romanzi personali che raccolgono noi, i nostri sentimenti, i nostri progetti, i nostri desideri e quei chissà che rimangono appesi e sospirati per anni. E li custodiamo gelosamente, perché sono parte di noi.
Perché, in fondo, alla fine, ciò che importa è la sintesi di tutte le nostre vite vissute, immaginate, attese, pensate, sperate; la sintesi che descrive e dà sostanza all’unica complessa vita nella quale siamo.
Ché a pensarci bene la realtà supera sempre la fantasia e se non avessimo l’idea del sogno, semplicemente, vivremmo sempre allo stesso modo, costantemente inebriati della nostra felicità o eternamente prigionieri della nostra tristezza o di quel senso di incompiutezza che, a tratti, ci rabbuia; mentre così riusciamo ogni giorno a ricordarci chi siamo, chi non saremo, chi vorremmo essere e a passare una vita intera cercando di agguantare uno dei nostri sogni preferiti. Per stringerlo forte tra le mani, per vedere che è vero, per vedere che è possibile, per vedere che effetto fa, quasi con la stessa magia di quando, da bambini, aprivamo gli occhietti serrati e trovavamo quanto per lunghe notti avevamo sognato. E non importa se poi non ci riusciamo perché è il desiderio di questo dolce assillo che ci permette di vivere sognando. Ed è proprio così che sogniamo vivendo.
Ché poi, alla lunga, come dice il saggio, non si sa mai che cosa succederà.
Come quel corridore che è ai blocchi di partenza. Lui lo sa bene che non ha nessuna possibilità di vincere. Ma è lì. E se è lì un motivo ci dev’essere. E il diritto di sognare nessuno glielo può togliere. E lui un sogno ce l’ha. È quello di correre, correre forte, correre veloce, più veloce di tutti e tutto, senza fermarsi mai.
E quello che nessuno immaginava succede. Il corridore inarca la schiena. Ondeggia tra talloni e punte. Gli occhi chiusi e la bocca aperta, quasi a prendere tutta l’aria del mondo per riempire i polmoni di vita e di forza. Poi lo sparo, che per lui è come una miccia: lo accende. E anche il sogno del corridore si accende e prende forma metro dopo metro. Perché lui è lì e sta correndo e non si ferma più. I piedi sulla pista sembrano ruote e le braccia sembrano ali. E lui non è più un atleta su una pista rossa. Lui è una scheggia. Anzi, una Ferrari. Anzi, è un falco pellegrino. La gara non è più con gli altri concorrenti ma è con sé stesso e il suo sogno. E dopo cento metri lui corre ancora, ancora più veloce. Dietro di sé il vuoto. È solo e solo corre ancora. Corre per afferrare il suo sogno, per sentire l’emozione che si prova, per sentire quella breve ma indelebile scossa che ti corre dentro tutto il corpo non appena si agguanta il proprio sogno. E tutto intorno è una grande euforia. Il pubblico si alza in piedi e apre la bocca e si riempie la vista e il cuore della magia dell’imponderabile, e poi sgrana gli occhi e urla il suo nome e anche lui urla. Urla di gioia. Urla per sé e per quel maledettissimo sogno che ora è realtà e lui è là, è sul podio e con lui c’è anche il suo coraggio: il coraggio di non smettere mai di sognare.
E magari capita anche a te che, prima o poi, per caso o per uno scherzo del destino, per bravura o perché gli astri sono allineati e i pianeti pure, l’idea che sottende al tuo piccolo o grande sogno si realizzi.
E quella si chiama felicità. È una cosa rara ma è il sale della vita.
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