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Vita e riavvita

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Vita e riavvita è una finestra sul mondo delicato e frastagliato dell’animo femminile, fatto di passioni, desideri, delusioni, partenze e arrivi, come la vita. I cinque racconti descrivono personaggi diversi per fasce d’età e problematiche: da Sonia, bambina cresciuta senza il papà, a Tecla, ventenne che affronta la crisi del mondo del lavoro, ad Amalia, che cerca di reagire dopo la morte del marito. A tutte spetta un lieto fine, perché almeno nei libri deve essere concesso fare bei sogni. Una lettura capace di risvegliare emozioni salutari, di calmare dubbi e paure, lasciando il piacevole senso del bello della vita che troppo spesso sfugge.

Introduzione

Ci sono nomi che raccontano, altri che nascondono.

Nomi che sanno di motivazioni e che si portano dietro storie.

In loro ho scovato il senso di una vita fatta di equivoci, arresti, partenze e sogni.

Sono nomi di donne dalla forza nascosta, dai problemi reali in cui è possibile riconoscersi. In ognuna c’è un po’ di noi.

Le donne sono creature strane. Complicate. Spesso sfuggenti. Contraddittorie. Sono una cosa e il suo contrario, a volte mille senza mai prenderne forma. Ogni donna è a sé nel suo intimo, nel suo quotidiano per gusti, scelte, idee. Sono proprio loro che ho voluto raccontare in queste pagine, attraverso i loro occhi, attraverso le loro parole e i loro pensieri, che si affacciano prepotenti. Scoprirete che le donne sono meravigliose sotto qualunque aspetto nascondano le loro doti, perché sono dotate di un cuore forte, ma non infrangibile.

Resto un’esistenzialista, dannatamente romantica.

Mi ostino a cercare spiegazioni profonde anche nelle sciocche pieghe degli eventi.

Quei nomi mi hanno trascinato in un percorso di introspezione fatto di lacrime dal sapore discordante. Quando la goccia si stacca dal suo lago di appartenenza, porta via il dolore che si è consolidato e libera da un peso ingombrante portandolo con sé. Leggendo dentro ognuna di loro ho scoperto che anche nella più forte si nasconde un cuore fragile, che vuole essere trattata con dolcezza e amore, e da donna a donna mi sono detta che sarebbe ora imparassimo a trattarci meglio.

Un’esperienza catartica che solo i sogni espressi possono dare perché, ora ve lo svelo, la vita ha un limite: quello che le diamo.

E così la vita si riavvita su se stessa per renderci più forti.

Prologo

Sono un’appassionata di storie, di quelle che la gente vive e nasconde nelle pieghe di un sorriso, di uno sguardo perso nel cielo. Mi piace sapere che nessuno è davvero anonimo perché il suo cammino è diverso da quello di chiunque altro. Una passione curiosa, ma non tanto diversa da quella di un amante di film, di chi divora libri, o inghiottisce programmi televisivi. Le storie mi arricchiscono e mi regalano emozioni mai provate; per un attimo smetto i miei panni e indosso quelli di una madre, di una sorella, di un’amante, senza esserlo mai stata.

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Dicono spesso che il luogo migliore per ascoltare le storie della gente sia il parrucchiere. Tra un taglio, una piega, un fissativo per il colore, pare escano di bocca segreti inconfessabili. Personalmente sono di un’altra opinione. Se vado nel salone di bellezza e ho il tempo contato, che mi chiedano della mia vita, morte e miracoli mi dà un po’ noia, mentre è diverso se sono io a volere raccontare.

Quindi penso che il posto migliore dove snocciolare storie di ogni genere sia il bar. Sarà che una bevanda calda a volte aiuta a fare cadere le riserve. Sarà che quei momenti di relax sono incontri che nascondono separazioni prolungate, e allora via con i lunghi racconti del tipo “Una vita fa mi è successo che…”. Tra un caffè servito al tavolino, un tramezzino per coprire il buco, il fresco cocktail del giorno, mi sono ritrovata spesso ad ascoltate storie molto interessanti, perché la realtà supera sempre la fantasia e la gente cela certe sottili verità da fare venire la pelle d’oca. Ho captato racconti così romantici da sentirmi invidiosa di tanta felicità, altri tristi, ma veri come solo la vita vissuta sa essere, e da ognuno ho tirato fuori insegnamenti che non saprebbero dare nemmeno i guru più esperti.

Il bar è la mia casa e tutto il resto gli gira intorno. Sarà forse perché la precedente proprietaria viveva in modo simile, in un appartamento sul retro, con l’esistenza full time tra i bicchieri e la sana soddisfazione di fare il lavoro che le piace. Appena ho messo piede qui e l’ho conosciuta, Leila mi ha subito affascinata. Fossi stata un uomo me ne sarei potuta innamorare, e a modo mio l’ho fatto. La cosa più naturale è stata rilevare il suo pezzo di vita e farlo mio partendo proprio dalla sua storia; una storia che merita di essere ascoltata.

La storia di Leila

Leila ondeggiava sinuosamente dietro al bancone del bar al ritmo della musica di Anastacia. Metteva in mostra le sue abbondanti curve per la gioia della clientela. Asciugare le tazzine era più divertente se potevi chiacchierare con ragazzi simpatici e intraprendenti, quasi non te ne accorgevi.

