«È semplice, non può affatto. Non per questo, tuttavia, la sua degustazione sarà peggiore della mia. Non dobbiamo andare alla ricerca di determinati profumi o sapori solo perché qualcuno sostiene che ci siano.»
Cercando di non perdere il filo del ragionamento, lanciai uno sguardo verso il fondo della sala alla ricerca di qualcuno che potesse deviare quella fastidiosa luce dai miei occhi. Fu in quel momento che li vidi per la prima volta. Pensai fossero due addetti alla sicurezza.
«Possiamo fare affidamento solamente sui nostri sensi e sui nostri ricordi, imparando a fidarci di loro senza avere paura. La descrizione dei profumi di un vino si definisce riconoscimento olfattivo proprio perché si tratta di riconoscere dentro un calice odori che abbiamo già incontrato una o più volte nella nostra vita. Uno stesso vino, quindi, può rivelarsi in modi differenti, anche se non completamente opposti, a persone diverse.»
La ragazza con lo chignon mi guardava rapita. La sua domanda aveva sollevato uno degli equivoci più frequenti nella degustazione di un vino, pertanto ci tenevo a rispondere in modo chiaro e articolato. Un lieve brusio proveniente dal fondo della sala mi fece perdere la concentrazione per un attimo. Continuai alzando leggermente il tono della voce.
«Nessuno ci chiede di inventare profumi né di raccontare bugie né tantomeno di autoconvincerci di riconoscere in un vino ciò di cui non abbiamo mai avuto esperienza. È un punto importante, sono contento sia emerso, perché in passato si è creata molta confusione al riguardo e non sempre in buona fede.»
Invece di cessare, il rumore proveniente dalla platea continuava a crescere. Notai che diversi studenti seduti nelle prime file ora mi davano le spalle. I loro occhi erano puntati su due agenti di polizia che stavano avanzando lentamente lungo il corridoio laterale in direzione del palco. Decisi di concludere rapidamente la risposta, intenzionato a capire cosa stesse accadendo. Le mie ultime parole, probabilmente influenzate dalla visione dei due poliziotti ormai giunti a pochi metri da me, furono riportate sui giornali del giorno seguente.
«Quindi, se nella sua scheda di degustazione lei scrivesse che questo vino profuma di viola mammola senza aver mai annusato questo fiore in vita sua, non solo rischierebbe di commettere un errore fidandosi delle mie sensazioni, ma direbbe anche una bugia. Plagio e falso ideologico. In alcuni stati potrebbe essere arrestata, lo sa?»
Nonostante il tono ironico della mia ultima affermazione, la biondina con lo chignon ora mi guardava con aria preoccupata. I due agenti si erano fermati ai piedi del palco ed era chiaro che non fossero arrivati fin lì per condividere con me impressioni su un calice di vino. Il più alto dei due, uno spilungone di circa due metri con una faccia da bambino cresciuto troppo in fretta, rimase un paio di passi più indietro rispetto al collega. L’altro, un tipo dall’aria decisa con occhiali da sole e barba scura, dopo aver guardato alle mie spalle lo schermo in cui erano riportati a caratteri cubitali il titolo del seminario e il mio nome, mi offrì una prova della sua notevole arguzia.
«È lei Alessandro Dalmo?»
Un attimo dopo aggiunse: «Deve seguirci in commissariato».
«Vi posso assicurare che ho annusato più volte la viola mammola» risposi prontamente.
In sala scoppiò una risata fragorosa. Gli unici che sembravano non divertirsi affatto erano i due agenti. E il sottoscritto, naturalmente, ma questo dettaglio non fu colto dagli studenti, che iniziarono addirittura ad applaudire, continuando a battere le mani sempre più entusiasti quando mi videro riporre sul tavolo il microfono e il calice di vino per incamminarmi verso l’uscita dell’auditorium scortato dalla polizia.
