Alcune imbarcazioni di pescatori puntellavano il lago di macule variamente cromate e gli conferivano un aspetto allegro e vivo. L’abitato, nel corso del tempo, era stato sede di numerose signorie, e molti degli edifici che man mano restavano abbandonati vennero adibiti taluni ad attività commerciali e altri ad abitazioni, fino a ricevere la conformazione attuale. Vi erano numerose chiese: una con bellissime arcate gotiche, una di epoca romanica, la pieve cittadina, e ancora un’altra di epoca barocca, che si inserivano perfettamente nel paesaggio boschivo, valorizzandone la bellezza. L’impressione che si ricavava guardando il piccolo paese era che fosse un luogo tranquillo, una sintesi perfetta dell’incontro fra natura e cultura, il cui splendore gli era conferito dall’esser circondato da boschi e da terre coltivate, che lo ca-ratterizzavano come luogo suggestivo e fiorente.
L’isolotto era il posto in cui Margot Fusini era nata e cresciuta. Margot era una ragazza riflessiva, pacata e matura per la sua giovane età. Aveva vent’anni e altrettanti sogni. Fu proprio nell’isola che l’aveva pasciuta che un bel dì incontrò il ragazzo che presto avrebbe scombussolato tutti i suoi pensieri, scaraventandola vicino alle sue paure e a nuove speranze, via dalla solita zona rassicurante dove s’era confinata per evitare di incorrere nelle tanto paventate delusioni d’amore. Voleva esasperatamente diventare indipendente e aveva uno strano rapporto con i sentimenti. Da un lato riconosceva a se stessa un carattere romantico, sognatore, dall’altro era sempre in attesa di una comprensione verso cui però nutriva una scettica diffidenza. Era anche timida, molto educata, incerta su tutto ciò che riguardava il mondo esterno, ma determinata a perseguire i suoi obiettivi. Aveva un’intelligenza vivace e una curiosità che spesso la facevano sentire insofferente davanti alla routine. In lei prevaleva in modo totalizzante una razionalità strettamente connessa al bisogno di mantenere sempre sotto controllo ogni sua reazione. Aveva una sensibilità spiccata e tanta voglia di inaugurare finalmente un tempo in cui potesse riconoscersi pienamente soddisfatta. Non aveva mai dato importanza alle apparenze, era paziente, tenace e abituata a porsi obiettivi che poi cercava di raggiungere da sola. Era certa che per una come lei non si potesse perdere la testa, e così raramente confessava quel che provava alla persona per cui nutriva qualche emozione; infatti, proprio perché per lei l’amore era un sentimento sconfinato, romantico e intenso, rifuggiva ogni emozione che le sembrasse una copia sbiadita di quell’idea pura.
La prima volta che incappò nel ragazzo che avrebbe messo in discussione la sua visione dell’amore, notò un’evidente bellezza e rimase in sospeso a contemplarne il sorriso ampio e avvolgente, ma ben presto si disse che lo avrebbe lasciato perdere, che conoscerlo non sarebbe valsa la pena. Lui, con quegli occhi profondi, il modo di fare affascinante, l’aria distratta e, nonostante tutto, una sembianza disponibile, cortese e sorridente, non avrebbe di certo guardato con occhi interessati una così, una come lei sentiva di essere. Prima di capire che rassegnarsi era un fallimento deciso in partenza, Margot dovette fare la conoscenza di una donna inconsueta. Fu lei a svelarle la via per abbandonare la rassegnazione, a rivelarle che quel sentimento a cui s’era abituata, incontrandolo spesso nell’ambiente in cui viveva, era solamente un’inutile àncora gettata per tenerla ferma in un mare che chiedeva invece a tutti di muoversi, per esplorarne le ricchezze oltre i limiti posti da un’eccessiva prudenza. L’amore, un sentimento con cui doveva familiarizzare, l’avrebbe sospinta in mezzo alle correnti, ma non poteva farle scoppiare il cuore come temeva, non se si fosse concessa di conoscerne la vera natura.
Molte persone conducono vite egoiste, presuntuose e infelici. È come una malattia dell’anima, che intacca tutto, a cominciare dallo sguardo, e chi ne è affetto spesso ripone speranze di guarigione all’infuori di sé, negli altri. È così che si inizia a pretendere l’amore. Ma l’amore non si sottopone a pretese, è una forza gentile, pervasiva, trascinante, quanto indomabile. Chi l’abbia voluto domare o instillare in un altro ha sempre fallito. L’amore si può suscitare, ma spesso neppure l’essere amabili riesce a far crescere la sua gemma. L’amore non chiede ricompense. È come un cristallo che si forma spontaneamente, spesso richiede tempo, sempre rispetto. Vi sono molte forme d’amore, tutte naturali se chi ne è coinvolto può dirsi felice d’esserlo, anche e nonostante gli ostacoli che può trovarsi a dover sormontare, endemici nella vita. Per amare realmente la sola condizione legittima che si sia mai posta èquesta: la libertà di farlo senza costrizioni, catene, ricatti oggettivi oppure spirituali, morali, soggettivi. La libertà è di chi pensa, di chi è in grado di mettersi nei panni altrui, di chi non si sente in alcun modo d’essere più debitore d’amore rispetto agli altri. A dispetto delle vuote chiacchiere di chi si ostina a screditare il pensare, la dimensione della complessità e quella della partecipazione interiore alla vita esteriore, rimane vero che esse servono a ognuno per cercare di coltivare il proprio spirito: infatti, il mondo e le persone non si vedono che attraverso i loro occhi. Gli occhi sono il linguaggio dell’essenziale. Non guardare la vita mediante occhiali rotti o offuscati è una risorsa che consente di muoversi nelle strade del mondo con uno spirito che non sia cieco, provando a non smarrirsi in questa selva oscura. Ma per far questo bisogna lottare e prestare attenzione, perché nulla, nemmeno il punto di riferimento più banale che giudichiamo scontato per abitudine – sia esso dentro di noi sia esterno al nostro essere – è in realtà assodato una volta per sempre. Perciò il lavoro per riuscire a mantenere in vita uno spirito siffatto deve essere rinnovato giorno per giorno, e si può descrivere, senza paura di sbagliare, come un impegno meticoloso.
Margot Fusini, mediante una notevole sensibilità e tramite un assiduo esercizio del pensiero, cercava di donare al proprio spirito una vista acuta. Non voleva che le cose essenziali andassero perdute e reputava che gli occhi coi quali avrebbe guardato e vissuto il tempo fossero fra le cose più importanti, insieme alla necessità di dotarli della più raffinata capacità di vedere. Voleva fare tutto quel che era in suo potere per conferirla loro. Gli occhi del viso sono una cosa, quelli del cuore un’altra. Da entrambi è resa possibile la visione della vita, in forme diverse ma ugualmente indispensabili. Pauline Espoir fu la presenza imprescindibile nel percorso di consolidamento di sé che Margot involontariamente intraprese. Per lei rappresentò l’elemento che arricchì i suoi giorni di un senso più profondo. Il modo che aveva di avvicinarsi alle questioni quotidiane soggiaceva a ogni sua esperienza, sia che costituisse una delusione sia che fosse una situazione motivante. Ogni circostanza, grazie a Pauline, cominciava ad apparirle come il frammento di un mosaico che disegnava la sua vita intera, e perciò quel modo era tenuto da lei in grande considerazione.
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