Le tazzine si ammucchiavano veloci nel lavandino. Pareva ci vivessero. Le aveva appena tolte dalla lavastoviglie, che già non ne aveva più pulite. Un ritmo senza fine. Al mattino tutti volevano il caffè e il cappuccino in una carrellata di varietà: amaro, latte caldo, tiepido e senza schiuma…

Aveva fatto del lavoro il suo passaporto. Ormai chi veniva al bar lo faceva per lei, per la sua straripante simpatia. Gli uomini per iniziare bene la giornata e rifarsi gli occhi, le donne per un confronto sempre dinamico con la sua mente esplosiva.

Leila andava contro le convenzioni. Prendeva la vita di petto. Chiamava le cose con il loro nome, senza mentire mai.

Il suo motto? Sesso e rock and roll. La droga era per gli insicuri.

Affascinava il mondo con il suo vedere spazi dove gli altri vedevano convenzioni.

Nonostante alla maggior parte delle persone sembrasse leggerezza, il suo modo di affrontare la vita era quello di una donna convinta di potere pretendere attenzioni, interessi.

Era indipendente sin dalla giovane età, senza impegnarsi troppo negli studi aveva iniziato a lavorare facendo esperienza dietro ai banconi dei bar locali, rubando qua e là trucchi e sortilegi per rendere i suoi cocktail i migliori della città.

In realtà il bar era stata l’eredità dei suoi genitori, un’eredità che le calzava a pennello. Senza fratelli con cui dividere nulla, poteva ritenersi fortunata. A ventun anni iniziava da uno scalino di tutto rispetto. Poteva solo migliorare.

Trascorreva la vita nel suo bar, tanto da avere trasformato il retro del locale, che i vecchi proprietari utilizzavano come ripostiglio, nella sua abitazione.

Volte in mattoni dividevano i due ambienti, giorno e notte. Una minicucina, un enorme spazio per fare ginnastica con attrezzi sparsi ovunque e una comoda zona letto dove trascorrere divertenti serate.

Bastava tirare giù la serranda e passare nel retro per finire con il lavoro e iniziare con la sua vita privata. Anche se spesso comunicavano. A farle compagnia erano gli stessi clienti. Amiche. Amici. Le prime per confidenze e pettegolezzi, i secondi per tenersi in allenamento. Il sesso era un buon esercizio. Muscoli, vitalità, pelle… tutto ne gioiva.

Leila ballava. Concentrata sulla musica sorrise davanti alla richiesta strana di un caffè allungato alla francese. Quello è brodo, non caffè pensò, ma il cliente andava sempre accontentato.

Tra poco sarebbe iniziato il rito degli aperitivi e doveva preparare gli stuzzichini. Niente di complicato, ma soprattutto niente di troppo pesante. Pizza, tramezzini, focaccia farcita, tartine sfiziose, salatini fatti da lei. I suoi clienti uscivano dall’ufficio e se era una bella giornata facevano la pausa camminando sulla passeggiata mare, mentre se pioveva passavano sotto i portici a guardare le vetrine. Era troppo poco il tempo per tornare a casa.

Arrotolò la pasta sfoglia attorno ai würstel creando rotoli lunghi e li affettò a qualche centimetro di spessore, poi li mise in forno. Fece grissini con il salame rincalzato, saccottini al prosciutto, spiedini di verdura e formaggi. La fantasia galoppava, ma spesso anche le tante ricette su Internet l’aiutavano.

Era nel bar che aveva incontrato tutti i suoi vecchi morosi e aveva creato la rete d’amicizia con le sue due più care amiche, Roberta e Diana.

Ogni cliente era libero di instaurare un bel rapporto, ma era sempre e solo lei a permettere che diventasse di più. Se vedeva qualcosa di curioso in una persona cercava di approfondire la relazione. Se si sentiva corrisposta, poteva perderci del tempo. Se le cose funzionavano poteva davvero diventare importante. Per le amicizie, ovvio. I morosi erano solo d’allenamento, non per creare rapporti stabili. A quelli ci pensavano Roberta e Diana e sinceramente le facevano passare la voglia.

Fuori pioveva. La passeggiata l’avrebbero fatta sotto il porticato. Un’ora passava in fretta. Probabilmente qualcuno in più sarebbe rimasto al tavolino a leggere il giornale o a giocare al telefono.

Bella questa musica, mi dà energia. Carino, proprio carino quel biondino appena uscito. Due pensieri ce li farei, anche se sembra tanto giovane.

Leila giocava già al ruolo della cacciatrice. Nessun uomo le resisteva, non davanti alle scollature, non se iniziava a dedicare loro due smorfiette in più. Quanto erano prevedibili.

Caro diario,

da oggi ho deciso di iniziare a raccontare questo turbine d’idee che mi gira dentro. Spero che tirare fuori le emozioni mi aiuti a sentirle meno forti e magari a trovarle stupide.

Mi è di nuovo venuto il ciclo, questa volta con ben venti giorni di ritardo. Ci avevo sperato. A quarant’anni volevo mettermi in gioco di nuovo, in bilico tra la mamma che sono stata e quella che vorrei essere, stordita di gioia e allo stesso tempo tremante di paura per lo stravolgimento che la vita andrebbe a prendere. Dopo essermi rimessa in piedi dal piccolo esaurimento nervoso, dopo avere salvato il matrimonio con tanto impegno e sacrificio, ci sono cascata di nuovo. Non riesco a darmi pace. Voglio fare di nuovo la mamma.