2. Sabato 22 giugno 2019, pomeriggio
Alessandro Dalmo
Fin da bambino i miei genitori mi hanno sempre incoraggiato a concentrarmi sugli aspetti positivi della vita, specialmente nei momenti di difficoltà. Fortemente convinti che la felicità fosse il risultato di un allenamento personale più che il riflesso di una condizione esterna, un giorno mi regalarono un grosso cilindro trasparente, invitandomi a depositare ogni sera al suo interno un post-it con scritto un momento piacevole vissuto nelle precedenti ventiquattro ore. Trovando quel gioco particolarmente divertente, sceglievo di volta in volta colori diversi per i bigliettini a cui affidare ciò che aveva reso speciale la mia giornata. Quando a scuola o a casa mi capitava qualcosa di bello, sorridevo tra me e me perché alla sera avrei potuto affidarlo al mio cilindro magico. Ma fu quando mia nonna Liliana ci lasciò all’improvviso che compresi davvero il potere di quel contenitore di plastica pieno di foglietti colorati. Trascorrendo a quei tempi buona parte dei miei pomeriggi insieme a lei, potei ritrovare nei post-it tanti momenti belli che avevamo condiviso. Il fatto di averli scritti e poterli rileggere attutì il dolore per la sua assenza e mi permise di capire che quei momenti di felicità erano esistiti veramente e sarebbero sempre rimasti con me.
Questa lezione imparata da piccolo mi fu di aiuto durante il pomeriggio che trascorsi al commissariato di Cesena. Anche se avrei preferito non aver mai dovuto ascoltare i fatti di cui venni a conoscenza, continuai a elencare tra me e me le informazioni che potevano essere classificate come positive, visualizzandole nella mia mente su post-it colorati. Per prima cosa non ero in arresto. Secondo, non era successo nulla di grave né a Rebecca né a qualche altro componente della mia famiglia. Il terzo aspetto positivo me lo chiarì il commissario Punto quando mi spiegò come mai fossi stato condotto lì, anche se non potei fare a meno di notare il riferimento temporale che usò illustrando la mia posizione. Dopo avermi fatto accomodare in una piccola sala priva di finestre ed essersi seduto a sua volta di fronte a me, al lato opposto di una scrivania color mogano, precisò la situazione in cui mi trovavo, non prima di avermi rivolto alcune domande e offerto una tazza di caffè.
«Al momento non è iscritto nel registro degli indagati, per questo motivo non le abbiamo chiesto di chiamare un avvocato. Questo non è un interrogatorio, signor Dalmo, ma solo una chiacchierata per verificare alcuni punti che ci appaiono poco chiari. Riteniamo che, in qualità di persona informata sui fatti, lei possa aiutarci a comprendere qualcosa di più su quello che è successo, capisce?»
Certo che capivo, ciò che però non riuscivo a comprendere era come avrei potuto aiutarli. E soprattutto cosa mi rendeva una persona informata sui fatti. Appena uscito dall’auditorium, con l’adrenalina a mille e senza alcuna traccia dell’aplomb mostrato dinnanzi alla platea di studenti, avevo chiesto allo spilungone il motivo di quel fuori programma. Era stato l’altro poliziotto a rispondermi, aprendomi lo sportello posteriore dell’auto di servizio.
«Non si deve preoccupare, dobbiamo solamente farle alcune domande su una persona, non ci vorrà molto. La ringraziamo fin da ora per la collaborazione e ci scusiamo per avere interrotto il suo seminario, ma in questi casi il tempo è un elemento fondamentale.»
Le loro spiegazioni erano finite lì, per tutta la durata del tragitto fino alla stazione di polizia non avevo ricevuto altre informazioni. Tutto divenne più chiaro, se così si può dire, mezz’ora più tardi, durante la mia “chiacchierata” con il commissario Punto.
«Signor Dalmo, conosce la signora Sara Antonioli?»
Sentii il battito del cuore accelerare improvvisamente e la mia voce tremare leggermente mentre rispondevo.
«Sì… perché?»
«È una sua amica? La sente spesso?»
«No. Cioè sì, ma no. È una mia amica, ma non ci sentiamo molto spesso e non ci vediamo da parecchio tempo. È per questo che sono qui? È successo qualcosa a Sara?»
