La mancanza di roaming internazionale lungo i confini thailandesi, dove il segnale è di fatto nullo, le aveva reso pressoché impossibile comunicare con i normali cellulari; l’unico modo da quelle parti era utilizzare uno degli internet point a disposizione nei rari centri abitati e Olivia ebbe questa possibilità grazie alla complicità di Ohi, la guida del posto che le aveva fatto da gancio con il museo.
Fattasi lasciare dall’autista a circa un quarto d’ora dal Burma, lungo la strada principale – se così si può definire – di un piccolo agglomerato di case, scorse in lontananza Ohi che l’aveva preceduta dopo averla lasciata al termine del colloquio in cui le aveva fatto da interprete.
Non si erano lasciate che un’ora prima perciò, salutatesi con un cenno d’intesa, senza perdere tempo entrarono nella bottega davanti alla quale la donna la stava aspettando e, attraversata l’intera stanza gremita di piccoli manufatti locali, varcarono la porta del retro nel quale c’era una stretta e ripida scala di legno che conduceva al piano superiore; lì si trovava una specie di cameretta che nulla aveva a che fare con un comune internet point, ma che per Olivia, date le circostanze, era più che sufficiente.
Superata la porta trovò a sua disposizione un piccolo banchetto di legno con sopra un monitor e una tastiera; il computer era assicurato sullo stesso piano all’interno di una specie di cassa di legno, bloccata con delle viti fissate qua e là dove, appese lì di fianco, trovò delle cuffie dotate di microfono e un telefono cellulare già sbloccato, messo a disposizione per le telefonate più veloci.
Olivia si mise a sedere sull’unica sedia di plastica a disposizione, apparentemente traballante e precaria, il cui colore celeste svilito dal tempo lasciava intuire ancora la sua originaria tinta azzurra, corrosa dai raggi del sole, che con ostinazione avevano accentuato le venature della plastica.
Mentre Ohi, sedutasi in cima alle scale, rimase ad aspettarla fuori dalla stanza, la ragazza afferrò il telefono componendo il numero della madre.
Ci vollero alcuni squilli prima che qualcuno rispondesse, ma non appena sentì la voce famigliare e cavernosa del padre, trasportata dall’euforia, rispose con entusiasmo.
«Ciao papà, sono io! Sono entrata nel gruppo di ricerche al museo Burma!»
Dall’altro capo del telefono ci fu una breve esitazione alla quale Olivia non fece subito caso, finché non sentì ribattere con voce flebile.
«Tesoro… è una settimana che proviamo a chiamarti, anche il contatto che ci hai dato non sapeva come raggiungerti.»
Quelle parole e lo strano tono con cui il padre le si rivolse le fecero balzare il cuore in gola, sentendolo battere più velocemente, mentre le mani diventavano fredde e sudaticce; più il padre esitava nel proseguire con ciò che aveva da dirle più Olivia sentiva l’adrenalina scenderle lungo le gambe.
«La mamma se n’è andata… stanotte» rivelò infine l’uomo con la voce che gli si ruppe in gola.
A quelle parole l’angoscia che aveva pervaso la giovane ricercatrice si tramutò in sconcerto; tutto ciò che la circondava le sembrò lontanissimo e si dimenticò dove si trovasse e cosa stesse facendo.
Il silenzio cupo e tangibile proveniente dalla stanza di Olivia incuriosì Ohi che, affacciatasi per vedere se la ragazza avesse finito la telefonata, la trovò seduta alla sedia con la schiena appoggiata a peso morto allo schienale e lo sguardo sconvolto fisso nel vuoto.
Le due si scambiarono un breve sguardo, che riportò Olivia al suo presente, al posto in cui si trovava e che inevitabilmente sarebbe stato impossibile lasciare in poco tempo.
«Raul è con te?» domandò con tono automatico.
«Sì.»
«Ok. Prendo il primo volo disponibile e arrivo» concluse con rigidità.
Chiusa la telefonata, cadde come in uno strano limbo emotivo.
Informò il centro di ricerche della sua imminente partenza e accompagnata dalla guida tornò al villaggio per recuperare i suoi bagagli e dirigersi verso il centro abitato più vicino, da cui prenotare il rientro in Italia.
Il volo, partito a mezzanotte di quella sera, durò più di undici ore facendo scalo ad Amsterdam, dove Olivia arrivò all’alba del mattino seguente e dove dovette aspettare ben tredici ore per il secondo volo che l’avrebbe riportata in Italia.
In quelle interminabili ore trascorse in aeroporto il tempo apparve privo di consistenza. Persa come in una dimensione parallela, non poté evitare di ripensare a quando aveva pianificato quel viaggio, ai lunghi mesi di indecisione dopo i quali si convinse a partire, solo quando la situazione, apparentemente stabile, consentì di riporre nelle cure della madre la giusta fiducia.
Il viavai di gente scandì il suo tempo con ripetitiva cadenza, come se volesse concederle la possibilità di orientarsi in quel vuoto sentimentale che rischiava di prevaricarla; fu nel momento in cui dovette prendere l’aereo che l’avrebbe portata a Roma che l’animo di Olivia iniziò a perdere stabilità.
Di lì in poi fu un crescendo, comprese le due ore di taxi per giungere finalmente a casa, dove l’ansia era diventata talmente intensa da schiacciarle il petto fino a farla ansimare.
Arrivò quando era ormai abbondantemente passata l’una di notte; disorientata come se fosse appena sbarcata da un altro pianeta, fu Raul ad accoglierla: alto, slanciato, capelli neri lucenti e folta barba nera maniacalmente curati nei dettagli, in perfetto stile hipster.
I due fratelli si guardarono e, senza dire nemmeno una parola, si abbracciarono in un gesto istintivo ma anche estremante logico.
Fu in quel momento che Olivia percepì pienamente quanto le fosse mancata la sua famiglia, ma preso un respiro lento e più profondo non diede peso a quel suo stato d’animo, concentrandosi su dove fosse il padre.
Raul fece un cenno con la testa alla sorella, indicandole il salotto alla sua sinistra.
Alessio Blasetti (proprietario verificato)
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