Il fatto è che se fossi in menopausa non starei più in ansia. L’incognita di ogni mese non la vorrei più vivere, davvero. Se il ciclo fosse regolare, se le cose fossero semplici come per gli altri… invece mi resta la speranza e a quella mi aggrappo, come quando vedo passare una carrozzina e la tentazione si fa strada.

Eppure Kiran mi impegna. Lui cresce bello, ribelle, caparbio. Un tenero diavoletto che arricchisce le nostre giornate. Tra piscina, compiti, compleanni, feste con gli amichetti, sono sempre di corsa per farlo felice. Ovviamente quando non lavoro. Ma questo lo fa ogni mamma e finalmente anche io faccio parte di quel mondo.

Il bisogno enorme che sentivo di avere il mio cucciolo da proteggere si è realizzato. Solo che cresce troppo in fretta, e se mi guardo indietro credo di avere voglia di rivivere qualche pezzo che mi sono persa. O forse è solo che lo voglio riprovare. Eh sì, ora che mi sento a posto voglio di nuovo mettere sottosopra la mia vita.

Non riesco a restare incinta. E l’idea di rifare quel calvario mi impensierisce, mi frena. Se deve succedere penso che capiterà in maniera del tutto naturale. Se non accade forse non è destino. Forse. Ma dove sta scritto? Fino a che non è detta l’ultima parola non mi arrendo.

Questo mese sono di nuovo speranzosa. Chissà che sia la volta buona.

Roberta

Caro diario,

non ha senso che ti scriva i miei dubbi di oggi se prima non chiarisco da dove nascono. Anche se non sei una persona vera con cui posso dialogare, ma solo lo specchio di me stessa, credo dovrei cominciare dall’inizio.

Avevo mille sogni quando ero ragazza. Come tutti. Mi sentivo brava in qualche cosa, portata, si dice così. Solo che non avevo gli strumenti per capire cosa davvero volessi. Troppo giovane, troppa fretta. Ho fatto la scelta sbagliata negli studi. Mi sono allontanata dal mio sogno di insegnare. Il problema è che la scuola che ho scelto non mi ha permesso di trovare il lavoro adatto. Sono cascata nel mercato del “qualunque cosa va bene per campare”. Ho fatto un po’ tutte le esperienze, alberghi, negozi, supermercati. Non mancandomi la parlantina riuscivo a ingranare subito, senza mai trovare, però, qualcosa di realmente affine a me. Purtroppo il lavoro non mi ha portato a contatto con i bambini come tanto avrei voluto.

Ho incontrato Massimo e dopo averlo rincorso a lungo sono riuscita a conquistarlo. Da vent’anni fa parte del mio quotidiano, tra alti e bassi. Forse, no, sicuro, più bassi che alti. Insieme ne abbiamo superate tante. Però è stato bello. Ci lega un amore profondo, vero. A volte è parso nascosto sotto le tende della nebbia, ma quando siamo riusciti a farlo emergere ah che spettacolo!

Stare con lui però mi ha creato di nuovo il problema di essere lontana dai bambini.

Dopo due anni di matrimonio mi ha proposto di smettere di prendere la pillola. All’inizio mi è suonato strano, prematuro, poi mi sono detta “Perché no?”. Ero innamorata pazza, giovane.

Non pensavamo che la stabilità economica fosse importante. Se avessimo rispettato tutti i se che si presentavano non sarebbe mai arrivato il momento giusto. L’idea di dare ai nostri figli dei genitori giovani ci elettrizzava. Ne avremmo voluti tre, sì, li sognavamo già. Sarebbero cresciuti assieme a noi, uniti, solidali.

Invece facevamo l’amore ed era fine a se stesso. Per quanto lo desiderassimo non cresceva nulla nella mia pancia.

La prima volta che abbiamo provato, dopo avere interrotto la pillola, mi sono sentita strana, una valanga di emozioni mi hanno attraversato. Ma nulla.

All’inizio ho anche pensato che non fossimo adatti a stare insieme e che si trattasse di un segno del destino; magari qualche cosa tra noi due non funzionava, ma non poteva essere. Amarsi così e non potere procreare? Anche se mi impegnavo non notavo proprio nessun cambiamento.

Da quel giorno si è inserito un pensiero fisso nella mia mente: avere un figlio a tutti i costi.

Ogni cosa era legata a quello. Tutto finiva lì come in un vortice durante il tornado. Energie, preoccupazioni, stimoli, progetti. Mi ha succhiato il sonno, la voglia di fare, la spinta per andare avanti. Era diventato un ostacolo che mi frenava in qualunque situazione. Anni di frustrazione si sono sommati, mentre intorno a me le altre donne riuscivano ad avere figli senza problemi. Vedevo solo pance, solo passeggini, solo bimbi meravigliosi tra le braccia dei loro genitori. Fare due passi somigliava a una tortura; vietati i parchi giochi, le vicinanze di asili e scuole se non volevo farmi altro male gratuito.

Provavo a concentrarmi sul mio desiderio e… mi illudevo. Coscientemente sapevo di illudermi.

