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Ciao mamma, vado a fare lo scrittore – parte terza

Fare lo scrittore non è un lavoro come tutti gli altri. Tra alti, bassi, sorprese e tanta pazienza, continua il racconto del mestiere di scrivere.

Ciao mamma, vado a fare lo scrittore

Episodio 3: le motivazioni, ancora

Dove ci eravamo lasciati: siete di fronte al dilemma cosmico, resi allegri dai gin tonic e poi repentinamente depressi dalle sbronze. Sull’altalena alcolica valutate se siete pronti a tutto quello che essere scrittore comporta: il primo pagamento, i rifiuti, gli agenti, le domande della gente. Continuiamo?

Se siete ancora qui e non avete abbandonato il paese, è un bene. Vuol dire che la lista di validissimi motivi per lasciar perdere non ha scalfito la vostra convinzione. Insomma, scrivere è un mestiere pericoloso, bisogna essere pronti. E poiché vi voglio molto bene, io continuerò a infierire. Prometto che superato questo ostacolo arriveranno solo buone e belle notizie (forse).

  • Quando un vostro lettore (eh già, avere dei lettori è una gran cosa: potrete considerarvi autori, ancora un gradino più in alto degli scrittori) riesce a scoprire il vostro indirizzo di casa, il vostro indirizzo mail, il vostro numero di cellulare. E vi lascia un messaggio di affetto dicendo che il vostro lavoro l’ha tenuto sveglio la notte. Ecco, momenti del genere vi lasciano un senso di benessere simile all’orgasmo. Sperate soltanto che non vi confonda con qualche altro autore, che non scriva bestialità sulle vostre opere (vedendo l’esatto contrario di quello che volevate comunicare), che non vi chieda indietro i soldi del libro. In tal caso, preparate il numero di un avvocato e denunciate per violazione della privacy. Va molto di moda.

  • La vostra prima, grande presentazione: le strette di mano, le pacche sulle spalle, le dediche, la sfilza di libri con il vostro nome stampato in bella vista. Un sacco di persone interessate che pendono dalle vostre labbra. Sarebbe davvero un peccato se la sala fosse semivuota, con i pochi presenti che sbadigliano e parlano tra loro. Sarebbe terribile ma, insomma, stando ai dati quasi nessuno legge: siete sicuri di riuscire a far poggiare quei sederi sulle sedie? Sì, perché in un indiscutibile senso sarà tutto compito vostro. Dell’editore, certo. Dell’ufficio marketing, chiaro. Dei librai, anche. Ma soprattutto vostro, della vostra bella faccia tosta. Anche se si tratta di sopportare stanzoni con solo otto occhi piantati su di voi. E c’è anche vostra madre in sala, eh.

  • Quando, seduti in mezzo a decine di persone che parlano del più e del meno, prossimi a una crisi narcolettica, vi si para dinanzi agli occhi la vostra idea migliore. Vi si illumina la mente e siete convinti, sicuri, di aver pescato dal cilindro l’idea perfetta per il vostro prossimo romanzo. Sicuri come non mai vi accorgete che forse le persone accanto a voi non sono così noiose, la vita non fa tanto schifo e il mondo è piuttosto bello. Sarebbe un peccato, una volta tornati a casa, mossi da scrupoli di coscienza e da una vocina interiore, preso il cellulare e googlata l’idea, scoprire che no, non siete dei geni. La stessa idea l’ha già avuta un tale Enrik Von Brundersterg nel 1689, in un paesino sperduto della Sassonia, e il romanzo di cui voi non avete mai sentito parlare ha venduto 3 milioni di copie. Se soltanto quest’idea vi fosse venuta quattrocento anni in anticipo…

  • Avete scritto il vostro romanzo, il romanzo della vita. Lo sapete. Siete contentissimi. L’editore crede in voi. L’accordo è stato firmato, tutto va per il verso giusto. Sui giornali si parla di voi, in tv lo stesso, per strada la gente vi ferma per stringervi la mano. State già immaginando il vostro libro in tutte le case, in tutte le librerie. Il titolo vi smuove l’universo interiore. La copertina è bella, bellissima, quella che avete sempre desiderato, con il vostro nome stampato a caratteri cubitali. E se per caso vi arrivasse una mail dell’ufficio grafico con un allegato in jpg che, guarda caso, riguarda proprio la vostra stupenda copertina, soltanto leggermente modificata? Piace tanto all’editore. Piace tanto all’editor. Piace tanto a un gruppo di cinquanta grandi lettori nominati a valutare il vostro libro. Cosa fate? Quasi non vi sembra più lui. È un altro, vestito male, brutto. Vi piange il cuore. Mollate? Vi ribellate? Ma non capite niente, voi, di grafica, pensate a scrivere, vi dicono. Lasciate a noi il compito di vendere. Venderà! Voi non volete diventare ricchi, belli e famosi?

Armatevi di tanta pazienza. Preparatevi a lunghi periodi di ansia da prestazione, pagina bianca, penna vuota. Preparatevi a ritrovarvi fuori dal mondo, presi totalmente da quello che state scrivendo. Perché è questo che significa fare lo scrittore, niente di diverso. È un po’ come fare il missionario, una sorta di assoluta devozione. E no, quasi nessuno potrà capirvi. Vi prenderanno per folli, sognatori, romantici. E non siete contenti di esserlo?

Fine terzo episodio se siete arrivati fin qui e dentro vi brucia ancora qualcosa, benissimo. Sono fiero di voi. In fondo non volevo scoraggiarvi, è il mondo là fuori che lo farà.

Il prossimo sarà un episodio allegro, ve lo siete meritati.

Per chi se li fosse persi, ecco gli episodi uno e due.

Francesco Spiedo
Francesco Spiedo, sangiorgese classe ’92, istruttore di Kung-Fu e laureato in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Ha pubblicato racconti sparsi e romanzi misti, ama la definizione scrittore emergente e guai a chiamarlo esordiente. Frequenta il corso annuale a Belleville – La scuola con la speranza di entrare nella vecchia e cara Repubblica delle Lettere. Nel frattempo scrive per la testata giornalistica online Libero Pensiero, occupandosi principalmente di ambiente, e collabora con Bookabook, senza apparenti meriti letterari.
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