Un nodo alla gola aveva smorzato le mie ultime parole. Il commissario mi aveva già rivolto una nuova domanda.
«Quando l’ha sentita l’ultima volta?»
«Non saprei, diversi mesi fa. È successo qualcosa a Sara?»
Questa volta pronunciai l’intera frase a voce alta e Punto non poté ignorare la mia domanda. Continuando a fissarmi negli occhi soppesò attentamente le parole.
«Stiamo cercando di capirlo. Ieri sera si trovava a Cesenatico, in spiaggia, con un gruppo di amiche. Sono loro ad averci chiamato. Ci hanno raccontato che poco dopo le 20 si è allontanata dall’ombrellone dicendo che avrebbe fatto un’ultima nuotata fino agli scogli prima di andare a cena. Dopo circa mezz’ora, non vedendola tornare, una di loro si è avvicinata a riva per chiamarla. Lungo la battigia ha trovato le sue ciabatte, ma non è riuscita a scorgerla in acqua. A quel punto anche le altre amiche hanno iniziato a cercarla, ma non l’hanno trovata né in mare né lungo la spiaggia. Ormai si era fatto buio e così hanno dato l’allarme.»
Sentii una lacrima scendermi lungo la guancia e una fitta improvvisa al petto. La stanza iniziò a girarmi attorno, mi aggrappai alla scrivania per non perdere l’equilibrio. Avrei voluto correre via, ma non sentivo più le gambe.
«Si sente bene?» mi domandò il commissario notando il mio turbamento. «Al momento» si affrettò a precisare «è ancora troppo presto per dire con certezza cosa sia successo. Potrebbe anche essersi allontanata di sua spontanea iniziativa.»
Cercai di riprendere fiato e mantenere la calma, concentrandomi sulle sue ultime parole.
«I nostri uomini sono sul posto da diverse ore. Hanno già interrogato le amiche della signora Antonioli e ora stanno facendo lo stesso con le altre persone che si trovavano lì ieri sera per scoprire se qualcuno ha visto qualcosa che possa aiutarci.»
Poi aggiunse quello che temevo.
«All’alba di questa mattina i sommozzatori dei vigili del fuoco e della protezione civile hanno iniziato le ricerche sotto costa, ma per ora senza risultati.»
Mentre mi aggiornava su come stessero procedendo i suoi uomini, rimisi in fila tutte le informazioni di cui ero venuto a conoscenza negli ultimi minuti. E feci l’unica domanda che in quel momento poteva avere una risposta.
«E perché io sono qui?»
«Sulla sdraio in cui la signora Antonioli ha trascorso il pomeriggio abbiamo trovato un libro. Le amiche che erano con lei hanno detto che l’ha comprato ieri poco prima di arrivare in spiaggia.»
Continuando a parlarmi con lo stesso tono di voce, estrasse un telefonino dalla tasca dei pantaloni e me lo avvicinò in modo che potessi vedere lo schermo.
«Il segnalibro era posizionato tra queste due pagine. Su quella a destra c’è una scritta.»
La foto sul display mostrava un libro aperto. Zoommando sull’immagine potei vedere alcune righe scritte a mano ai bordi del testo stampato. Era la grafia di Sara.
Ti ho telefonato solamente,
credo di essere in pericolo
Fu in quel momento che il commissario Punto ritenne opportuno precisarmi quale fosse la mia situazione.
«Al momento non è iscritto nel registro degli indagati, per questo motivo non le abbiamo chiesto di chiamare un avvocato. Questo non è un interrogatorio, signor Dalmo, ma solo una chiacchierata per verificare alcuni punti che ci appaiono poco chiari. Riteniamo che, in qualità di persona informata sui fatti, lei possa aiutarci a comprendere qualcosa di più su quello che è successo, capisce?»
Senza aspettare la mia risposta appoggiò sulla scrivania un foglietto di carta continuando a fissarmi negli occhi.
«Riconosce questo numero di telefono?»
Potei uscire dalla stazione di polizia solo cinque ore dopo il mio arrivo e non prima di aver ricevuto l’invito di rito a chiamare il commissario Punto nel caso in cui mi fossi ricordato anche un solo dettaglio utile a ritrovare Sara.