Dopo un anno e mezzo abbiamo deciso di iniziare il calvario medico per trovare una ragione. È stato un duro colpo scoprire che io stavo benissimo e lui invece aveva dei problemi di numero e velocità degli spermatozoi. Un boccone amaro da digerire. Si sa, gli uomini e la loro virilità! Ha provato a fare delle iniezioni di nonsochecosa gli abbia prescritto il dottore, ma non sono servite a niente. Anzi, l’umiliazione era maggiore quando a ogni spermiogramma a ricevere il liquido dall’altra parte era una giovane dottoressa. Il medico alla fine ci ha consigliato di ricorrere alla fecondazione assistita perché altrimenti non avremmo mai potuto avere figli naturalmente.

La diagnosi del dottore suonava come una sentenza alle nostre orecchie, una doccia gelata. All’inizio ci ha tagliato le gambe ed è stata difficile da digerire, ma ci ha trovato più uniti che mai. Avremmo potuto rischiare di separarci, pressati dalla tensione e dalla sensazione di impotenza, avremmo potuto colpevolizzarci a vicenda, invece siamo rimasti uniti a farci forza, a consolarci l’un l’altra affrontando il calvario.

Io sono arrivata a desiderare un figlio anche e soprattutto per lui, per non fargli sentire la responsabilità della situazione.

Per la fecondazione siamo andati in Francia, qui le leggi erano estremamente restrittive. Ho dovuto fare le punture sulla pancia prima per bloccare il ciclo, poi per l’iperstimolazione. Ovviamente era Massimo a farmele e quel mese le mie ovaie hanno prodotto ben tredici ovuli.

Per asportare gli ovuli mi hanno dovuto fare una vera e propria operazione, con tanto di anestesia totale. Un’esperienza terribile, perché oltre all’imbarazzo e alla fifa nera – ho sempre odiato gli aghi, rischiando di svenire ogni volta per un semplice prelievo di sangue – c’era tutto il turbine di emozioni che mi accompagnavano e mi stordivano… Conosco poco il francese, figuriamoci i termini medici! All’inizio ci ho provato, poi mi sono lasciata andare abbandonandomi nelle mani di dottori e infermieri. Che dolore al risveglio!

Tre giorni dopo, pieni di speranza, siamo tornati all’ospedale. Nel frattempo con gli spermatozoi di Massimo, al quale avevano fatto una cura rinvigorente, erano riusciti a fecondare nove ovuli. Tre me li hanno impiantati il giorno stesso, gli altri li hanno congelati.

Naturalmente tutto all’insaputa di chiunque.

Le prime beta evidenziavano una gravidanza, ma erano comunque un po’ bassine. Noi ci siamo illusi e abbiamo festeggiato, addirittura sperato di ricevere in dono tre gemelli, così da toglierci il pensiero. Eravamo al settimo cielo, non stavamo più nella pelle. Il mio seno si stava gonfiando e… mamma mia, come prudeva.

Abbiamo commesso lo sbaglio di gridare vittoria e dirlo a parenti e amici, ma, si sa, l’emozione, l’attesa… purtroppo l’idillio è durato poco, perché qualche giorno dopo ho visto del sangue.

Le delusioni non si contavano nemmeno più. Le giornate avevano ripreso a scorrere come se niente fosse successo, almeno in apparenza. A distanza di parecchi mesi l’uno dall’altro abbiamo fatto tutti i tentativi disponibili. Tre ovuli più tre ovuli. Queste due volte però nessun segno, nemmeno una speranza. Avevamo terminato il ciclo, eravamo punto e a capo, con l’aggiunta di tanta tristezza nel nostro bagaglio.

Quanto coraggio c’era voluto, ma non avevamo ricevuto nessun premio.

Insomma, diventare genitori si era trasformato in un lavoro, uno stress, un problema. I miei sensi di colpa nei confronti di Massimo aumentavano. Quanto gli stava costando provare a mettere al mondo quella creatura. Lui si sentiva in colpa per non riuscire dove gli altri uomini avevano successo, ma non era così.

Ha iniziato con il cambiare la biancheria intima, quella attillata non era idonea. Niente fumo, alcol, droga. Nessun problema, non erano nel menù. Controllo di peso ed età, tutto nella norma.

In una sola parola: frustrante.

Ho scoperto che il mondo era pieno di questi casi.

Esistono infatti ricerche a proposito, nuove tecniche, cliniche, sperimentazioni. La colpa la danno ai farmaci, al cibo, all’aria che respiriamo.

Se c’era un disegno superiore non lo so, ma alla fine ci siamo arresi. La nostra felicità meritava di più, meritava l’attenzione, la cura e la spensieratezza che avevamo perso.

Viaggi. Abbiamo sostituito il figlio con i viaggi. Bellissime esperienze in giro per il mondo. Ah, viaggiare apre la mente! Conosci, vedi, vivi, assapori. Perù, Messico, Guatemala, Brasile, Cuba, Zimbabwe, Parigi, Londra. Che bel periodo. Appena mettevamo due soldi da parte si partiva. Viaggi economici, molto fai da te, e via, alla scoperta del misterioso pianeta Terra.

Potrei scriverti di posti bellissimi, gente stravagante, cibi inimmaginabili, ma non è di questo che ti voglio parlare.

