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Vorrebbe essere un film

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Quante volte abbiamo desiderato vivere in un film?
Proprio come se fosse il protagonista di una pellicola hollywoodiana, Nico, giovane dall’animo sensibile che ama suonare la chitarra e scrivere poesie, racconta la sua storia, frame dopo frame, tra piani sequenze, sguardi in macchina e colonne sonore che descrivono musicalmente la sua quotidianità. Forse il filtro della finzione cinematografica lo aiuta a riflettere sulla realtà e ad accettarla o forse è la maschera che ha deciso di indossare che gli permette di raccontare al meglio chi è veramente. Tra le lezioni all’università e le occasioni sociali, le amicizie fraterne e la ricerca dell’amore, emerge così il ritratto dei vent’anni, tormentati e confusi, in balìa di incertezze e di domande sul futuro e in cerca di una direzione.
Perché Nico vorrebbe che la sua vita fosse un film, ma non lo è, e nella vita vera il finale resta sempre aperto.

SCENA I
ALLA FINE

Metti su una canzone leggera, rilassante, e guarda.

C’è un grandangolo soleggiato sulla città di Roma. No, non cercare il Colosseo, piazza Navona o altro, ma perditi nei rugosi vicoli che sanno di ammoniaca, con i loro muri arancioni ricoperti da scritte sporche. Annusa: senti Roma. È sanguigna, perché sia viverci sia sfiorarla per un po’ fa sì che una piccola parte di lei inizi a scorrere in te.

Te senti Roma, e Roma te sente.

Ascolta.

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Vorrei che la mia vita fosse un film, e un po’ in realtà credo lo sia. Ci sono anche i personaggi giusti, in questo film, e non devo neanche allontanarmi da casa per mostrarteli.

Quello ribaltato sul divano, intento a rollare una canna a testa in giù, è Federico. Spoiler: gli cadrà tutto in faccia come le ultime venti volte che ci ha provato. Discendente di una nobile famiglia capitolina, ha quattro nomi ed è alto e secco come un lampione, al quale somiglia anche per un leggero inarcamento della schiena. Pelle olivastra, moro, occhi verdi e animo pseudoaccademico.

«Io dovevo nascere nel Novecento» ha detto una volta. «A quest’ora mi stavate studiando sui libri.»

Di che materia, però, non si è capito.

La musica alta viene dalla camera di Fausto, che si è di nuovo dimenticato di collegare le cuffie al Bluetooth delle casse. Il suo problema di udito è estendibile all’intera sua personalità, che siccome gli voglio bene esplicherò come particolare. Ricciolo nero, faccia e corpo paffuti, piedi per terra e testa fra i manga. A un campionato di nerd non vincerebbe, ma di sicuro parteciperebbe a tutte le gare in programma.

Me la sono cercata, è vero. Quando li ho conosciuti, durante il nostro primo semestre universitario, e mi hanno proposto di andare a vivere con loro, avrei dovuto capire cosa mi aspettava. Fausto, con la faccia uno che ha appena tamponato una macchina per sbaglio, mi fece: «Nico, senti, con Fede volevamo chiederti una cosa…». Poi concluse nel gelo: «Ti va di fare una cosa a tre insieme a noi due?».

«Ma sono etero.»

Il povero Faustino si prese uno schiaffo sulla nuca da Fede, che chiarì il misunderstanding. «Il fenomeno, qui, intendeva dirti che, siccome hai intenzione di prendere casa in affitto vicino all’università, se ti va puoi venire da noi che abbiamo una terza stanza libera.»

Il mio sorrisetto di risposta segnò l’inizio della convivenza.

Appena giunto a Roma non ero un pesce fuor d’acqua, ma direttamente una sogliola sulla padella pronta a essere cotta. Gli stessi occhi a palla e lo stesso tremolio mi accompagnavano nel viavai di una grande città, e accanto a me non c’era alcuna persona a cui fossi legato. Lasciare tutto al paese e fare le valigie è stato un passo troppo grande per il mio corpicino, che si dimenava tra i giganti edificati e i frastuoni della capitale. Federico e Fausto hanno riposto il pesce in una brocca d’acqua pulita, che significa una casa accogliente non tanto per l’ordine – ti immagini che Caporetto che è qui dentro –, ma per quell’abbraccio caldo di tranquillità che emana.

I primi mesi ero un gambero: sempre pronto a spostarmi all’indietro per tornarmene a casa con i miei. Ma ero costantemente affascinato da qualcosa di indefinito che mi ha trasportato fino a dove sono; qualcosa di talmente potente da sottomettermi a suo schiavo. Fu l’energia pompata dal cuore che mi legò a questo posto con un doppio nodo. Quel senso di vago e scomposto delle giornate di sole, l’odore degli alberi in autunno, le note delle persone che conosco di volta in volta. Il potere del “tutto può accadere”, gli abnormi cartelloni pubblicitari, la ragnatela della metro. Non lo so cos’è che mi fa svegliare la mattina e cosa mi fa addormentare di notte, ma so che è invincibile. Vorrei poterti inviare migliaia di cartoline di ogni giorno o comunque imprimere immagini qui per farti capire cosa significa, quando pizzica l’animo e non riesci a contenerti. Quando la mente si apre come pane caldo appena tagliato e vola e nuota e viaggia, tanto da non farsi bastare niente. Se ho battito al polso, aria nei polmoni e sangue nelle vene, lo devo al bisogno incessante di annegare in tutto ciò. Fino a morirne un giorno, stanco e appagato.

I miei due ciceroni mi hanno sempre guidato spericolatamente tra le curve spiegazzate di Roma e non hanno mai fatto mancare risa ai momenti. L’università? Ho dato qualche esame, ma chissenefrega del futuro quando hai un presente vivo e colorato come l’amore in primavera. Ma la primavera dura pochi mesi e dopo l’estate il cielo torna a oscurarsi di nuvole scoppiettanti. La vanità dei giorni diventa superficialità; la brillantezza dei colori perde fiducia e tornano toni di grigio. Il polso batte più lentamente, l’aria nei polmoni si affumica di sigarette e il sangue si innamora del veleno.

Sogni mai di trovarti in una situazione complicata e di non riuscire a muovere un muscolo? Oppure sei in una situazione di pericolo, ma non riesci a chiedere aiuto? Ecco, l’apatia mi prende quando mi sento così. Nel bel mezzo del cammino mi accorgo di essere fermo su un punto, e da lì fisso il soffitto. Osservo le ragnatele all’angolo, le quarantasette crepe, l’intonaco ammaccato; se prima trasformavo tutto nel frullatore della fantasia, ora rimane un soffitto ambrato e incupito dagli anni e dalle paranoie. Sul letto comodo affranco il mio corpo e guardo su. Passa un pensiero, un altro e un altro ancora fino ad accumularsi tutti nello stomaco. Blocco il rigurgito di vomito in un groppo in gola, sgrano gli occhi e trattengo un sorriso da mostrare al resto del mondo fuori dalla mia stanza.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Alessandro Maestri
nato in provincia di Viterbo, classe ’96, è attualmente iscritto alla facoltà di Letteratura, Musica e Spettacolo presso l’Università Sapienza di Roma. Conta, all’attivo, fugaci esperienze di giornalismo freelance e un paio di racconti già pubblicati, perché, nonostante la sua affezione per musica, teatro e cinema, è la scrittura il suo principale mezzo espressivo.
Alessandro Maestri on FacebookAlessandro Maestri on Instagram
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