Non appena i due agenti che mi riaccompagnarono all’auditorium se ne furono andati, accesi il telefono che avevo spento all’inizio del seminario. Ignorai la raffica di notifiche di messaggi e chiamate perse che trillarono una dopo l’altra e scorsi velocemente il registro delle telefonate del giorno precedente. Non mi sbagliavo: in memoria non avevo alcuna chiamata da parte di Sara. Mentre mi chiedevo come fosse possibile, controllai su Google le edizioni online dei giornali locali. Le notizie della scomparsa di Sara e dell’interruzione del mio seminario a causa dell’intervento della polizia erano già su tutte le testate. Nessun articolo collegava tra loro i due fatti, ma sapevo che i giornalisti non avrebbero tardato molto a ricostruire il nesso tra i due avvenimenti. Mi sentivo frastornato: sudavo e una piccola pressione sul petto mi rendeva più difficile del solito respirare.
Stai calmo e rifletti!
Salii in auto e prima di partire presi nuovamente il telefono in mano. Ricontrollai le notifiche delle chiamate perse in cerca del nome di Rebecca, ma non c’era. Per via del fuso orario probabilmente non aveva ancora letto la notizia e nessuno l’aveva avvisata della mia gita fuori programma di quel pomeriggio. Meglio così, d’impulso sarebbe potuta salire sul primo aereo disponibile per tornare a casa e in quel momento era l’ultima cosa che volevo. Sapevo la fatica che aveva fatto per organizzare una nuova sfilata a New York e non volevo che all’ultimo saltasse tutto all’aria per causa mia. E poi avevo bisogno di restare solo per metabolizzare meglio quello che stava accadendo. Mi affrettai a scriverle un messaggio.
Ciao amore, come procede la preparazione per il grande giorno? Ho avuto un seminario un po’ diverso dal solito per via di un piccolo imprevisto, ma ora sto tornando a casa. Sto bene ed è tutto risolto. Ci sentiamo più tardi quando ti svegli.
Guidando verso casa, mille domande continuavano ad affollarmi la testa. Come mai Sara si trovava a Cesenatico? Perché avrebbe dovuto scrivere un messaggio proprio a me se si sentiva in pericolo? A quale tipo di pericolo si riferiva? E, soprattutto, che fine aveva fatto?
max.fuoti
Ho avuto la fortuna di conoscere Luca, alla libreria Mondadori di Cesenatico, mentre presentava il suo libro. Ho acquistato la sua opera, in tre giorni ho “divorato” il suo racconto. Cosa dire? Luca aspetto il prossimo libro, non vedo l’ora.
Mirella Pieroni
Ho trovato questo libro molto interessante e originale. Si apre come un giallo e lo si riscopre molto più di un giallo perché pone anche molto l’accento sulle caratteristiche psicologiche dei protagonisti e sul rapporto di coppia in cui lo spirito inquieto, libero che non vuole legami è una donna, contrariamente agli stereotipi che vuole che sia sempre il contrario. Viceversa qui infatti a soffrire di più le pene d’amore è l’uomo che a parte una breve storia con un’altra donna non è più riuscito a costruire qualcosa di solido e basta poco a fare riaffiorare i ricordi con prepotenza tale da indurlo a mettersi a investigare anche da solo. Il giallo naturalmente c’è e con i colpi di scena che non mancano e l’aria di mistero che avvolge la figura di Sara fa rimanere il lettore incollato al libro per tentare di capire cosa possa essere realmente successo e cosa significasse quella richiesta di aiuto enigmatica da parte di Sara al ragazzo che aveva lasciato.
Originale e fuori dai soliti schemi il finale che lascia comunque il lettore da un lato attonito e sorpreso e dall’altro con una serie di domande e riflessioni.
Lo consiglio vivamente!
lucypam82 (proprietario verificato)
L’ho letto con entusiasmo e curiosità. È scritto con grande capacità di attirare l’attenzione del lettore. Mai noioso. Ottima compagnia durante le calde ore estive