Anche durante i viaggi, velatamente pensavo al figlio che non arrivava, al tempo inesorabile che scivolava via. Se lo avessi avuto avrebbe visto quelle cose con noi. Continuavo a farmi del male. Quando me ne rendevo conto mi davo della matta, ma non facevo altro che nasconderlo a me stessa.

Volevo apparire forte, anche se non lo sono mai stata.

Ho anche pensato di adottare uno di quei bimbi provenienti dai posti desolati che visitavamo, ma sapevo quanto lunga e tormentosa fosse la strada. Forse non possedevamo nemmeno i requisiti richiesti. E poi desideravo tanto che fosse geneticamente nostro quel figlio.

Intanto la vita andava avanti. Cambiavamo lavoro, imparavamo a convivere con il vuoto intorno.

Ho affrontato il discorso con un sacerdote che mi ha ascoltato e indicato letture della Bibbia su cui riflettere. I nostri incontri erano diventati quasi settimanali. Ho capito che secondo il suo pensiero se Dio ci mette di fronte alle difficoltà è perché ci vuole fare crescere, le difficoltà rinforzano. Ma di fatto una risposta non l’ho avuta.

Qualche tempo dopo ecco la mia nuova occasione. Avevo un ritardo, mi sentivo strana, mi prudeva il seno; conoscevo quella sensazione, l’avevo già provata, ma avevo il terrore di fare il test. Non volevo ricevere un’altra delusione. Mi capita ancora oggi ogni volta che il ciclo ritarda. Non ho il coraggio di fare il test di gravidanza e allora aspetto.

Che fessa!

Qualche giorno dopo ho cominciato a vedere delle piccole macchie di sangue. Avessi saputo cosa stava succedendo… avessi preso coscienza… invece ho pensato “Ecco, era un semplice ritardo”. Passati altri giorni, una brutta mattina mi sono svegliata in un lago di sangue e con dei dolori lancinanti. I dolori del parto sono terribili, ma anche quelli dell’aborto, giuro, non scherzano. Io che ho una soglia del dolore abbastanza alta ho pregato Massimo di chiamare il 118.

Ho perso il mio fagiolino quando era di otto settimane e ho anche dovuto subire il raschiamento. Quanto ho pianto quella notte, quante volte mi sono data della stupida e quante volte continuo a farlo tutt’ora. Non riesco a perdonarmi. Se avessi fatto prima il test, se fossi corsa dalla ginecologa alle prime avvisaglie di una minaccia d’aborto. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa… forse…

Però qualcosa era successo. Avevo appena perso un bimbo, ma quel bimbo era stato concepito naturalmente! Allora Massimo funzionava, e se ha funzionato una volta… d’altronde, ne basta uno che centri il bersaglio!

È passato un anno, un lungo anno perché accadesse di nuovo. Avevamo deciso di affidarci nuovamente alla fecondazione assistita, bisognava solo fissare gli appuntamenti per le visite. Non era più di competenza mia, ci avrebbero pensato i dottori. Questo mi alleggeriva molto e mi dava nuove speranze.

Un giorno è arrivata una telefonata inattesa mentre pensavamo alla fresca meta da puntare con l’ultima liquidazione: ci avrebbero assunti entrambi nel nuovo supermercato in centro. Io cassiera, lui operatore dietro il banco della carne. Ottimo. Due lavori sicuri, ben retribuiti e con tutti i requisiti del settore.

Mi sentivo rilassata e soddisfatta. La ruota girava per il verso giusto. Abbiamo saltato di gioia e brindato. Niente più panico a fine mese per affitto e bollette. Poteva uscirci qualche cosa di buono.

Però il viaggio sarebbe saltato, avremmo dovuto iniziare a lavorare due giorni dopo.

Quel giorno secondo me è importante, per questo te ne parlo. Da quella telefonata è iniziato il graduale miglioramento della nostra esistenza.

Il lavoro ci prendeva molto, facevamo turni massacranti, non ci tiravamo mai indietro. Tornavamo a casa stanchi e svogliati allidea di fare qualunque cosa. Ci sentivamo nel mondo degli adulti con ancora addosso l’abito degli adolescenti sprovveduti. Però funzionava. Al supermercato si stava bene, i colleghi erano simpatici, il clima conviviale, era più un negozietto che un supermercato.

Sarà stato tutto questo, non lo so, sta di fatto che il nostro momento d’oro è arrivato, quando ormai non ci pensavamo più, senza alcun aiuto. Dicono tutti che quando smetti di pensarci il regalo che desideri arriva.

Felici? No, di più. In estasi. Trepidanti.

Però, aspetta, ti voglio raccontare per benino come è andata.

Calendario alla mano, ho capito che avevo di nuovo un discreto ritardo con il ciclo. Questa volta il test di gravidanza l’ho fatto. Massimo mi aspettava fuori dal bagno e la linea di “positivo” l’abbiamo vista assieme. Lui mi ha detto: «Bene, butta via lo stick, non pensarci, domani lo rifacciamo e se darà lo stesso risultato penseremo a cosa fare».

Come avrei fatto a non pensarci?

Comunque la giornata è trascorsa veloce tra mille sentimenti contraddittori.

Il test del giorno dopo ci ha dato la conferma: ero incinta.

I giorni successivi, ogni volta che andavo in bagno, prima di tirarmi giù le mutandine facevo un bel respiro per paura di trovare brutte sorprese. Per fortuna non ce ne sono state.

Poi sono arrivate le nausee e le ho trascorse mangiando solo patatine nei pacchetti e bevendo succhi di frutta. Non tolleravo altro.

Erano passati sei anni. Ne avevo ventisette quando ho smesso la pillola, Kiran l’ho partorito a trentaquattro. Sei lunghissimi anni di attese e sofferenze da condividere con Massimo, ma anche velocissimi perché luna dopo luna i mesi si sommavano e mi vedevo invecchiare senza avere la mia possibilità, la mia ricompensa…

E ora ne sono trascorsi altri sei. Lui è già grandicello, autonomo, un orgoglio ma anche un rimpianto vedendolo crescere così in fretta.

La gravidanza è stata meravigliosa, me la sono goduta fino all’ultimo. Ero fiera del mio pancione, lo avrei portato per sempre. Non capivo le altre donne che incontravo, sempre a lamentarsi. “Non sai che mal di schiena.” “Ho le gambe gonfie.” “Non riesco più a dormire la notte.” “Non vedo l’ora che nasca per togliermi ’sto peso.” Io no, mi piacevo, anzi, ero convinta che una volta partorito mi sarebbe mancato il bel pancione. Non che a me non pesasse, che non avessi mal di schiena e le gambe gonfie, d’altronde lavoravo anche tutto il giorno… Ma lo avevo desiderato così tanto, lo avevo sognato, avevo fantasticato.

Ho lavorato fino all’ottavo mese, per recuperarne uno da trascorrere insieme dopo la nascita di Kiran.

Roberta

«Un Americano, Leila, grazie.»

Accidenti, un Americano prima di pranzo è tosto da mandare giù.

«Subito, caro!» rispose Leila, la voce squillante e provocatoria con l’inflessione sul “caro”.

Leila si mise all’opera per preparare il cocktail più richiesto nel suo bar. Sul bancone mise un bel bicchierone Old fashioned pieno di ghiaccio, che riempì con Vermouth rosso, Bitter Campari e Soda. Inserì una cannuccia e miscelò, facendo tintinnare il ghiaccio. Per guarnire, un pezzetto di scorza di limone e una fettina d’arancia.

«Voilà, Americano pronto, accompagnato da alcuni stuzzichini» esclamò, avvicinando anche un piattino con degli assaggi delle sue leccornie.

Non sapeva bene se venissero per lei, per i suoi Americani o per le sfiziosità che preparava, ma il fatto era che il bar faceva fatica a conoscere momenti di tranquillità. Meglio così.

«Mmhhh. Spettacolare, Leila. Ancora più buono del solito.»

«Ciao, a me un bicchiere di bianco frizzante.»

«A me un analcolico.»

Era iniziato il momento dell’aperitivo. Okay, sotto a chi tocca. Tazzine a riposo, pronti i bicchieri.

In un attimo erano già le due, il peggio era passato. Per fortuna. A quel ritmo ci sarebbe stato bene un aiutante. Ora poteva rilassarsi, sarebbero arrivati tipi più soft.

«Oggi sono ghiacciata. Si gela fuori. ’Sto tempo non si decide mai. Avevo messo via il cappotto e mi prendo quasi un raffreddore. Me lo fai un bel tè caldo?»

Era di nuovo il momento delle tazze.

«Un bel caffè. Ristretto e amaro. Mi dai anche un bicchiere d’acqua? Che giornata oggi, non ne potevo più.»

Donne, sempre a lamentarsi. Gli uomini almeno facevano i simpatici. Provoloni, ma piacevoli.

«Ho un buco allo stomaco, ti è rimasto qualcosa da buttare giù veloce prima di andare a prendere i bambini a scuola? Perfetto, il tramezzino è l’ideale. Anche un caffè, no guarda, un cappuccino. Ma prima mangio.»

Sì, ognuno aveva le proprie abitudini, i propri tempi. Venivano al bar per trovare spazio dalle paturnie, convinti di meritare chissà cosa, visto che pagavano. Comunque lei era lì apposta, li soddisfava, ascoltava e consigliava. Era una dispensatrice di liquidi e solidi con contorno di sorrisi e piccoli pareri, pillole di saggezza. Avrebbe potuto scrivere le frasi all’interno dei cioccolatini o dei biscotti della fortuna; ne sapeva una più del diavolo.

«Ecco finalmente una faccia felice.»

All’ingresso di Roberta, Leila si fece provocante. «Cos’è quel muso lungo?»

Roberta era una delle cassiere del supermercato vicino. L’aveva conosciuta anni fa quando aveva aperto e da subito le era stata simpatica. Un’amicizia nata strada facendo. Era una ragazza talmente trasparente da non riuscire a nasconderle nulla. Era un vantaggio. Leila stava volentieri a chiacchierare. Le offriva sempre la consumazione, perché Roberta era così gentile da portarle sempre la spesa a domicilio.

«Ma va, muso lungo! Sono solo stanca.»

Mentiva, ma anche a se stessa. Volutamente.

«Eppure io quella faccia la riconosco. Non me la racconti giusta. Senti un po’, che fai stasera? Diana non è ancora passata, ma volevo proprio fare serata con voi due» buttò lì.

Le serate a casa di Leila erano spassosissime. Si mangiava sul letto, anche perché il tavolo era il bancone della minicucina. Stendevano un telo sul giaciglio e come adolescenti a un pigiama party spizzicavano da un cartone in mezzo a loro la pizza ormai fredda mentre si scambiavano mille chiacchiere e confidenze. Sì, una serata così era curativa. Ognuna delle tre diceva la sua e tornava a casa convinta di potere cambiare il mondo.

«Direi che non posso accettare per Diana, ma io ci sto molto volentieri. Che faccio, preparo qualcosa da mangiare?»

«Ma va, con tutto quello che hai sempre da fare riposati. Ordino la pizza, mica vuoi rompere l’abitudine?»

Già, era un vero e proprio rito.

Se un uomo fosse rimasto in ascolto in quelle ore di confidenze non avrebbe più avuto il coraggio di farsi vedere in compagnia di alcuna donna. Il loro punto di vista li metteva tutti al muro in mutande e… no, nessuna fucilata, ma acqua gelata addosso sì. A volontà.

«Eccola. Parli di lei e spuntano le… innominabili. Ciao Diana. Anche te, ragazza, che faccia. Ma cosa succede in quel posto, vi succhiano il sangue?»

Collega, cassiera, amica, Diana era la terza componente del trio. Tre more, tutte diverse.

«Perché parlavate di me, cosa ho combinato? Oggi sono piuttosto giù di corda, avrei bisogno di nuove energie.»

Diana, spossata più che sfinita, andava incontro alle amiche che vedeva sempre giovani e perfette, mentre lei sapeva di sembrare la loro madre.

«Si pensava di fare serata noi tre. Ci stai? Mi sa che ne hai bisogno.» Leila propose l’incontro.

«Capita a fagiolo. Sì, ho voglia di sfogarmi un po’. Solita ora? Porterò le bimbe dai miei, così Andrea non si stressa e quando tornerò non mi lancerà palle infuocate.» Anche Diana ci stava.

«Perfetto, ragazze. Il team è pronto. La terapia “Cura per musi lunghi e giornate storte” è in arrivo. Stasera ci rifacciamo del tempo perduto.»

Leila era già pronta a calarsi in discorsi a lei così distanti. Le piaceva proprio conoscere ciò che non le apparteneva, la vita da mogli, madri, donne di casa. Ruoli stretti per lei che amava e metteva se stessa al di sopra di tutto.

Leila provava tristezza e amarezza quando le sentiva lamentarsi, impotenza e fastidio quando non facevano nulla per cambiare le cose. Sapeva già a cosa sarebbe andata incontro anche quella sera: male gratuito.

Le tazzine cominciavano di nuovo il loro turno per tè, caffè, cappuccini. I bambini uscivano da scuola e i genitori li portavano a fare merenda con latte, spremute, bibite, patatine. Tra poco la testa le sarebbe risuonata di urla e risate. Un arcobaleno di colori quei musetti, stanchi, dolci, impertinenti.

Le piacevano, ma a piccole dosi. Preferiva di gran lunga i maschietti grandi. Con loro sapeva cosa fare, due mossettine, una mano passata tra i capelli e il gioco era fatto: serata assicurata con piacevole finale.

Niente da fare, non era proprio tagliata per il ruolo di mamma. Né oggi, né mai.

28 Aprile 2016
la campagna di Nadia Banaudi sta andando bene! Per tutti i sostenitori, il 4 maggio alle 19 ci sarà un aperitivo-chiacchiera con la presentazione della sua raccolta di racconti Vita e riavvita. Storie di donne comuni e speciali! L'evento si terrà al bar di via Spianata Borgo Peri, Imperia. Di seguito la locandina con tutte le informazioni. Partecipate numerosi!

28 Aprile 2016
si parla della nostra autrice Nadia Banaudi e della sua opera Vita e riavvita. Storie di donne comuni e speciali sul giornale lariviera.netweek.it! Non possiamo che esserne contenti e condividere con voi la foto di questo interessante articolo!

29 Aprile 2016
la nostra autrice Nadia Banaudi torna a far parlare di sè! Vogliamo condividere con voi il link di una sua intervista al Salotto Antonio Moccia in cui parla del suo libro Vita e riavvita. Storie di donne comuni e speciali e del crowdfunding letterario! Buon ascolto!
https://www.youtube.com/watch?v=e0KqItODozU&feature=youtu.be

12 Maggio 2016
da oggi troverete la nostra autrice Nadia Banaudi anche su Appeal Power. Ogni settimana potrete leggere i suoi contributi nella rubrica Anime di Carta!

inside the World all begins locally,(LOCGLOB),and then turns into global,(GLOCAL):the 45 Geopolitical Regions and the 296 leading Towns

17 Maggio 2016
abbiamo il piacere di invitarvi nuovamente all'evento organizzato per la promozione di Vita e riavVita, questa volta patrocinato dall'ufficio di Pari Opportunità della provincia di Imperia.

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26 Maggio 2016
complimenti a Nadia! Oltre ad aver conquistato l'attenzione del quotidiano La riviera, ha raggiunto la quota del 50% del goal finale. Che grinta!

secondo articolo riviera a colori

07 Giugno 2016
un altro evento per la promozione di "Vita e Riavvita" si terrà giovedì 16 giugno, presso la Sala dei Comuni della Provincia di Imperia. Troverete tutte le informazioni nella locandina qui sotto!

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20 Giugno 2016
ecco alcune foto scattate durante le due presentazioni di Nadia, in collaborazione con l'ufficio delle Pari Opportunità

11 Agosto 2016
Sabato 13 agosto, dalle ore 15 alle ore 24 il borgo di Boscomare (IM) ospiterà la seconda edizione di BoscomarTe, manifestazione che promuove l'arte e l'artigianato artistico, a cui anche la nostra autrice, Nadia Banaudi, parteciperà, presentando la sua campagna Vita e riavvita. Storie di donne comuni e speciali. 

13 Luglio 2017
L'autrice di Vita e Riavvita, Nadia Banaudi, si racconta e racconta la genesi di un libro per donne che non siano solo "nere" o "rosa". Qui trovate il link all'intervista completa: https://www.riviera24.it/2017/07/col-crowdfunding-nadia-banaudi-realizza-il-suo-sogno-rivolto-alle-donne-in-cerca-di-serenita-259985/
02 Agosto 2017
Domenica 10 settembre, Nadia Banaudi presenterà Vita e Riavvita in occasione del Bordighera book festival. Ecco il link all'evento --> https://bit.ly/2uj2Bs5
02/10/2017
Sabato 21 ottobre non prendete impegni! Le scrittrici Nadia Banaudi e Sandra Faè ci parlano di donne equilibriste alle prese con la vita.
28 Novembre 2017
"Vita e riavvita" su Romance non-stop! Al link potete leggere la recensione al libro di Nadia Banaudi https://bit.ly/2Ag3bLR
01 Febbraio 2018
Una bella intervista a Nadia Banaudi, sul mondo della scrittura, della lettura e i progetti futuri... https://bit.ly/2DSw8yc

Commenti

  1. Camilla Costa

    (proprietario verificato)

    Vita e Riavvita è uno di quei libri che si legge tutto di un fiato. Nadia Banaudi ci porta all’interno di ogni racconto prendendoci per mano per presentarci uno a uno i personaggi usciti dalla sua immaginazione. Le vicende narrate sono storie di donne, sono emozioni che corrono nei gesti delle protagoniste, che risuonano nella vita di ogni donna con la speranza che la vita possa tornare a sorridere. Da leggere!

  2. Di solito non amo i libri di racconti,ma questo mi ha veramente conquistata. L’autrice scrive con mano leggera e racconta storie di donne in cui è facile riconoscersi, di come cadiamo, ma soprattutto di come ci rialziamo. Lo fa con delicatezza e saggezza nonostante la sua giovane età. È un libro molto piacevole, commovente e allegro al tempo stesso. Ti tocca il cuore e lo rasserena. Renata Bianchi

  3. Vita e riavvita

    Quante storie si possono raccontare delle donne e degli uomini che hanno attraversato il mondo? La risposta è semplice e allo stesso tempo complicata. Ogni essere vivente ha la sua Storia, piccola o grande che sia poiché l’uomo vive nelle sue parole e nella narrazioni delle vicende che lo circondano.

    Storie comuni che talvolta passano inosservate ai più ma che hanno la consistenza dell’esserci, per quel senso comune di trascendenza che, da ogni singolo gesto, parola, emozione, quell’essere vive.
    Storie e vite di donne che si intrecciano nella materialità di una quotidiana e fragile esistenza. Sì, fragilità e precarietà con cui ogni giorno si lotta per vivere, affermarsi, desiderare, piangere e amare. La vita è spesso un campo di battaglia con i suoi drammi e le piccole felicità, i sogni mai realizzati e la carezza di una mano che ti aiuta ad andare avanti.

    Vita e riavvita è una raccolta di racconti che non parla di grandi ed eclatanti gesti ma si sofferma, con una prosa partecipata e delicata, sulla vita dei personaggi che animano le vicende narrate e le fissa come farebbe un buon fotografo che non si cura della tecnica o della chimica ma solo delle emozioni che quelle immagini trasmetteranno.

    Vita e riavvita è come una fotografia a colori dove le cose si mostrano per quelle che sono, ma quelle variazioni tonali e sature di vitalità, nella loro drammatica attualità ci parlano ancora di speranze e ottimismo. Che il sole splenda alto nel cielo!

    Michele Iacono

  4. Linda D

    Cara collega di campagna, mi è molto piaciuta la tua anteprima, emozionante, coinvolgente, terapeutica, catartica… Nello scrivere tiri fuori una sensibilità che credo ti appartenga di gran lunga, seppur conoscendoti poco e a distanza, ti faccio i miei sinceri e partecipi complimenti!

  5. (proprietario verificato)

    Benvenuti in questo spazio creato apposta per commentare, leggere ed esprimere opinioni sulla raccolta in attesa di venire pubblicata. Grazie a tutti coloro che porteranno il loro contributo

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Nadia Banaudi
Nadia Banaudi nasce il primo marzo 1974 a Savona e vive con la famiglia a Imperia. "Vita e riavvita" è la sua prima raccolta di racconti.
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